05 luglio 2013

Narcisi & analfabeti, gli italiani in una serra

L'inchiesta
di Roberto I. Zanini
Per il Censis non ci sono dubbi: viviamo in una società impersonale, fatta di individui che non hanno coscienza di sé e del proprio rapporto con la collettività. Destrutturati, devitalizzati, incapaci di costruirsi un’opinione autonoma, perché soggiogati dalle immagini; sempre più disinteressati alla lettura; con un livello di istruzione che ci pone al penultimo posto in Europa (dopo di noi solo la Romania), ma al quarto posto in Europa nel mercato dei videogiochi e al terzo nel mondo per la percentuale di abitanti che ricorrono alla chirurgia estetica, dopo Corea del Sud e Grecia, con un incremento di interventi che fra il 2011 e il 2012, cioè in piena crisi economica, è stato del 24%.
Fenomenologia della società impersonale è il tema della tavola rotonda organizzata dal Censis (con ricerca omonima), che ieri ha posto a confronto, col direttore generale Giuseppe Roma, la responsabile del settore Politiche culturali dell’istituto di ricerca Elisa Manna, il presidente Giuseppe De Rita, il sociologo Franco Ferrarotti e Remo Bodei, docente di filosofia alla University of California. Chiamato a commentare l’analisi del Censis, Ferrarotti è stato ancora più severo. Secondo lui viviamo in una società di deresponsabilizzati che si stanno trasformando in «rimbambiti», cioè in regrediti in una sorta di mondo infantile in cui ciascuno «nega per sé un progetto, un’idea di esistenza». Per niente tenero anche Remo Bodei per il quale la nostra società ha perso ogni «capacità immunitaria» di fronte al bombardamento per immagini che viene da tv e nuovi media. Bombardamento che ha fatto crollare i muri delle nostre abitazioni attraverso «la domesticazione di ogni argomento, a cominciare dalla politica». Tutti guardiamo e nessuno più legge, nessuno più ascolta. Le nostre abitazioni, cioè i nuclei della nostra società, «sono diventate le serre dove si coltiva e si forma il consenso politico e commerciale». E poiché il bombardamento di immagini non prevede alcun confronto sulle idee, non ne contempla l’analisi né, tanto meno, produce forme di discussione, ecco che «tutte le opinioni diventano equivalenti».
Concetti che Bodei riassume in parole, se vogliamo, ancor più terrificanti di quelle di Ferrarotti: «Oggi ci si può domandare invano se esista ancora un’opinione pubblica». È invece molto più facile verificare, prosegue il docente di filosofia, «l’esistenza di un’atmosfera diffusa all’interno della quale si possono creare fenomeni, accendere fari su avvenimenti, concentrare l’attenzione su un evento piuttosto che sull’altro». E allora, è l’amaro corollario di Bodei, «se tutte le opinioni sono sullo stesso piano, perché agitarsi?». Domanda retorica, naturalmente, che aveva avuto la sua risposta nell’analisi del Censis proposta da Elisa Manna. Analisi che mette insieme recenti ricerche dalle quali emergono dati forse ancora troppo poco meditati. Il primo lo abbiamo citato in apertura: fra i 27 Paesi dell’Unione l’Italia è quella, insieme alla Romania, con la percentuale più bassa di laureati: 13,8% nel 2012. La Grecia ne ha 23, il Portogallo e la Slovacchia 17, il Regno Unito 35, la Francia 28, l’Estonia 32, la Bulgaria 20,7. Una situazione aggravata dalla nostra refrattarietà alla lettura, poiché, sempre nel 2012, ben il 54% degli italiani con più di 6 anni non ha letto nemmeno un libro. Già nel 2011, lo ricordiamo, Tullio De Mauro aveva evidenziato come il 70% degli italiani si trovi sotto il livello di comprensione di un testo scritto di media lunghezza e difficoltà. Ancor più sconcertante, ha ricordato Elisa Manna, il quadro della nuova ricerca Ocse (Adult literarcy and life skills) secondo la quale «nel nostro Paese si registra il diffondersi di un analfabetismo funzionale, cioè l’incapacità da parte degli individui di usare in modo efficiente le abilità di lettura, di scrittura e calcolo». Insomma, la società impersonale «non ha cultura sufficiente, non ha le parole per dire le cose, né in politica, né nelle situazioni affettive. I recenti fatti di cronaca violenta, l’esperienza nelle relazioni quotidiane ci dicono che tante persone sanno esprimere solo amore od odio, bianco o nero e non sanno più modulare le sfumature». Dalle scelte fatte dagli ultimi governi, inoltre, risulta che la politica è totalmente disinteressata alla cultura.
Tutto questo mentre la società e i nostri giovani sono sempre più interessati dalla dimensione del gioco, «ma non al gioco che favorisce la socializzazione, ma a forme di gioco che ci pongono da soli con una tastiera». Capita infatti che il 31,4% di genitori con figli sotto i 13 anni trovi il tempo per passare almeno un’ora al giorno con i videogiochi. E il dato non prende in considerazione i giochi online. Allo stesso tempo il 31,4% degli adolescenti afferma di avere amici che giocano on line a poker. «Sempre più gente, quindi – commenta Manna – si lascia coinvolgere in sistemi di gioco organizzati per fini commerciali». Se questi dati si sommano a quelli citati sul ricorso alla chirurgia estetica e al fatto che in Italia nascono ogni settimana quattro nuovi centri per il tatuaggio del corpo si ha il ritratto di una società deresponsabilizzata, costituita da narcisisti, scarsamente istruiti e demotivati socialmente, con una percezione della realtà condizionata dai media, che come spiega il Censis, deformano la realtà anche nel fornire le notizie, al punto che le informazioni sulla cronaca nera hanno un peso nei notiziari fino a tre volte superiore a quanto ne abbiano realmente nella società. Come dice Ferrarotti «i media non mediano, non offrono chiavi interpretative. La lettura esige un confronto con se stessi e la costruzione di una tavola di priorità e di valori; l’audiovisivo offre un’immagine sintetica precostituita». E la logica commerciale che anima i new media è promossa da «coloro che chiamo i profeti della putrefazione accelerata della società». Una logica che riduce tutto a «un voyeurismo che è una forma di accettata irrilevanza sociale». «Pochi leggono, tutti guardano», ribadisce Bodei. «Allora il denaro trionfa su tutto, la democrazia entra in crisi e gli interessi di piccoli gruppi, diffusi con una logica mafiosa, sono destinati a trionfare», dice Ferrarotti. «È la società che ha come simboli l’invidia e il livellamento», aggiunge De Rita. Un quadro devastante. Ma come se ne esce? «L’antidoto deve venire dal basso - afferma Ferrarotti - perché come sosteneva Hölderlin - lì dove maggiore è il pericolo cresce ciò che salva». Sia Bodei che Ferrarotti, evidenziano la necessità di riscoprire le relazioni e il concetto di prossimo cristianamente inteso. Anzi, si spinge a dire il sociologo, «dopo 20 secoli il cristianesimo potrebbe non essere ancora iniziato». «Ciascuno di noi deve imparare a dare di più - conclude De Rita - ma il di più viene dall’alto, cioè da qualcosa che dà un senso d’anima».
«Avvenire» del 26 giugno 2013

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