Lo studioso denuncia in un libro l’ostilità verso Israele e il dilagare degli stereotipi contro gli ebrei
di Aldo Cazzullo
L’accusa di Luzzatto Voghera: ecco i nuovi pregiudizi
L’idea di Gadi Luzzatto Voghera, autore per Einaudi di un saggio destinato ad accendere la discussione, è che l’antisemitismo non sia un’esclusiva della destra, e neppure alligni solo nella sinistra radicale. Anche alla sinistra riformista, perbene, che si accinge a far nascere il partito democratico, accade di parlare un linguaggio antisemita; «che è un linguaggio molto moderno, usato dalle diversi componenti della politica europea. Compresi i partiti di sinistra, che restano il mondo in cui mi riconosco». Luzzatto parte dal Marx della Questione ebraica, dalle invettive di Proudhon, Bakunin, Jaurès, per dimostrare che sinistra e antisemitismo non sono incompatibili. E analizza le radici dell’antisemitismo gauchiste: il terzomondismo; il mito di Arafat nuovo Che Guevara; il retaggio antigiudaico che sopravvive nel pacifismo cristiano. «Non partecipo alla denigrazione del cattocomunismo, che invece ai miei occhi conserva un certo fascino. Ma non mi sfugge che i frati delle marce di Assisi sono francescani come quelli della Custodia di Terrasanta, che fino all’avvento di padre Pizzaballa producevano documenti di incredibile virulenza antiebraica. E poi io non sono pacifista». Luzzatto denuncia un’«ipersensibilità» verso il dramma della Palestina rispetto ad altri non meno sanguinosi, «per cui i cinquemila morti arabi e i 1.500 israeliani della seconda Intifada pesano più di 250 mila bosniaci e di mezzo milione di ceceni». Ancora: «L’attitudine terzomondista presenta Israele come l’ultima potenza coloniale; Israele sarebbe l’avamposto dell’Occidente, criticare Israele sarebbe come criticare noi stessi. Non è così; se non altro perché tre quarti degli israeliani sono nati là o vengono dal Nordafrica e dal Medio Oriente». Ma alla base del libro di Luzzatto c’è la convinzione che l’avversione a Israele sia solo un aspetto dell’antisemitismo di sinistra. «Prima ancora viene il mito dell’ebreo capitalista, ricco, usuraio. Un antico luogo comune, che entra nell’immaginario della sinistra nella seconda metà dell’Ottocento e non ne esce più. Del resto l’antisemitismo non ha nulla a che vedere con gli ebrei reali, li presenta come un blocco unico, mentre gli ebrei sono un gruppo umano tra i più complessi e conflittuali. Un errore che tendono a riprodurre le stesse comunità ebraiche, quando difendono Israele sempre e comunque». Luzzatto invece rifiuta il pregiudizio «per cui l’ebreo dev’essere sempre e comunque vittima. È lo stereotipo da cui nascono le giornate della memoria, che considero una cosa non del tutto positiva. L’ebreo può anche essere altro». Da qui la critica all’urlo di Fausto Bertinotti al congresso del 2002 a Rimini, quando respinse l’accusa di antisemitismo dicendo «noi siamo ebrei». «In sé, nulla da obiettare. Poi però aggiunse: siamo ebrei così come siamo donne, disabili, omosessuali, lesbiche, neri Appunto: l’ebreo va bene solo quando è vittima». Il libro cita criticamente editoriali e interviste di intellettuali e politici importanti. Sostiene Luzzatto che «il mea culpa chiesto agli ebrei da Barbara Spinelli ricade nel vezzo di assegnare al popolo ebraico in generale una sua condotta omogenea; un po’come quando si considera in blocco l’Islam come integralista». C’è un passo di Gianni Vattimo, «che per dire cose spiacevoli le fa dire a ebrei: Steiner, Oz, Cases. Per Vattimo sarebbe meglio che Israele non esistesse. Dice di commuoversi per il paesaggio dell’anima della Palestina, e depreca l’esistenza di discoteche uguali a quelle della Florida. Ma il paesaggio di Israele è composto anche di discoteche, non necessariamente da far saltare in aria». C’è Alberto Asor Rosa, «che porta alle estreme conseguenze la categorizzazione dell’ebreo come vittima, e arriva a parlare di Olocausto in una situazione completamente diversa come quella dei palestinesi». C’è Angelo d’Orsi, «autore di distillati di antisemitismo, ma inchiodato alla convinzione che sinistra e antisemitismo siano incompatibili». Si guadagna una citazione favorevole invece Ida Dominijanni. «Dal manifesto arrivano segnali interessanti. O forse sono io che ho voluto risparmiare una testata che mi è cara. Stimo molto Rossana Rossanda, ma purtroppo anche qualche suo scritto potrebbe corroborare la tesi del mio libro». C’è poi Massimo D’Alema. «Che ha una doppia immagine. Da una parte gli riconosco di avere una visione della politica estera, di non interpretarla solo alla stregua della politica interna come fanno i suoi colleghi. Ma dall’altra parte D’Alema è intriso e nutrito di pregiudizi antiebraici, che non esita a esternare. Se non altro lui dice apertamente ciò che altri dicono quando gli ebrei sono lontani e non possono sentire». Luzzatto lo chiama «antisemitismo liberatorio»: si parla in un modo con gli ebrei, in un altro degli ebrei. «Accade nei salotti privati, nei quali si può constatare l’assenza di ebrei e si è quindi più liberi di esprimersi. Mi dicono che accada anche nei salotti Ds e della Margherita. Ma preferisco non sapere, e fermarmi alla pubblicistica». Nell’introduzione, Luzzatto parla di sé, di quando nell’82 aderì all’appello di Primo Levi contro la guerra in Libano, che oggi definisce «una trappola». «Ovviamente non è in discussione l’onestà intellettuale dell’immenso Levi. Ma le sue parole furono usate sul piano politico dagli estremisti del fronte opposto, e finirono per rinvigorire l’icona dell’ebreo cattivo; per questo unirsi all’appello significò cadere in una trappola». Suo padre Amos Luzzatto, già presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ha letto il libro? «Certo. E l’ha apprezzato. Mi ha anche consigliato di approfondire la denuncia del terzomondismo, ma non ho voluto infierire ». E del caso Toaff che idea si è fatto? «Ariel Toaff è autore di un libro scritto molto male, assolutamente non condivisibile. Però uno studioso della sua levatura non meritava di essere attaccato personalmente in quel modo né di essere disprezzato intellettualmente. Per questo andava difeso, e l’ho fatto».
BARBARA SPINELLI «Ha chiesto agli ebrei di fare un mea culpa collettivo: così è caduta nel vezzo di assegnare a tutto il popolo ebraico una condotta omogenea»
MASSIMO D’ALEMA «Ha una visione molto seria della politica estera, ma è intriso e nutrito di pregiudizi antiebraici, che non esita ad esternare in pubblico»
ALBERTO ASOR ROSA «È arrivato al punto di adottare il termine Olocausto per descrivere una situazione del tutto diversa come quella del popolo palestinese»
GIANNI VATTIMO «Si commuove per la Palestina e depreca le discoteche israeliane. Ma anche le discoteche hanno il diritto di non essere fatte esplodere»
FAUSTO BERTINOTTI «Ha detto: noi siamo ebrei, come siamo disabili, omosessuali, neri. È una logica per cui gli ebrei vanno bene solo quando sono vittime»
Esce oggi in libreria il saggio di Gadi Luzzatto Voghera «Antisemitismo a sinistra» (pagine 112, 8), edito da Einaudi
BARBARA SPINELLI «Ha chiesto agli ebrei di fare un mea culpa collettivo: così è caduta nel vezzo di assegnare a tutto il popolo ebraico una condotta omogenea»
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GIANNI VATTIMO «Si commuove per la Palestina e depreca le discoteche israeliane. Ma anche le discoteche hanno il diritto di non essere fatte esplodere»
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Esce oggi in libreria il saggio di Gadi Luzzatto Voghera «Antisemitismo a sinistra» (pagine 112, 8), edito da Einaudi
«Corriere della sera» del 20 aprile 2007
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