di Lorenzo Fazzini
Si scrive Robert Hugh Benson e si pronuncia "grande scrittore di christian fiction". O meglio: non solo romanziere cristianamente ispirato, bensì un autore che interseca in sé diversi aspetti della narrativa tardo-ottocentesca (nacque nel 1871 e morì nel 1914), tra i quali il gusto per il romanzo storico, una verve apologetica, un approccio di fede nella Provvidenza sulla storia dei giorni umani. Guarda caso, Benson venne anche letto e ammirato dall’allora professor Jorge Mario Bergoglio, il quale non più tardi di qualche settimana fa lo ha citato - il 18 novembre, precisamente nel suo capolavoro, Il padrone del mondo - durante un’omelia mattutina a Casa Santa Marta.
Secondo il pontefice Benson, «che si convertì al cattolicesimo e ha fatto tanto bene», ha avuto il merito in quel romanzo di aver «visto quello spirito della mondanità che ci porta all’apostasia». Questo autore è oggetto in questi ultimi tempi di una certa riscoperta letteraria in Italia. Oltre a Jaca Book e Lindau, è la piccola e "militante" Fede&Cultura a proporne i testi narrativi; di Gribaudi uscì anni fa Confessioni di un convertito, l’autobiografia intellettuale in cui si racconta come mai il figlio del potentissimo arcivescovo di Canterbury nel 1903 avesse deciso di farsi cattolico romano.
Già l’allora cardinal Joseph Ratzinger ebbe modo di citare il testo bensoniano più celebre, Il padrone del mondo, in un dibattito del 1992 all’Università Cattolica per criticare il livellamento omologante di una certa globalizzazione.
È ora fresco di stampa l’inedito italiano di Benson che si può a ragion veduta definire un romanzo sulla coscienza. Vieni ruota! Vieni forca! (Fede & Cultura, pp. 446, euro 18,50) è un grande affresco storico-religioso su alcune vicende personali, attraverso i grandi valori umani e le miserie dell’anima che Benson scandaglia spesso nelle sue opere (lealtà, amicizia, onore, tradimento, cupidigia), nel più ampio spettro della persecuzione anti-cattolica che insanguinò l’Inghilterra di Elisabetta I. Nella sua premessa Benson tiene a precisare che non ha voluto aggiungere "colore" nella cruda e martoriata descrizione di intrighi, torture, faide famigliari che costituiscono l’intreccio della vicenda: «Se il libro è troppo sensazionale, non è più sensazionale di quanto sia stata la vita stessa per la gente del Derbyshire tra il 1579 e il 1588».
Così ci sono le descrizioni di alcuni martìri di sacerdoti che, secondo l’usanza di quei tempi difficili, venivano ordinati segretamente in Francia, rientravano in patria di nascosto e andavano qui e là a celebrare messa e amministrare i sacramenti in assoluta clandestinità, sotto le vesti di gentiluomini in viaggio, talvolta nascosti in complessi occultamenti nelle case delle famiglie cattoliche che si arrischiavano ad ospitarli (cantine, soffitte, doppie pareti, …). Benson avvolge anche nella sua storia il dramma della regina Maria di Scozia, decapitata per il suo presunto complotto ai danni di Elisabetta.
Ma è, come si accennava, sul ruolo della coscienza che questo romanzo - che con i precedenti Il trionfo del Re e Con quale autorità? costituisce un trittico - si caratterizza fortemente. Su due versanti: il problema della coscienza per quei cattolici che si vedevano promettere dalle autorità statali la salvezza in cambio dell’abiura e dell’ingresso nella Chiesa anglicana; e il dramma della coscienza per lo stesso gruppo cattolico, frammentato tra chi pensava di ribattere militarmente alla persecuzione in corso e chi invece, evangelicamente, voleva affrontarla.
Nel primo caso, la vicenda più intrigante - che chiude anche in maniera drammaticamente eloquente il romanzo: qui non sveliamo niente per lasciare al lettore la sorpresa sul colpo da maestro del vero scrittore… - è quella della famiglia Audrey, con il padre e il figlio Robin che, lasciata la fidanzata, diventa prete "clandestino".
Da un lato, il signor Audrey che cede alla propria coscienza facendosi ammettere nella congregazione anglicana, e così salvando podere, ricchezza e proprietà; dall’altro il figlio che accetta la durissima prospettiva del martirio con la decisione, in coscienza appunto, di diventare prete cattolico "papista" in un tempo in cui l’esser tale in Inghilterra era motivo sufficiente per finire i propri giorni su una forca (di qui il titolo del romanzo che riprende una frase di padre Campion, martire, uno dei protagonisti del libro): «I preti cattolici venivano giustiziati abbastanza di frequente, ormai, da non rappresentare più una novità per la folla; tre erano stati giustiziati poco più di due mesi fa proprio in questo posto. Non facevano spettacolo, certamente, morivano con troppa tranquillità; e il particolare interesse stava nel contemplare il fatto che morivano per la religione».
Il dramma della coscienza si era insinuato anche nel mondo cattolico inglese, diviso tra chi sosteneva - per usare una parola degli anni Settanta da noi - «l’opzione della lotta armata», e chi invece «sosteneva che una persecuzione religiosa non poteva essere considerata uno stato di guerra; gli apostoli Pietro e Paolo, per esempio, non solo non impiegarono l’arma della carne contro l’Impero romano, ma la ripudiarono». E d’altra parte è facile capire da che parte pende l’opinione del convertito Benson, colui che perse privilegi e onori per motivo della propria coscienza spirituale.
Secondo il pontefice Benson, «che si convertì al cattolicesimo e ha fatto tanto bene», ha avuto il merito in quel romanzo di aver «visto quello spirito della mondanità che ci porta all’apostasia». Questo autore è oggetto in questi ultimi tempi di una certa riscoperta letteraria in Italia. Oltre a Jaca Book e Lindau, è la piccola e "militante" Fede&Cultura a proporne i testi narrativi; di Gribaudi uscì anni fa Confessioni di un convertito, l’autobiografia intellettuale in cui si racconta come mai il figlio del potentissimo arcivescovo di Canterbury nel 1903 avesse deciso di farsi cattolico romano.
Già l’allora cardinal Joseph Ratzinger ebbe modo di citare il testo bensoniano più celebre, Il padrone del mondo, in un dibattito del 1992 all’Università Cattolica per criticare il livellamento omologante di una certa globalizzazione.
È ora fresco di stampa l’inedito italiano di Benson che si può a ragion veduta definire un romanzo sulla coscienza. Vieni ruota! Vieni forca! (Fede & Cultura, pp. 446, euro 18,50) è un grande affresco storico-religioso su alcune vicende personali, attraverso i grandi valori umani e le miserie dell’anima che Benson scandaglia spesso nelle sue opere (lealtà, amicizia, onore, tradimento, cupidigia), nel più ampio spettro della persecuzione anti-cattolica che insanguinò l’Inghilterra di Elisabetta I. Nella sua premessa Benson tiene a precisare che non ha voluto aggiungere "colore" nella cruda e martoriata descrizione di intrighi, torture, faide famigliari che costituiscono l’intreccio della vicenda: «Se il libro è troppo sensazionale, non è più sensazionale di quanto sia stata la vita stessa per la gente del Derbyshire tra il 1579 e il 1588».
Così ci sono le descrizioni di alcuni martìri di sacerdoti che, secondo l’usanza di quei tempi difficili, venivano ordinati segretamente in Francia, rientravano in patria di nascosto e andavano qui e là a celebrare messa e amministrare i sacramenti in assoluta clandestinità, sotto le vesti di gentiluomini in viaggio, talvolta nascosti in complessi occultamenti nelle case delle famiglie cattoliche che si arrischiavano ad ospitarli (cantine, soffitte, doppie pareti, …). Benson avvolge anche nella sua storia il dramma della regina Maria di Scozia, decapitata per il suo presunto complotto ai danni di Elisabetta.
Ma è, come si accennava, sul ruolo della coscienza che questo romanzo - che con i precedenti Il trionfo del Re e Con quale autorità? costituisce un trittico - si caratterizza fortemente. Su due versanti: il problema della coscienza per quei cattolici che si vedevano promettere dalle autorità statali la salvezza in cambio dell’abiura e dell’ingresso nella Chiesa anglicana; e il dramma della coscienza per lo stesso gruppo cattolico, frammentato tra chi pensava di ribattere militarmente alla persecuzione in corso e chi invece, evangelicamente, voleva affrontarla.
Nel primo caso, la vicenda più intrigante - che chiude anche in maniera drammaticamente eloquente il romanzo: qui non sveliamo niente per lasciare al lettore la sorpresa sul colpo da maestro del vero scrittore… - è quella della famiglia Audrey, con il padre e il figlio Robin che, lasciata la fidanzata, diventa prete "clandestino".
Da un lato, il signor Audrey che cede alla propria coscienza facendosi ammettere nella congregazione anglicana, e così salvando podere, ricchezza e proprietà; dall’altro il figlio che accetta la durissima prospettiva del martirio con la decisione, in coscienza appunto, di diventare prete cattolico "papista" in un tempo in cui l’esser tale in Inghilterra era motivo sufficiente per finire i propri giorni su una forca (di qui il titolo del romanzo che riprende una frase di padre Campion, martire, uno dei protagonisti del libro): «I preti cattolici venivano giustiziati abbastanza di frequente, ormai, da non rappresentare più una novità per la folla; tre erano stati giustiziati poco più di due mesi fa proprio in questo posto. Non facevano spettacolo, certamente, morivano con troppa tranquillità; e il particolare interesse stava nel contemplare il fatto che morivano per la religione».
Il dramma della coscienza si era insinuato anche nel mondo cattolico inglese, diviso tra chi sosteneva - per usare una parola degli anni Settanta da noi - «l’opzione della lotta armata», e chi invece «sosteneva che una persecuzione religiosa non poteva essere considerata uno stato di guerra; gli apostoli Pietro e Paolo, per esempio, non solo non impiegarono l’arma della carne contro l’Impero romano, ma la ripudiarono». E d’altra parte è facile capire da che parte pende l’opinione del convertito Benson, colui che perse privilegi e onori per motivo della propria coscienza spirituale.
«Avvenire» del 1 gennaio 2014 2013
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