10 ottobre 2013

L'apprendimento comincia in fasce: ecco perché siamo nati per leggere

Educazione
di Gian Arturo Ferrari
A prima vista «Nati per leggere» non pare il nome di una associazione destinata a promuovere la lettura e i libri presso i bambini piccoli e piccolissimi. Che sembrerebbe invece richiedere denominazioni più alate, più evocative, più allusive. Che so, «Liber», «Librus», «Pagina», «Lectura» e via dicendo. O più infantili, «Libromio» o «Miolibro», «Coccolibro», «Cicciolibro» e anche qui via dicendo. «Nati per leggere» invece, brusco e spicciativo com'è, ha più l'aria di un comando, di una sollecitazione a sbrigarsi. Non è un invito, ma un'asserzione perentoria. E anche, aggiungiamo pure, non così immediatamente persuasiva. Perché mai dovremmo essere nati proprio per leggere? Siamo nati per tante cose, certo, tra le quali anche per leggere. Senza dire che la maggior parte di quelli che nascono ? nel mondo in generale, ma in particolare in Italia ? finiscono per non leggere del tutto o per leggere molto ma molto saltuariamente. E allora che finalità sarebbe mai quella che dopo essere stata enunciata in modo così imperativo viene in realtà realizzata solo da una minoranza piuttosto esigua? Eppure, nella sua voluta e un po' legnosa severità, «Nati per leggere» ha tre grandi vantaggi. Il primo è quello di legare la lettura alla nascita, o per meglio dire di proporla come la vera nascita, di trasformarla da un fatto culturale in un fatto naturale, quasi biologico. Il secondo di essere una sorta di rivendicazione e di protesta per un mancato riconoscimento e dunque per converso una specie di dichiarazione di intenti, un programma d'azione. Il terzo di essere, nella sostanza, vero. Siamo nati, come spiegò qualche tempo fa Francois Jacob, per trasmettere il messaggio genetico che abbiamo ricevuto. E sta bene. Ma è anche vero che questo non è un tratto specifico della specie umana, dell'Homo sapiens, bensì è comune a tutto il vivente, animale o vegetale che sia. Se vogliamo venire più vicino a noi e cercar di isolare ciò che davvero identifica e determina l'umanità e il suo destino, il che cosa ci stiamo a fare al mondo, finiamo obbligatoriamente per passare dalla scrittura e dunque dalla lettura. In un senso profondo ed essenziale noi siamo davvero nati per leggere. Nella sua sbrigativa ruvidezza «Nati per leggere» dice da un lato la verità e dall'altro proprio dicendo la verità si propone come slogan, manifesto, motto di una nuova evangelizzazione alla lettura e soprattutto alla lettura precoce. Che è iniziata, l'evangelizzazione, nel 1999, quando alcuni bibliotecari e alcuni pediatri hanno deciso di mettersi insieme, di dar vita alla associazione e di iniziare in concreto l'intervento sui bambini. Negli ultimi dieci anni, da un lato l'attività si è estesa e oggi vi sono impegnate più di 1.000 biblioteche e 800 pediatri che lavorano a oltre 500 progetti locali. Ma dall'altro si sono venuti modificando alcuni concetti di base, primo fra tutti quello di precocità.
Ognuno di noi, che siamo grandi e forti lettori, conserva e mantiene (in realtà restaura e ricostruisce) preziosi ricordi delle sue prime letture. Io rivedo (o credo di rivedere...) la rilegatura verde e i disegni liberty in bianco e nero di un libro delle fiabe di Andersen. Risento (o credo di risentire...) la voce di mia nonna che, come in una fiaba, mi legge un libro di fiabe. Ma questi ricordi, come gli innesti di memoria dei replicanti di Blade Runner, sono già contaminati, plasmati, modificati dalla lettura. I libri si sono insinuati in noi e si sono trasformati in noi. C'e un prima, un momento anteriore in cui è scattata la molla, la porta segreta si è aperta, siamo entrati nel mondo dei libri e i libri sono entrati in noi. Quando? Quando è successo? Oggi le neuroscienze sono in grado di dare una risposta molto più accurata di quindici anni fa. E la risposta è: prestissimo. Non solo nei primissimi anni, ma nei primi mesi di vita. Lì, quando di lettere e di alfabeto non è proprio il caso di parlare, ma di immagini e di colori sì. E ancor prima quando vi sono solo suoni, ma tra questi suoni c'è una voce, e la voce - calda, affettuosa e materna - parla e racconta, e parla e racconta proprio a te, lì si è iniziata ad aprire la porta segreta che ha fatto dei neonati o dei bambini piccoli che siamo stati i lettori di oggi. E dunque se si vuole portare alla lettura quelli che oggi ne sono privati o esclusi bisogna cominciare presto, prestissimo. È vero, naturalmente, che non è mai troppo tardi. Ma questa è una verità individuale, vale per i singoli e sottintende un impegno, uno sforzo e una fatica immani. La verità dei grandi numeri è al contrario che il treno perduto nella primissima e prima infanzia non ripassa più, non lo si può più riprendere, che chi è rimasto escluso allora lo resterà per sempre. Il primo e più immediato obiettivo di «Nati per leggere» e del suo stratega e presidente, il pediatra Giorgio Tamburlini - un italiano di frontiera (è triestino) asciutto e risoluto - è proprio diffondere il più possibile questa consapevolezza, far sì che mano mano divenga comprensibile a tutti i genitori che il destino dei loro bambini si gioca in gran parte lì, tra quei libretti colorati. Poi potrà venire tutto il resto. E alla fine anche questi bambini, come i grandi e forti lettori adulti di oggi, potranno dimenticare come hanno cominciato a leggere, crederanno di averlo sempre fatto e costruiranno su questo gli opportuni ricordi. Perché saranno non programmaticamente, ma nella realtà, nati per leggere. E cresciuti leggendo.
«Corriere della Sera» del 7 ottobre 2013

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