di Massimo Sideri
Da tempo la profezia di Italo Calvino sul primato del software rispetto all'hardware sembrava essersi compiuta. La «Leggerezza» aveva vinto anche sulla modernità. Scriveva Calvino nel 1985 in quell'opera che sarebbe stata pubblicata postuma con il titolo Lezioni americane: «È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine».
In questi ultimi cinque anni - dalla graduale comparsa e diffusione di smartphone e tablet - la guerra dei sistemi operativi (iOs della Apple, Android di Google e Windows Mobile della Microsoft) si è spinta addirittura oltre la profezia: l'industria tecnologica si è concentrata sempre di più sui software trasformando l'hardware in una semi-commodity da lasciare produrre a qualche azienda asiatica o, come nel caso della Apple, da assemblare nelle nuove fabbriche del XXI Secolo di Shenzhen, grandi come città e dure come un nuovo Far West sindacale. Ora il paradigma della nuova industria sembra avere fatto un passo indietro. Una decina di giorni fa la Microsoft, dopo una serie di rumor, ha ufficializzato l'arrivo di un proprio tablet battezzato Surface. L'altro ieri è stata la volta di Google che ha lanciato il Nexus. Un anno fa era toccato ad Amazon con il Kindle Fire. Tutti, più o meno, all'inseguimento dell'iPad. Ma, ciò che più conta, tutti e tre uniti dalla medesima logica: mettere il brand e il logo dell'azienda su qualcosa di «fisico» e non solo su software immateriali che viaggiano sul web.
Scriveva sempre Calvino nella prima lezione: «La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici». Appunto. Sembra quasi che improvvisamente l'industria tecnologica si sia spaventata di fronte alla propria digitalizzazione pura affidandosi alla pesantezza dell'hardware per riemergere da un mondo fatto solo di bit.
In questi ultimi cinque anni - dalla graduale comparsa e diffusione di smartphone e tablet - la guerra dei sistemi operativi (iOs della Apple, Android di Google e Windows Mobile della Microsoft) si è spinta addirittura oltre la profezia: l'industria tecnologica si è concentrata sempre di più sui software trasformando l'hardware in una semi-commodity da lasciare produrre a qualche azienda asiatica o, come nel caso della Apple, da assemblare nelle nuove fabbriche del XXI Secolo di Shenzhen, grandi come città e dure come un nuovo Far West sindacale. Ora il paradigma della nuova industria sembra avere fatto un passo indietro. Una decina di giorni fa la Microsoft, dopo una serie di rumor, ha ufficializzato l'arrivo di un proprio tablet battezzato Surface. L'altro ieri è stata la volta di Google che ha lanciato il Nexus. Un anno fa era toccato ad Amazon con il Kindle Fire. Tutti, più o meno, all'inseguimento dell'iPad. Ma, ciò che più conta, tutti e tre uniti dalla medesima logica: mettere il brand e il logo dell'azienda su qualcosa di «fisico» e non solo su software immateriali che viaggiano sul web.
Scriveva sempre Calvino nella prima lezione: «La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici». Appunto. Sembra quasi che improvvisamente l'industria tecnologica si sia spaventata di fronte alla propria digitalizzazione pura affidandosi alla pesantezza dell'hardware per riemergere da un mondo fatto solo di bit.
«Corriere della Sera» del 29 giugno 2012
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