di Giuseppe O. Longo
Di recente la Bbc ha chiesto al poeta Luke Wright di scrivere un poemetto sullo stile degli xenia («doni per gli ospiti») di Marziale; allo stesso tempo il compito è stato affidato anche a un computer. I risultati sono pubblicati nel box appena qui sopra (la traduzione, approssimativa, è mia): ma sapete individuare chi – il computer o l’uomo – rispettivamente ha scritto il primo e il secondo poemetto? Io ammetto di avere sbagliato l’attribuzione. (La soluzione è in fondo all’articolo).
L’avanzata dell’intelligenza artificiale non conosce limiti: i programmi informatici riescono ad eseguire compiti sempre nuovi, e magari meglio degli uomini. Ci si può quindi domandare quanto potrà ancora resistere all’assalto delle macchine il territorio della creatività letteraria, che consideriamo tipicamente umano. Per quel tanto di «oscuro» che aleggia in certe poesie, un computer può produrre componimenti che a un lettore possono sembrare scritte da un umano, come si vede dall’esempio precedente.
Uno dei criteri classici per valutare l’intelligenza naturale è la capacità di giocare bene a scacchi. Ma da quando i migliori programmi hanno cominciato a battere regolarmente anche i grandi maestri, si è dovuto aggiornare il criterio: non è detto che chi è forte a scacchi sia intelligente (in realtà manca una definizione accettabile e condivisa di intelligenza).
Qualcuno ha proposto come parametro la capacità di scrivere un buon racconto, ma anche qui si può obiettare che anche chi non sa scrivere di narrativa può dimostrare una grande intelligenza (in matematica, negli affari, nella vita quotidiana...).
Quanto alla bontà dei risultati narrativi dell’intelligenza artificiale, le opinioni divergono parecchio. Secondo la ditta NewNovelist, che costruisce software di scrittura, non esistono programmi capaci di scrivere un romanzo, ma ne esistono che aiutano l’autore a completarlo e a scriverlo «in modo corretto» (probabilmente secondo i criteri commerciali correnti: un tot di intrigo, un tot di sesso, un tot di violenza...).
Lo scrittore Alastair Reynolds ritiene che non vi sia niente di più insensato che leggere un racconto scritto da un computer. Il primo libro stilato da un programma si deve al russo Alexander Prokopovic: scritto nel 2008, ricalca lo stile dello scrittore di culto giapponese Haruki Murakami ed è una variazione sul tema di Anna Karenina di Tolstoi. Ma Prokopovic ammette che un programma non potrà mai essere uno scrittore, così come Photoshop non potrà mai essere Raffaello.
Nel 2007 Philip Parker, professore della Insead, un’importante business school internazionale, brevettò un software che finora ha scritto oltre duecentomila libri su argomenti svariatissimi: non certo capolavori letterari, piuttosto compilazioni, rassegne e sommari, soprattutto di carattere economico. Uno specialista ci metterebbe mesi a organizzare un materiale che il programma allestisce in una mezz’ora. Ma la tentazione di passare alla letteratura è forte, e Parker ha cominciato a sperimentare un software che dovrebbe costruire narrativa «automatica»: esso consente di scegliere i personaggi, l’ambientazione, il genere e la trama e produce testi che vanno da un breve racconto a un romanzo vero e proprio.
Insomma sembra che, se si può identificare una formula per la stesura di una narrazione, allora lo scrittore può essere sostituito da un algoritmo. Secondo Parker «il computer lavora bene in base a regole assegnate e il campo della poesia è il più facile da formalizzare». In questo spirito egli ha organizzato un esperimento, proponendo a molti soggetti un sonetto di Shakespeare e uno scritto dal computer; il risultato è stato sorprendente: non sapendo chi fossero gli autori, la maggioranza degli interpellati ha preferito il secondo!
Ci si può chiedere se un romanzo «artificiale» sia davvero un romanzo, ma allo stesso modo ci si può chiedere se una narrazione tradizionale sia davvero originale: in fondo la letteratura si basa sulla letteratura. Oggi molta narrativa è scritta secondo una formula piuttosto precisa, che viene via via aggiustata seguendo il successo di pubblico (il successo di critica è forse altra cosa): seguendo queste indicazioni e traducendole in un programma, il computer potrebbe scrivere opere narrative più o meno indistinguibili da quelle umane.
Soluzione del test: «Alla Verità» è stato scritto dal computer, «A Felicity» invece da Luke Wright.
L’avanzata dell’intelligenza artificiale non conosce limiti: i programmi informatici riescono ad eseguire compiti sempre nuovi, e magari meglio degli uomini. Ci si può quindi domandare quanto potrà ancora resistere all’assalto delle macchine il territorio della creatività letteraria, che consideriamo tipicamente umano. Per quel tanto di «oscuro» che aleggia in certe poesie, un computer può produrre componimenti che a un lettore possono sembrare scritte da un umano, come si vede dall’esempio precedente.
Uno dei criteri classici per valutare l’intelligenza naturale è la capacità di giocare bene a scacchi. Ma da quando i migliori programmi hanno cominciato a battere regolarmente anche i grandi maestri, si è dovuto aggiornare il criterio: non è detto che chi è forte a scacchi sia intelligente (in realtà manca una definizione accettabile e condivisa di intelligenza).
Qualcuno ha proposto come parametro la capacità di scrivere un buon racconto, ma anche qui si può obiettare che anche chi non sa scrivere di narrativa può dimostrare una grande intelligenza (in matematica, negli affari, nella vita quotidiana...).
Quanto alla bontà dei risultati narrativi dell’intelligenza artificiale, le opinioni divergono parecchio. Secondo la ditta NewNovelist, che costruisce software di scrittura, non esistono programmi capaci di scrivere un romanzo, ma ne esistono che aiutano l’autore a completarlo e a scriverlo «in modo corretto» (probabilmente secondo i criteri commerciali correnti: un tot di intrigo, un tot di sesso, un tot di violenza...).
Lo scrittore Alastair Reynolds ritiene che non vi sia niente di più insensato che leggere un racconto scritto da un computer. Il primo libro stilato da un programma si deve al russo Alexander Prokopovic: scritto nel 2008, ricalca lo stile dello scrittore di culto giapponese Haruki Murakami ed è una variazione sul tema di Anna Karenina di Tolstoi. Ma Prokopovic ammette che un programma non potrà mai essere uno scrittore, così come Photoshop non potrà mai essere Raffaello.
Nel 2007 Philip Parker, professore della Insead, un’importante business school internazionale, brevettò un software che finora ha scritto oltre duecentomila libri su argomenti svariatissimi: non certo capolavori letterari, piuttosto compilazioni, rassegne e sommari, soprattutto di carattere economico. Uno specialista ci metterebbe mesi a organizzare un materiale che il programma allestisce in una mezz’ora. Ma la tentazione di passare alla letteratura è forte, e Parker ha cominciato a sperimentare un software che dovrebbe costruire narrativa «automatica»: esso consente di scegliere i personaggi, l’ambientazione, il genere e la trama e produce testi che vanno da un breve racconto a un romanzo vero e proprio.
Insomma sembra che, se si può identificare una formula per la stesura di una narrazione, allora lo scrittore può essere sostituito da un algoritmo. Secondo Parker «il computer lavora bene in base a regole assegnate e il campo della poesia è il più facile da formalizzare». In questo spirito egli ha organizzato un esperimento, proponendo a molti soggetti un sonetto di Shakespeare e uno scritto dal computer; il risultato è stato sorprendente: non sapendo chi fossero gli autori, la maggioranza degli interpellati ha preferito il secondo!
Ci si può chiedere se un romanzo «artificiale» sia davvero un romanzo, ma allo stesso modo ci si può chiedere se una narrazione tradizionale sia davvero originale: in fondo la letteratura si basa sulla letteratura. Oggi molta narrativa è scritta secondo una formula piuttosto precisa, che viene via via aggiustata seguendo il successo di pubblico (il successo di critica è forse altra cosa): seguendo queste indicazioni e traducendole in un programma, il computer potrebbe scrivere opere narrative più o meno indistinguibili da quelle umane.
Soluzione del test: «Alla Verità» è stato scritto dal computer, «A Felicity» invece da Luke Wright.
«Avvenire» del 30 dicembre 2013
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