25 giugno 2014

Il cellulare chiama, la filosofia risponde

La riflessione
di Félix Duque
Negli
L’uomo contemporaneo (a partire dagli anni ’90 del XX secolo) vive una 'vita connessa', in cui la nuova ontologia procedurale impregna e rimescola, facendoli interagire, i diversi àmbiti di produzione (impresa), riproduzione (scuola, famiglia) e divertimento (hobby) attraverso le differenti interfacce mediatiche, mediante le quali si incrociano la globalizzazione, la commercializzazione e l’individualizzazione. L’essere di questo dire, la cui essenza è la situazione insostanziale, configura una sorta di Gefüge o assemblaggio riflettente mobile che si sgrana in una sequenza indefinita di situazioni, dato che è la partecipazione sociale alla comunicazione a definire che cosa stia avendo luogo, che cosa sia pertinente fare o non fare in tale situazione, e come si svilupperanno gli eventi situazionali. Per i nostalgici: mutatis mutandis, tali regioni dell’ente erano un tempo denominate, rispettivamente: fisica, etica e politica. In tal modo, il cellulare genera, mi si passi l’espressione, una sottile 'corazza' protettiva che isola l’individuo dalla situazione fisica, locale, in cui si trova faccia a faccia con i suoi prossimi o in contiguità con essi, e lo immerge in una telepresenza uditiva e sempre più immaginifica che stabilisce un situarsi puramente virtuale, ma che risulta tuttavia intimior intimo meo. Pertanto, un sistema tecnologico finisce per essere ideologicamente rivestito da fattore di cambiamento e generatore di nuove forme di comunità sociale. Per dirla in linguaggio tradizionale, finisce col diventare l’essere tecnologico degli enti sociali.
Tuttavia, bisogna precisare meglio questo clamoroso trionfo del cellulare come strumento di connessione (quasi di communio) tra la gente. Infatti, in questo caso l’utente diviene un mero veicolo, ossia un portatore di valori, se non eterni (posto che la sua ricezione/trasmissione è istantanea) perlomeno immutabili nella circolazione degli Sms. Non vi è ermeneutica possibile durante la trasmissione o ricezione del messaggio via cellulare. La sua forza è anche il suo limite, posto che può riconvertire subitamente in massa la moltitudine di utenti. È ovvio che l’uso del cellulare consente, da un lato, la trasmissione di ordini (in àmbito lavorativo) o di consegne (in àmbito politico); dall’altro, soprattutto, stabilisce e consolida quel che potremmo definire il caro vecchio ciarpame della chiacchiera, ossia il gossip che rinsalda e fomenta le relazioni affettive tramite l’espressione dei sentimenti e delle attività quotidiane dell’uomo comune.
Nel caso specifico, è come se la telefonia mobile confermasse la molto 'fisica' concezione di Hegel, secondo la quale la ragione esiste solo incarnata, però spostandola dal soggetto alla macchina, il suo avatar più sicuro e affidabile. E se è vero che la memoria è la manifestazione dell’identità personale, allora l’'Agenda', il 'Calendario' e l’archivio di foto e video del cellulare costituiscono la custodia e garanzia di tale identità, minacciando addirittura di soppiantarla.
Il fatto è che, diversamente da quanto si potrebbe a prima vista supporre su di un piano politicamente corretto, l’uso del cellulare non avvicina il cittadino al mondo, che diventa sempre più ancho y ajeno, cioè troppo grande e straniante, a volte ostile. Al contrario, lo isola simbolicamente e temporalmente da esso per situarlo in uno spazio acustico cordiale, come un caldo rifugio. L’etimologia del termine gossip mostra chiaramente l’indispensabilità della sua funzione sociale: gossib era il padrino/madrina di battesimo di un bambino (god: 'Dio' e sib: 'parente'). I pettegolezzi sono un mero pretesto per «rimanere in contatto» (let keep in touch!),
per differenziarsi dalla massa e connettersi con un gruppo eletto di riferimento; si limitano ad alludere al mero (però trascendentale) desiderio di stare insieme, come un grooming a distanza trasmesso sia oralmente che attraverso Sms (o, con sempre maggiore frequenza, Mms, inviando immagini e musica come ricordo, auguri e cose del genere). Lo spazio resta quindi scandito dal binomio intimità/ estraneità tra gli interlocutori e le persone fisicamente vicine (da cui anche il sentimento di malessere di queste ultime quando una conversazione fisica, personale, viene interrotta da una chiamata sul cellulare). In questo senso il gossip può essere considerato paradossalmente come un «pettegolezzo culturale», ma non perturbatore, anzi, al contrario come promessa della possibilità di futuri significati condivisi. Da buon ghost (spettro ma anche spirito: Geist), il cellulare tenta, seduce, persuade e a volte intimorisce. E soprattutto è ubiquo, perché ricerca e modifica al tempo stesso i gruppi sociali in piccoli nuclei di affettività. La sua principale funzione non consiste nella comunicazione di idee, bensì nella diffusione e anzi, di più: nella tras-fusione di sentimenti.
In definitiva, il cellulare vive della mancanza di siti, di dati anagrafici, e provvede a essi, sia mediante la connessione del forestiero coi propri luoghi d’origine, sia - e questo è molto interessante - mediante la creazione di esplosioni situazionali. E di nuovo, è qui la filosofia (o meglio: la psicoanalisi filosofante), quella che, avant la lettre, mostra in modo chiaroveggente la nascita del nuovo soggetto mobile, un soggetto al limite, sospeso, trafitto dai molteplici venti della moltitudine. Nel suo prologo alla Psychoanalyse et transversalité di Félix Guattari, Gilles Deleuze dice di questi gruppi o soggetti emergenti, oggi ancora in statu nascendi, che essi: «si definiscono attraverso coefficienti di trasversalità, che contrastano totalità e gerarchie; sono agenti di enunciazione, sostegni di desideri, elementi di creazione istituzionale: attraverso la loro pratica, si confrontano incessantemente con il limite del proprio non-senso, della propria morte o rottura».
«Avvenire» del 20 giugno 2014

Nessun commento: