08 novembre 2013

Il libro nel mondo romano

Come era fatto un libro nel mondo romano?
di Menghi-Gori (tratto da Catullo, Bruno Mondadori)
Come si diffuse la cultura scritta nell’età di Catullo?
Dal rotolo al codice

Gli antichi non conoscevano la carta, il cui uso iniziò a diffondersi in Occidente solo nel basso Medioevo; come si può pertanto immaginare, il problema di trovare superfici ampie, comode, a costi sopportabili sulle quali scrivere fu uno dei più gravi che la tecnologia delle società antiche dovette affrontare. Si scriveva praticamente su tutto - muri, pietre, cocci, tavole di legno imbiancate o cerate, pelli di animali (non solo pelli di pecora, la pergamena, o cuoio, ma anche pelli di cane e di rettile), foglie, lamine di piombo e d’oro,lastre di bronzo, oggetti di uso comune in metallo o terracotta, tessuti di lino, fibre vegetali (papiro, ma anche tiglio) - e quasi tutti questi materiali scrittori restarono nell’uso contemporaneamente, solo specializzandosi a seconda del tipo di testo che vi veniva scritto. Per esempio gli scolari romani continuarono sempre a scrivere e a far di conto su tavolette di legno cerate che incidevano con uno stilo di legno, d’osso o d’avorio e che poi raschiavano perché fossero pronte per un nuovo testo; i libri lintei (fogli di tela di lino che si chiudevano "a soffietto") ospitarono fino a buona parte dell’età imperiale oracoli, testi liturgici o comunque di significato religioso; il rotolo di pergamena mantenne la sua destinazione a scritture brevi, occasionali e quotidiane; quando, nell’età degli imperatori flavi (I secolo d. C.),fu introdotto l’uso di codici, vale a dire di fogli di pergamena piegati, tagliati in quaterniones ("quaderni") e riuniti sotto una copertina, essi, per il loro costo molto alto, vennero usati prevalentemente per scrivere le costituzioni imperiali, tanto che il nome" codice" venne in età tardo-imperiale esteso alla raccolta organica di norme legislative che libri di questo genere contenevano; infine le scritture epigrafiche su pietra o bronzo, di natura pubblica o privata, restano ancora oggi il segno più alto e più ricorrente del processo di diffusione della civiltà di Roma e della sua lingua.

Il papiro
La carta di papiro, la charta appunto, era ottenuta intrecciando, come fossero fili di un tessuto, lunghe liste dagli strati interni della pianta, che cresceva per lo più in Egitto; i fogli così ottenuti (paginae, schedae), dopo essere stati seccati al sole, venivano poi incollati per il lato più largo e arrotolati in un rotolo (volumen, da volvere, "far ruotare"). La misura standard del rotolo (scapus) era di venti pagine; prima della vendita l’inizio del primo foglio e la fine dell’ultimo frontes) venivano levigati con la pomice - arida modo pumice expolitus, dice Catullo del proprio libro nella dedica a Cornelio Nepote - e nelle edizioni più eleganti colorati a colori vivaci. Infine il rotolo veniva arrotolato a partire dal fondo o da entrambi gli estremi intorno a uno o due bastoni di legno o d’osso (gli umbilici), con dei pomoli sporgenti (cornua); una buona mano di olio di cedro preservava il materiale dall’umidità e dagli insetti. Si scriveva in genere su due colonne, per il largo in caso di documenti e nel senso della lunghezza se sì compilava una lettera; vi si appendeva un cartellino (index, titulus) con il titolo del libro, che così era conservato in apposite teche.

Come si afferma il libro a Roma
Ma come si passò, a Roma, dalle tavolette di legno sulle quali ancora nel II secolo a. C. Catone il Censore scriveva e conservava le proprie orazioni, al rotolo di papiro? I libri lignei variamente incisi o dipinti a inchiostro oppure i libri lintei erano adatti a testi brevi e di natura particolare, come i libri dei magistrati o quelli che conservavano gli oracoli attribuiti alla Sibilla; erano testi per lo più conservati in uno spazio sacro, in genere un tempio, e non erano fatti per circolare.
Fino al III secolo a.C. la scrittura fu privilegio di pochi (sacerdoti e nobili) e comunque la vita culturale di Roma si svolse prevalentemente attraverso il canale dell’oralità (questa potrebbe essere una delle cause della quasi totale scomparsa della letteratura latina arcaica); solo con i primi contatti con la Grecia e poi con la conquista dell’Oriente nel secolo successivo comparvero nella città i primi rotoli di papiro. I motivi dell’affermarsi del nuovo materiale scrittorio sono vari: i conquistatori portarono a Roma intere biblioteche di papiri razziate nelle capitali dei sovrani greci, con le quali costituirono le prime biblioteche private; la crescita economica e le esigenze dell’amministrazione richiesero l’uso della scrittura e quindi una massiccia alfabetizzazione dei ceti medio-alti; il nuovo materiale era poi di più facile trasporto ed era facilmente reperibile sul mercato egiziano. Ma la causa principale è più profonda: il papiro entrò stabilmente nell’uso quando si impose l’esigenza di una cultura nuova, di derivazione greca e fondata su testi letterari, filosofici e storici, da spendere soprattutto in quella dimensione privata, l’otium, che i romani conobbero solo a partire dal II secolo a. C. Fu l’otium colto che rese necessari testi più lunghi e complessi, facilmente consultabili e di comoda circolazione, riproduzione e vendita: il papiro era un supporto leggero, che consentiva una scrittura chiara; i rotoli erano facili da consultare e potevano contenere molto testo. Per la prima volta il "testo" si identifica con il “libro”: le parole affettuose di Catullo nella dedica del suo liber all’amico Cornelio Nepote si adattano tanto al supporto fisico quanto al contenuto. L’eleganza dello stile, il lepos come dovere della letteratura di derivazione ellenistica, trova un complemento necessario in un volumen altrettanto elegante e ben rifinito, lepidus appunto.

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