24 novembre 2013

Tre sfumature di Generazione X: i libri di Cazzullo, Piccolo e Scurati

Bookcity
di Tommaso Pellizzari
Coincidenze editoriali (e anagrafiche): in forma di romanzo o saggio il bilancio di un’epoca, in tinte e toni molto diversi
Sarebbe potuta essere solo una coincidenza editoriale. Ma c’è anche un coincidenza anagrafica a mettere in fila tre libri usciti in questo periodo. E a far pensare che di tutto si tratti, tranne che di una coincidenza. Perché i libri di Francesco Piccolo («Il desiderio di essere come tutti», Einaudi), Aldo Cazzullo («Basta piangere! Storia di un’Italia che non si lamentava», Mondadori), e Antonio Scurati («Il padre infedele», Bompiani) sono libri di autori nati tra il 1964 e il 1969, cioè pienamente all’interno di quella Generazione X che dalla primavera di quest’anno e per la prima volta nella storia, con Enrico Letta ha messo un suo esponente al governo del nostro Paese. Un passaggio simbolico non casuale, visto che tutti e tre i libri raccontano in qualche modo proprio questo: l’essere la Generazione X diventata adulta.
Lo fanno con forme, stili, modi e gradazioni diverse. Scurati sceglie il romanzo puro, anche se nella storia di Glauco, lo chef che racconta quanto la paternità sia ormai diventata culturalmente (se non geneticamente) innaturale per il maschio medio del XXI secolo, non è inverosimile immaginare riflessioni simili dello scrittore diventato padre non da molto. Francesco Piccolo invece punta sul romanzo dichiaratamente autobiografico, e non solo perché scritto in prima persona.
Il passaggio dall’Italia di Moro a quella di Berlusconi attraversando la morte di Berlinguer è il racconto dell’evoluzione culturale di un intero Paese. Piccolo racconta in particolare quella del suo mondo, la sinistra, e dell’approdo alla comprensione di quello che per lo scrittore casertano è stato l’errore fondamentale dell’ultimo trentennio: l’illusione della diversità (quando non superiorità) rispetto ai democristiani una volta, ai berlusconiani oggi. E, parlando di coincidenze, guarda caso tutto questo avviene proprio mentre il Pd sta per eleggere a segretario un giovane ex dc, già concorrente di quiz televisivi, ospite di Maria De Filippi in giubbotto di pelle e convinto sostenitore della teoria che è proprio andando a prendere i voti presso quelli diversi dalla sinistra che si vincono le elezioni.
Aldo Cazzullo ha invece scelto la strada del saggio. Il suo «Basta piangere!» è un invito alla sua generazione (e alle successive, con le quali la sorte naturale non è stata più benevola) a non lamentarsi del presente. Non solo perché non serve a nulla, ma anche perché - ed è la parte più originale del libro - non è affatto detto che il presente sia così peggiore di altri presenti del passato.
La qual cosa permette di mantenere invariate le posizioni di Scurati, Piccolo e Cazzullo anche se li volessimo collocare in un ipotetico continuum che descrivesse invece gli «stati d’animo» dei loro libri. Non vi è dubbio che le riflessioni dello chef Glauco Revelli (valga per tutte la consapevolezza di appartenere «a una generazione di uomini senza biografia») inducano più di una vertigine esistenziale. L’esatto contrario del percorso di Francesco Piccolo, passato da una giovinezza di certezze assolute (per la verità più subìte che scelte) a una maturità di rasserenata tolleranza e apertura.
Alla riga 1 di «Basta piangere!» Cazzullo scrive invece di non avere «nessuna nostalgia del tempo perduto. Non era meglio allora, è meglio adesso». Una collocazione forte, definitiva e di certo controcorrente rispetto a quello che adesso si chiama «sentiment» del nostro Paese. Nelle 137 pagine successive spiegherà perché. E lo rifarà domenica, alle 12, nella Sala Buzzati del Corriere della Sera, via Balzan 3 (ingresso libero solo su prenotazione, telefonando allo 02 87387707 o scrivendo a rsvp@fondazionecorriere.it). Insieme a lui, il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli e lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, coordinati dal direttore di Sette Pier Luigi Vercesi. E se lo scopo fosse fare sparire una volta per sempre la X, incognita-simbolo di quella generazione?
«Corriere della Sera» del 23 novembre 2013

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