Gli ex rivoluzionari ora difendono il passato...
di Luigi Mascheroni
Gli uomini si dividono in due categorie: i conservatori e quelli che stanno per diventarlo. I rivoluzionari di una volta sono gli stessi che oggi difendono più strenuamente ambiente, lavoro, scuola e tutto ciò che è il passato
Gli uomini, come anche le donne, si dividono in due categorie: i conservatori e quelli che si apprestano a diventarlo.
Una boutade? Non proprio. È la constatazione (liberatoria) cui giunge il lettore alla fine del nuovo pamphlet di Armando Torno Il paradosso dei conservatori (Bompiani), dove attraverso esempi concreti tratti dall’attualità e citazioni filosofiche che spaziano da Filone di Alessandria a György Lukács, si tentano due operazioni. La prima: capire cosa si intenda oggi con la parola «conservatore», ancora fino a poco tempo fa un vero insulto, un’etichetta appiccicata come marchio d’infamia al «fascista» e spesso appositamente confusa con il termine «reazionario». La seconda: far notare che anche il più insospettabile dei progressisti col tempo si trasforma, magari senza accorgersene, in conservatore. Il vecchio detto popolare «si nasce incendiari, si muore pompieri», alla prova della storia, sembra avere una propria giustificazione filosofica.
I conservatori veri, almeno in Italia, sono pochissimi. Oggi l’unico «reo confesso» è Sergio Romano. Ieri c’erano - ad esempio - Panfilo Gentile, Augusto del Noce, soprattutto Indro Montanelli. Intellettuali che, secondo l’imperitura definizione di Giuseppe Prezzolini, «preferiscono alle rivoluzioni gli adattamenti, le modificazioni, le evoluzioni, gli assaggi, i ritocchi, almeno nei punti essenziali della coesistenza sociale. Il rispetto delle consuetudini non nasce nella mente del conservatore dal pensare che esse siano perfette; tutt’altro: nasce dal fatto che le considera come meno imperfette, poiché esistono, di quelle che ancora non esistono; per far esistere le quali ci vorrebbe uno sforzo che sarebbe più opportuno applicare a far funzionare meglio quelle esistenti». Un Manifesto dei conservatori uscito da Rusconi (vera casa editrice conservatrice) nel 1972. Qualche anno dopo, come nota Torno, quelle parole diventeranno il programma riformista dei socialisti. A dimostrazione di come si possa diventare conservatori senza accorgersene, cominciando dalle piccole situazioni della vita quotidiana e arrivando ai grandi temi sociali.
Dalle idee alle ideologie. È, in fondo, il percorso tracciato da Armano Torno, il quale si diverte a scovare il «paradosso» di vecchi progressisti che si scoprono conservatori, nei campi più diversi. Cioè gli «ambiti d’azione» che scandiscono i capitoli del libro: conservare la bellezza, conservare la terra, conservare il lavoro, conservare la cultura... Ci avete fatto caso? Le donne che più si accaniscono a «conservare» la propria bellezza a forza di lifting e impianti sono le più impegnate attrici radical-chic. I più combattivi «conservatori» dell’ambiente naturale, in guerra contro il progresso e lo sviluppo tecnologico del pianeta, sono gli ecologisti «di sinistra». I più accessi «conservatori» dei vantaggi acquisiti dalle battaglie sociali degli ultimi decenni nel mondo del lavoro, in opposizione a ogni riforma del sistema dettata dal nuovo corso dell’economia, sono i rivoluzionari degli anni caldi della contestazione. E più inflessibili «protettori» della scuola, sordi alle necessità di cambiamento imposte da un mondo in continua evoluzione, escono proprio dalle file degli ex Sessantottini. È curioso - o paradossale? - ma oggi i più strenui difensori del passato sono coloro che si proclamano progressisti.
E i conservatori? Apparentemente, spariti. A meno che siano semplicemente camuffati. Come intuì Oscar Wilde quando ammoniva: «Pensa come un conservatore e parla come un radicale: questo è così importante al giorno d’oggi». Che non è (solo) una boutade.
Una boutade? Non proprio. È la constatazione (liberatoria) cui giunge il lettore alla fine del nuovo pamphlet di Armando Torno Il paradosso dei conservatori (Bompiani), dove attraverso esempi concreti tratti dall’attualità e citazioni filosofiche che spaziano da Filone di Alessandria a György Lukács, si tentano due operazioni. La prima: capire cosa si intenda oggi con la parola «conservatore», ancora fino a poco tempo fa un vero insulto, un’etichetta appiccicata come marchio d’infamia al «fascista» e spesso appositamente confusa con il termine «reazionario». La seconda: far notare che anche il più insospettabile dei progressisti col tempo si trasforma, magari senza accorgersene, in conservatore. Il vecchio detto popolare «si nasce incendiari, si muore pompieri», alla prova della storia, sembra avere una propria giustificazione filosofica.
I conservatori veri, almeno in Italia, sono pochissimi. Oggi l’unico «reo confesso» è Sergio Romano. Ieri c’erano - ad esempio - Panfilo Gentile, Augusto del Noce, soprattutto Indro Montanelli. Intellettuali che, secondo l’imperitura definizione di Giuseppe Prezzolini, «preferiscono alle rivoluzioni gli adattamenti, le modificazioni, le evoluzioni, gli assaggi, i ritocchi, almeno nei punti essenziali della coesistenza sociale. Il rispetto delle consuetudini non nasce nella mente del conservatore dal pensare che esse siano perfette; tutt’altro: nasce dal fatto che le considera come meno imperfette, poiché esistono, di quelle che ancora non esistono; per far esistere le quali ci vorrebbe uno sforzo che sarebbe più opportuno applicare a far funzionare meglio quelle esistenti». Un Manifesto dei conservatori uscito da Rusconi (vera casa editrice conservatrice) nel 1972. Qualche anno dopo, come nota Torno, quelle parole diventeranno il programma riformista dei socialisti. A dimostrazione di come si possa diventare conservatori senza accorgersene, cominciando dalle piccole situazioni della vita quotidiana e arrivando ai grandi temi sociali.
Dalle idee alle ideologie. È, in fondo, il percorso tracciato da Armano Torno, il quale si diverte a scovare il «paradosso» di vecchi progressisti che si scoprono conservatori, nei campi più diversi. Cioè gli «ambiti d’azione» che scandiscono i capitoli del libro: conservare la bellezza, conservare la terra, conservare il lavoro, conservare la cultura... Ci avete fatto caso? Le donne che più si accaniscono a «conservare» la propria bellezza a forza di lifting e impianti sono le più impegnate attrici radical-chic. I più combattivi «conservatori» dell’ambiente naturale, in guerra contro il progresso e lo sviluppo tecnologico del pianeta, sono gli ecologisti «di sinistra». I più accessi «conservatori» dei vantaggi acquisiti dalle battaglie sociali degli ultimi decenni nel mondo del lavoro, in opposizione a ogni riforma del sistema dettata dal nuovo corso dell’economia, sono i rivoluzionari degli anni caldi della contestazione. E più inflessibili «protettori» della scuola, sordi alle necessità di cambiamento imposte da un mondo in continua evoluzione, escono proprio dalle file degli ex Sessantottini. È curioso - o paradossale? - ma oggi i più strenui difensori del passato sono coloro che si proclamano progressisti.
E i conservatori? Apparentemente, spariti. A meno che siano semplicemente camuffati. Come intuì Oscar Wilde quando ammoniva: «Pensa come un conservatore e parla come un radicale: questo è così importante al giorno d’oggi». Che non è (solo) una boutade.
«Il Giornale» del 16 settembre 2011
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