13 settembre 2025

Come rivalutare il petrarchismo

Cambi di paradigma. Una comunità di studiosi, intorno a progetti precisi, ha scardinato le viete consuetudini critiche sul tema. E, per una volta, non sembra solo una cosa accademica
di Stefano Jossa
Il petrarchismo è stato a lungo considerato, e lo è ancora in gran parte dei manuali di scuola e di università, il fenomeno più negativo della storia della letteratura italiana. «La posterità ha dimenticato i petrarchisti», scriveva Francesco De Sanctis, che in loro vedeva solo un fenomeno imitativo caratterizzato dal culto della bella forma, senza vitalità e vigore. Arturo Graf andava oltre, accusando il petrarchismo di essere «la malattia cronica della letteratura italiana», dovuta all’incapacità creativa, all’ingegno mediocre e alla cortigiania frivola della maggioranza dei letterati italiani.
Eppure i petrarchisti hanno segnato un percorso di storia culturale e poetica che non si può ridurre all’idolatria di Petrarca, come volevano i loro critici romantici: contrapponendo l’omologazione dei poeti classicisti, di cui i petrarchisti sono l’esempio supremo, all’emergere dell’individualità nella poesia moderna, questi critici tracciavano un confine tra un male, l’imitazione passiva e acritica, e un bene, l’invenzione geniale e appassionata.
È probabilmente arrivato il momento di capovolgere il paradigma, se molti studi recenti si sono rivolti a valorizzare l’aspetto comunitario della poesia petrarchista: non cambiano le coordinate storiografiche (i molti anonimi di contro ai pochi che si distinguono), ma cambia il sistema dei valori (poesia che crea legami rispetto alla poesia che isola eccellenze). Su questa linea si è mosso il gruppo di lavoro “Petrarchan Worlds”, coordinato da Bernhard Huss della Freie Universität di Berlino, all’interno del più largo progetto “Temporal Communities. Doing Literature in a global perspective”, che c’invita ora a rileggere il petrarchismo all’insegna dei conflitti fra sistemi culturali anziché secondo vecchie categorie ormai superate.
È uno dei pochi casi, va detto, in cui un progetto accademico non serve a creare isole di fittizia eccellenza, come accade regolarmente col sistema delle grants, che per lo più non generano cultura diffusa e restano esperienze separate, ma prova davvero a entrare in sintonia con il contenuto, realizzando una comunità di studiosi intorno all’oggetto comunitario di cui si occupano. Nonostante il rischio sempre presente di creare microesperti di minuzie, l’esplorazione a tutto campo (in Italia, Francia, Spagna, Olanda e Germania, a cui andranno aggiunti il Portogallo, la Gran Bretagna, i paesi scandinavi e la Russia) porta all’indispensabile presa di coscienza che le scelte letterarie rispondono a principi ideologici: concentrarsi su un modello unico consentiva di creare una grammatica poetica comune, che garantiva il dialogo e lo scambio, anziché chiudersi nello spazio egocentrato dell’esperienza individuale.
Il primato della forma sulla vita consentiva l’allargamento dell’orizzonte comunicativo, la possibilità di una partecipazione più diffusa e la costruzione di un codice di riferimento per la società letteraria. Altro che narcisisticamente ripiegato su sé stesso, come ancora a volte vuole la critica: Petrarca, dice Huss nell’introduzione, si è rivelato talmente aperto e complesso da generare fenomeni transnazionali e transtemporali come l’umanesimo e il Rinascimento, fino a diventare il padre di una lunga durata della poesia europea perché ha fornito, per generazioni, gli strumenti di un’elaborazione collettiva che ha attraversato le lingue, i generi, i mezzi e le arti. Fu il sistema-Petrarca, infatti, dal Canzoniere ai Trionfi alle opere storiche, morali e spirituali in latino, ad affermarsi, anziché il solo poeta lirico.
La questione, insomma, non è solo poetica, ma morale: dentro Petrarca c’è un’etica, fatta di consapevolezza storica, ricerca identitaria, collocazione sociale e competenza espressiva, che ne fa il vero modello, come diceva Amedeo Quondam, del gentiluomo europeo.
L’etica è a sua volta un’economia, perché non c’è dubbio che la società petrarchesca, con meno individualità di spicco e più senso della partecipazione, costituisce un’alternativa potente a quel modello culturale, romantico e capitalista, che spinge verso la creazione di eccellenze individuali in modo da generare rendite di posizione, inseguimenti e competizione: è così che l’aristocratico Pietro Bembo, fondatore, tanto in poesia quanto in grammatica, del petrarchismo, si sposta sempre di più, dal nostro punto di vista, sul versante di una democrazia partecipativa di cui oggi sentiamo drammaticamente la mancanza.
Community-building è un po’ un mantra dei progetti accademici del nostro tempo, come se l’accademia riuscisse a darsi senso solo attraverso una funzione riflessiva rispetto alla politica; ma quando la parola d’ordine si traduce in un’indagine sui meccanismi effettivi di condivisione e coinvolgimento la ricostruzione storica può uscire dalle aule e diventare ipotesi per un agire futuro.

Bernhard Huss (Ed.), Petrarchism: Competing Models for Early Modern Community Building (1400-1700), Universitätsverlag Winter Heidelberg, pagg. 172, €33
««Il Sole 24 ore – supplemento La domenica» del 31 agosto 2025

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