Per i governi postbellici ci furono vittime e di serie A e di serie B: gli ebrei e i partigiani colpiti negli anni di Salò ebbero riabilitazioni e indennizzi maggiori
Di Marco Roncalli
Di Marco Roncalli
Quello della reintegrazione dei perseguitati razziali e politici nel secondo dopoguerra è un tema cruciale e complesso, ma poco dibattuto dalla storiografia italiana. A differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi europei, che hanno allargato le problematiche connesse anche ad altre esperienze di totalitarismi, e preso in considerazione implicazioni morali legate ai concetti di colpa e perdono (argomenti che gli storici tedeschi uniscono sotto il termine «Wiedergutmachung»). Se si escludono i primi studi di Mario Toscano concentrati sulle leggi speciali attinenti alla restituzione dei beni, mancava sino ad oggi un lavoro esauriente e organico che abbracciasse matrici e dinamiche dei governi postbellici in quest'ambito, fra sostanziali questioni di princìpi e più formali soluzioni giuridiche, tra risvolti politici e burocratici, fra provvedimenti adottati e conseguenze pratiche. E mancava, soprattutto, in un quadro comprendente la restituzione non solo dei beni mobili e immobili perduti, ma anche dei posto di lavoro, delle carriere, di posizioni precedenti.Ora colma questa lacuna una densa monografia della contemporaneista Giovanna D'Amico, Quando l'eccezione diventa norma. Da tempo impegnata in ricerche sulla storia della deportazione, l'autrice ci presenta l'esito di un'approfondita analisi dove - in dieci capitoli - passa al vaglio le modalità attraverso le quali il Paese ha fatto i conti con l'eredità di Mussolini, facendo emergere l'insufficienza delle culture e dei processi decisionali del ceto politico italiano, intento a costruire la democrazia, a misurarsi in piena consapevolezza con l'intera questione.Sintetizzando emergono numerosi casi a provare un duplice atteggiamento tradotto in doppio binario normativo con provvedimenti discriminatori (ad esempio nella riassunzione nelle imprese private, nella concessione di assegni di benemerenza, nelle conseguenze di spoliazioni di beni) fra perseguitati razziali e politici del r egime monarchico-fascista da una parte, e deportati politici e razziali nei campi di concentramento nazisti durante la Repubblica sociale di Salò, dall'altra. Ne scaturisce, perciò, una doppia e parallela classificazione delle vittime, che vede concedere ai primi una legislazione riparatoria meno incisiva di quella riservata ai secondi.Nel libro trovano poi spazio trattazioni particolari concentrate su casi, profili, meccanismi finalizzati a riparare diritti violati attraverso agevolazioni, compensazioni, indennizzi, risarcimenti, in tanti modi concepiti e configurati, approvati e recepiti. E troviamo differenti tipologie delle vittime e dei loro eredi, le figure dei reduci e quelle dei partigiani assimilati - dopo tensioni fra moderati e progressisti - agli invalidi di guerra: dunque aventi diritto a pensioni. Decisamente interessanti le analisi dedicate alla legge Terracini, anche nei suoi limiti, oppure alle scelte del legislatore italiano circa il valore giuridico di contratti stipulati sotto la pressione delle leggi razziali, o, ancora, circa il rispetto della buona fede degli acquirenti davanti a richieste di restituzione di beni.Ma si ricordano anche tappe ed situazioni significative. Quando si richiama ad esempio l'operato del capo del governo Ivanoe Bonomi, impostosi al ministro del Tesoro Marcello Soleri per ottenere la messa a carico dello Stato (e non dei diretti interessati) dei contributi previdenziali mancanti nel periodo intercorso tra il licenziamento e la riassunzione di quanti hanno perso il lavoro per motivi razziali. Oppure quando si rammentano casi diffusi di società oggetto di rivendicazioni tra ex proprietari ebrei costretti a cederle e nuovi proprietari acquirenti a diverso titolo anche quando ad acquistare erano state magari le maestranze (si veda qui la vicenda della Tecoel, sorta dall'«arianizzazione» di tre imprese commerciali di un ebreo romano acquistate dalle stesse maestranze). E poi ci sono le sorti dei beni confiscati e seques trati agli ebrei dall'Ente di gestione e liquidazione immobiliare, istituito nel 1939. Non ultimi ecco i drammi dei perseguitati razziali destinati ai campi di concentramento, dopo l'ordine di Buffarini Guidi del 30 novembre 1943, senza alcuna possibilità di tutela per i loro beni in quanto agli ebrei fu vietato di possedere qualsiasi cosa.Ma, al di là di tutto, c'è infine un ulteriore aspetto da non dimenticare. Che va oltre il ripristino integrale di situazioni antecedenti o il recupero di posizioni perdute. C'è l'altro interrogativo, più forte, che continua a scuoterci. Concretamente, come restituire l'altro danno, quello morale, fatto di opportunità perdute, di anni di scuola sacrificati, di normalità rubate, come ripagare l'offesa più invisibile dentro la dignità umana? «Per fare questo - risponde - si sarebbe dovuto travalicare l'ordinamento giuridico italiano, andare non solo oltre Salò, ma anche oltre il regime monarchico-fascista; inventare insomma, una normativa specificatamente pensata per le vittime di crimini inusitati». In poche parole, far tabula rasa del passato. Cosa che non avvenne. «Sarebbe potuto accadere? Non è facile dirlo», ammette l'autrice. Giustificando con queste sue ultime considerazioni il titolo del libro. Conclude infatti: «Il limite forse della riparazione stava nella riduzione dell'"eccezionalità" delle persecuzioni a procedure pensate per tempi normali». Quei tempi che, a detta di Theodor Adorno nei Minima Moralia, avrebbero perso in ogni caso la loro normalità con i suoi caratteri di condizione ripetibile. Dopo di allora e per sempre.
IL LIBRO: Giovanna D'Amico, Quando l'eccezione diventa la norma, Bollati Boringhieri, pp. 390, € 39,00
«Avvenire » del 27 maggio 2006
1 commento:
tosco mangi i bambini....
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