Dall'antica Grecia al Seicento, le radici della science fiction sono profondissime. E danno ancora buoni frutti
di Luca Gallesi
Tanto per fare chiarezza sul luogo comune che relega la letteratura fantascientifica nella narrativa di serie B, tra i western e i gialli, è bene ricordare che il primo racconto di fantascienza risale al dialogo Icaromenippo di Luciano di Samosata, che descrive un viaggio sulla Luna del filosofo cinico Menippo di Gadara, a cui si ispireranno, molti secoli dopo, Le avventure del Barone di Münchhausen.
Molti gli autori che si sono cimentati col genere in opere che possiamo definire «classici»: da Cyrano de Bergerac, con le Histoires comiques a Jonathan Swift, coi Viaggi di Gulliver, dalle storie di Jules Verne a gran parte della produzione di H.G. Wells, passando per Mary Shelley e Frankenstein, E.A. Poe, coi suoi racconti del terrore, R.L. Stevenson, inventore di Jekyll e Hyde, fino a molti racconti di Kipling e ad alcuni romanzi di Jack London, per giungere ad alcuni insospettabili contemporanei come il Cormac McCarthy autore de La strada o il Philip Roth di Il complotto contro l'America o anche il Jonathan Lethem di Ragazza con paesaggio. Senza ovviamente dimenticare la Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. H.P. Lovecraft e Stephen King compongono un capitolo a parte, e ormai passano per «classici», anche se non tutta la loro produzione è dello stesso livello, cosa che vale anche per autori usciti dal ghetto «spaziale» come Philip K. Dick, Ray Bradbury e J.G. Ballard.
Detto questo, ben venga la ripubblicazione, da Mimesis, di quello che fu un lavoro pionieristico: Il senso del futuro, di Carlo Pagetti, che nel '67 fu la sua tesi di laurea con Agostino Lombardo e nel '70 venne pubblicato dalle Edizioni di storia e letteratura nella collana «Biblioteca di Studi Americani», di cui l'odierna ristampa conserva l'indice di tutti i titoli pubblicati da autorevoli accademici come Sergio Perosa e Claudio Gorlier, Elémire Zolla e Glauco Cambon. Tutti nomi prestigiosi, come prestigioso è diventato Pagetti, nel frattempo salito in cattedra a sua volta, ma senza dimenticare la propria passione giovanile, che coltiva ancora come curatore dell'edizione italiana delle opere complete di Philip K. Dick.
Il senso del futuro, ovvero La fantascienza nella letteratura americana, come recita il sottotitolo, è rimasto quello di allora, ma con l'aggiunta di un'introduzione dell'autore in cui vengono ribaditi scopi e intenzioni dell'opera: dimostrare che nella fantascienza confluiscono forme di riscrittura che guardano alla grande tradizione del romance americano, quel filone letterario che unisce Poe, Hawthorne, Melville e persino Twain. Per dimostrarlo, Pagetti parte da lontano, e prende le mosse addirittura dalla Tempesta di Shakespeare, che può essere considerato il paradigma di molta narrativa fantastica e fantascientifica, col suo protagonista mezzo alchimista e mezzo stregone al comando di personaggi che potrebbero essere tanto creature fantastiche quanto alieni extraterrestri.
Pagetti ci mostra «le meraviglie del possibile» presenti in opere e autori che non avremmo mai considerato di fantascienza: Moby Dick può benissimo diventare un Alien dell'Ottocento, così come Rip Van Winkle di Washington Irving è uno dei tanti viaggiatori nel tempo che diventeranno una presenza fissa nella fantascienza della prima metà del secolo scorso; Orwell e Huxley, in compagnia del britannico Burgess, riprendono la tradizione utopistica rinascimentale di Moro, Campanella e Bacone, mentre Ray Bradbury e William Golding, coi suoi bambini cattivi che adorano Il signore delle mosche si affiancano a Salinger nel riprendere il sano cinismo di uno Swift che non perde occasione per ricordarci la naturale cattiveria dell'animo umano, spazzando tutte le melense ipocrisie sul tema.
La fantascienza, neologismo coniato nel 1926 da Hugo Gernsback, il leggendario direttore di Amazing Stories, nasce come «un affascinante romanzo fantastico in cui si mescolano fatti scientifici e visioni profetiche», ma più che sulla scienza e sul futuro, gli autori di storie spaziali ci raccontano qualcosa sulla natura umana da una prospettiva diversa, che permette loro un'inusitata libertà d'azione e quindi un originale sguardo sulla condizione umana. Condizione che le scoperte scientifiche non hanno migliorato, e la tecnologia non ha reso più sopportabile. L'atmosfera di incertezza e inquietudine che oggi respiriamo senza quasi accorgercene era stata prefigurata dalla letteratura fantascientifica dello scorso secolo, e gli alieni che ci raffiguravamo con tentacoli e antenne forse sono già tra noi, e ci spiano con microchip, telecamere e codici a barre.
Molti gli autori che si sono cimentati col genere in opere che possiamo definire «classici»: da Cyrano de Bergerac, con le Histoires comiques a Jonathan Swift, coi Viaggi di Gulliver, dalle storie di Jules Verne a gran parte della produzione di H.G. Wells, passando per Mary Shelley e Frankenstein, E.A. Poe, coi suoi racconti del terrore, R.L. Stevenson, inventore di Jekyll e Hyde, fino a molti racconti di Kipling e ad alcuni romanzi di Jack London, per giungere ad alcuni insospettabili contemporanei come il Cormac McCarthy autore de La strada o il Philip Roth di Il complotto contro l'America o anche il Jonathan Lethem di Ragazza con paesaggio. Senza ovviamente dimenticare la Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. H.P. Lovecraft e Stephen King compongono un capitolo a parte, e ormai passano per «classici», anche se non tutta la loro produzione è dello stesso livello, cosa che vale anche per autori usciti dal ghetto «spaziale» come Philip K. Dick, Ray Bradbury e J.G. Ballard.
Detto questo, ben venga la ripubblicazione, da Mimesis, di quello che fu un lavoro pionieristico: Il senso del futuro, di Carlo Pagetti, che nel '67 fu la sua tesi di laurea con Agostino Lombardo e nel '70 venne pubblicato dalle Edizioni di storia e letteratura nella collana «Biblioteca di Studi Americani», di cui l'odierna ristampa conserva l'indice di tutti i titoli pubblicati da autorevoli accademici come Sergio Perosa e Claudio Gorlier, Elémire Zolla e Glauco Cambon. Tutti nomi prestigiosi, come prestigioso è diventato Pagetti, nel frattempo salito in cattedra a sua volta, ma senza dimenticare la propria passione giovanile, che coltiva ancora come curatore dell'edizione italiana delle opere complete di Philip K. Dick.
Il senso del futuro, ovvero La fantascienza nella letteratura americana, come recita il sottotitolo, è rimasto quello di allora, ma con l'aggiunta di un'introduzione dell'autore in cui vengono ribaditi scopi e intenzioni dell'opera: dimostrare che nella fantascienza confluiscono forme di riscrittura che guardano alla grande tradizione del romance americano, quel filone letterario che unisce Poe, Hawthorne, Melville e persino Twain. Per dimostrarlo, Pagetti parte da lontano, e prende le mosse addirittura dalla Tempesta di Shakespeare, che può essere considerato il paradigma di molta narrativa fantastica e fantascientifica, col suo protagonista mezzo alchimista e mezzo stregone al comando di personaggi che potrebbero essere tanto creature fantastiche quanto alieni extraterrestri.
Pagetti ci mostra «le meraviglie del possibile» presenti in opere e autori che non avremmo mai considerato di fantascienza: Moby Dick può benissimo diventare un Alien dell'Ottocento, così come Rip Van Winkle di Washington Irving è uno dei tanti viaggiatori nel tempo che diventeranno una presenza fissa nella fantascienza della prima metà del secolo scorso; Orwell e Huxley, in compagnia del britannico Burgess, riprendono la tradizione utopistica rinascimentale di Moro, Campanella e Bacone, mentre Ray Bradbury e William Golding, coi suoi bambini cattivi che adorano Il signore delle mosche si affiancano a Salinger nel riprendere il sano cinismo di uno Swift che non perde occasione per ricordarci la naturale cattiveria dell'animo umano, spazzando tutte le melense ipocrisie sul tema.
La fantascienza, neologismo coniato nel 1926 da Hugo Gernsback, il leggendario direttore di Amazing Stories, nasce come «un affascinante romanzo fantastico in cui si mescolano fatti scientifici e visioni profetiche», ma più che sulla scienza e sul futuro, gli autori di storie spaziali ci raccontano qualcosa sulla natura umana da una prospettiva diversa, che permette loro un'inusitata libertà d'azione e quindi un originale sguardo sulla condizione umana. Condizione che le scoperte scientifiche non hanno migliorato, e la tecnologia non ha reso più sopportabile. L'atmosfera di incertezza e inquietudine che oggi respiriamo senza quasi accorgercene era stata prefigurata dalla letteratura fantascientifica dello scorso secolo, e gli alieni che ci raffiguravamo con tentacoli e antenne forse sono già tra noi, e ci spiano con microchip, telecamere e codici a barre.
«Il Giornale» del 6 febbraio 2013
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