Il 60% dei turisti le consulta per scegliere dove mangiare e dormire ma un terzo è falso. E i siti che tutelano le "vittime" dai finti commenti sono davvero pochi
di Roberta Pasero
«Si può perdonare tutto tranne che una buona reputazione». Altri tempi. Oggi i frequentatori del web non la pensano come Oscar Wilde, tanto che una delle maggiori preoccupazioni dell’era internettiana è quella di avere una buona reputazione, almeno on line.
«Nell’era digitale la reputazione non è più soltanto un concetto filosofico, ma qualcosa che rimane scalfita nel web per sempre. Ognuno di noi ha una sua carta d’identità digitale che, magari senza saperlo, viene macchiata dai contenuti pubblicati da anonimi su motori di ricerca, Facebook, blog, su 30 miliardi di pagine web», spiega Andrea Barchiesi, amministratore delegato di Reputation manager, società che analizza l’immagine on line aiutando aziende e professionisti a non perdere la cyber reputazione.
«Su internet- racconta l’ad- la verità non esiste, così come la riservatezza. Tutti possonocadere vittime di un abuso dei dati personali. Per esempio chi cerca un posto e vede il proprio profilo sbattuto in rete e dunque visibile dai futuri datori di lavoro, oppure chi ha la sua reputazione distrutta per una foto o un video pubblicato per vendetta com’è capitato a Belen con il suo filmato hot messo in rete da un ex fidanzato ».E poi c’è chi ha mandato infumo la carriera per commenti inopportuni scritti su Facebook credendosi invisibile, com’è capitato alla dipendente della Danieli, società di forni industriali per l’acciaio, che per aver scritto qualcosa tipo “Che noia una giornata in Danieli” è stata licenziata.
Uno dei settori più in crisi di identità digitale è il turismo. Qui tutto può accadere, tra giudizi falsi positivi e recensioni finte negative pubblicate nei portali di viaggi, Com’è capitato in Gran Bretagna dove sono state sbugiardate le recensioni negative di Helen Griffiths, su TripAdvisor, una delle più influenti community di viaggio, e su molti altri siti gastronomici, che riguardavano il ristorante «The Good Life» aperto da una rivale in amore a Shrewsbury. È stata la polizia postale a smascherarla e a costringerla a pubblicare sul Times l’ammissione di colpa:«Ho scritto i miei giudizi negativi senza essere mai entrata in quel ristorante e dunque senza avervi mai mangiato». E pensare che proprio TripAdvisor ha come motto «Get the truth, then go» (trova la verità e poi va). «Purtroppo non è così. Ormai almeno il 60 per cento dei turisti consulta le opinioni lasciate sui portali turistici da altri viaggiatori non sapendo però che un terzo delle recensioni sono false. Il danno è enorme: se tanti giudizi positivi scritti ad arte fanno scalare a hotel e ristoranti posizioni importanti nelle pagine web dando loro visibilità e dunque maggiori probabilità di clienti, le recensioni negative possono screditare a tal punto una struttura turistica da portarla al fallimento» spiega Enrico Ferretti, titolare della Secret Key, società di web marketing specializzata nel turismo. «Ma a scrivere recensioni negative - continua Ferretti - sono anche i clienti pronti a minacciare pessimi giudizi se non ottengono sconti adeguati, come capita spesso anche negli alberghi italiani».
Purtroppo sono pochi i siti che cercano di tutelare i ristoratori. Tra questi Booking.comche consente di scrivere commenti solo a chi ha acquistato la vacanza attraverso il loro portale, mentre TravelPost spesso verifica che il cliente abbia realmente soggiornato nella struttura che recensisce.
Ma se ormai la frittata è fatta come ci si può rifare una reputazione in rete? «Leggi che tutelino le vittime del web non esistono» spiega Andrea Barchiesi. «Si cerca, perciò, di rimediare al danno, studiando il posizionamento dei contenuti lesivi o falsi nei motori di ricerca e anche la strategia migliore per isolarli. Poi si richiede la rimozione al sito o la pubblicazione di una rettifica quando si tratta di informazioni scorrette».Nel settore turistico, invece, è più complicato: «un esempio positivo arriva dalla Francia dove il tribunale ha condannato i siti turistici on line Expedia, TripAdvisor e Hotels. com a pagare 427mila euro al Synhorcat, il sindacato che rappresenta operatori alberghieri e ristoratori, per pratiche sleali e ingannevoli », dice Enrico Ferretti. Insomma a distanza di oltre quattro secoli si deve ancora dar ragione a Shakespeare quando affermava: «La reputazione? È una veste effimera e convenzionale, guadagnata spesso senza merito e perduta senza colpa».
«Nell’era digitale la reputazione non è più soltanto un concetto filosofico, ma qualcosa che rimane scalfita nel web per sempre. Ognuno di noi ha una sua carta d’identità digitale che, magari senza saperlo, viene macchiata dai contenuti pubblicati da anonimi su motori di ricerca, Facebook, blog, su 30 miliardi di pagine web», spiega Andrea Barchiesi, amministratore delegato di Reputation manager, società che analizza l’immagine on line aiutando aziende e professionisti a non perdere la cyber reputazione.
«Su internet- racconta l’ad- la verità non esiste, così come la riservatezza. Tutti possonocadere vittime di un abuso dei dati personali. Per esempio chi cerca un posto e vede il proprio profilo sbattuto in rete e dunque visibile dai futuri datori di lavoro, oppure chi ha la sua reputazione distrutta per una foto o un video pubblicato per vendetta com’è capitato a Belen con il suo filmato hot messo in rete da un ex fidanzato ».E poi c’è chi ha mandato infumo la carriera per commenti inopportuni scritti su Facebook credendosi invisibile, com’è capitato alla dipendente della Danieli, società di forni industriali per l’acciaio, che per aver scritto qualcosa tipo “Che noia una giornata in Danieli” è stata licenziata.
Uno dei settori più in crisi di identità digitale è il turismo. Qui tutto può accadere, tra giudizi falsi positivi e recensioni finte negative pubblicate nei portali di viaggi, Com’è capitato in Gran Bretagna dove sono state sbugiardate le recensioni negative di Helen Griffiths, su TripAdvisor, una delle più influenti community di viaggio, e su molti altri siti gastronomici, che riguardavano il ristorante «The Good Life» aperto da una rivale in amore a Shrewsbury. È stata la polizia postale a smascherarla e a costringerla a pubblicare sul Times l’ammissione di colpa:«Ho scritto i miei giudizi negativi senza essere mai entrata in quel ristorante e dunque senza avervi mai mangiato». E pensare che proprio TripAdvisor ha come motto «Get the truth, then go» (trova la verità e poi va). «Purtroppo non è così. Ormai almeno il 60 per cento dei turisti consulta le opinioni lasciate sui portali turistici da altri viaggiatori non sapendo però che un terzo delle recensioni sono false. Il danno è enorme: se tanti giudizi positivi scritti ad arte fanno scalare a hotel e ristoranti posizioni importanti nelle pagine web dando loro visibilità e dunque maggiori probabilità di clienti, le recensioni negative possono screditare a tal punto una struttura turistica da portarla al fallimento» spiega Enrico Ferretti, titolare della Secret Key, società di web marketing specializzata nel turismo. «Ma a scrivere recensioni negative - continua Ferretti - sono anche i clienti pronti a minacciare pessimi giudizi se non ottengono sconti adeguati, come capita spesso anche negli alberghi italiani».
Purtroppo sono pochi i siti che cercano di tutelare i ristoratori. Tra questi Booking.comche consente di scrivere commenti solo a chi ha acquistato la vacanza attraverso il loro portale, mentre TravelPost spesso verifica che il cliente abbia realmente soggiornato nella struttura che recensisce.
Ma se ormai la frittata è fatta come ci si può rifare una reputazione in rete? «Leggi che tutelino le vittime del web non esistono» spiega Andrea Barchiesi. «Si cerca, perciò, di rimediare al danno, studiando il posizionamento dei contenuti lesivi o falsi nei motori di ricerca e anche la strategia migliore per isolarli. Poi si richiede la rimozione al sito o la pubblicazione di una rettifica quando si tratta di informazioni scorrette».Nel settore turistico, invece, è più complicato: «un esempio positivo arriva dalla Francia dove il tribunale ha condannato i siti turistici on line Expedia, TripAdvisor e Hotels. com a pagare 427mila euro al Synhorcat, il sindacato che rappresenta operatori alberghieri e ristoratori, per pratiche sleali e ingannevoli », dice Enrico Ferretti. Insomma a distanza di oltre quattro secoli si deve ancora dar ragione a Shakespeare quando affermava: «La reputazione? È una veste effimera e convenzionale, guadagnata spesso senza merito e perduta senza colpa».
«Il Giornale» dell'11 agosto 2012
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