UN ARTICOLO IN ONORE DELLA ... NIPOTINA CHE ABBIAMO IN CLASSE!
Una «lectio» del poeta Valerio Magrelli dedicata alle metafore «liquide» nella letteratura moderna. L’immagine della leggerezza e della purezza si mischia alla memoria del naufragio
Di Valerio Magrelli
Di Valerio Magrelli
«Acqua, ti adoro! Cos'è la vita se non acqua organizzata? Cos'è un albero se non un fiume verticale che sale verso la luce? Il nomade si arresta accanto a te, nel punto sacro in cui la ninfa e la fonte preparano la nascita della civiltà. Anche il linguaggio canta le tue lodi, quando parla di trasparenza, sete di verità, torrenti di parole. Il tempo stesso ha attinto dal tuo corso la figura con cui lo immaginiamo».Tanto lirismo per una réclame. Queste riflessioni sono tratte da un breve testo che Paul Valéry compose nel 1935 per la Perrier. In copertina stava un bicchiere della celebre acqua minerale, con la scritta: «Al gas naturale». Ah, quel gas naturale! Qualche anno fa, la stessa ditta ha ritirato dal mercato 160 milioni di bottiglie a causa del benzolo rinvenuto in alcuni campioni. Potenza dell'analogia: secondo un resoconto, la Perrier avrebbe cercato invano di «calmare le acque».Certo, nel Novecento, letteratura e acqua minerale hanno avuto rapporti assai stretti. Basti pensare al ricchissimo Valery Larbaud, poeta e proprietario di vasti impianti termali. L'esempio più bizzarro, tuttavia, è quello di Raymond Roussel, che scelse questo tema per un suo mirabile delirio: «Sulla tovaglia è messa una bottiglia alta, / un'acqua minerale di moda; la si esalta / se ne consiglia l'uso abbondante e continuo / in una larga carta di un rosa carezzevole». La descrizione dell'etichetta occupa tutti i restanti mille versi.È l'apoteosi del seltz. Eppure, benché partito dalla pubblicità, Valéry elaborò un'ipotesi affascinante: «Quante cose conosce l'acqua! La sua sostanza si fa memoria. Assimilando ciò che ha sfiorato, bagnato, trascinato, assorbe le potenze primitive delle rocce, e porta con sé briciole di atomi, tracce d'energia pura». Sembra di ascoltare le strofe in cui Philippe Soupault esorta il poeta a tramutarsi in acqua. Ma sembra anche di risentire le polemiche che tempo fa accompagnarono la presunta scoperta di Jacques Benvenist e: lo scienziato sostenne che l'acqua era in grado di conservare una perenne memoria delle sostanze toccate...Memoria chimica, memoria storica. Dalle cosmogonie orientali all'universo pagano e cristiano, l'immagine dell'acqua ritorna in molti miti di purificazione. Ecco il loutron, il lavacro delle liturgie greche, etrusche e neo-pitagoriche. Ecco il bagno battesimale, in tutte le varianti indicate da Tertulliano: il Diluvio, il Mar Rosso, l'immersione nel Giordano, le nozze di Cana, la vicenda della Samaritana, il bicchiere d'acqua dato al prossimo, il pozzo di Giacobbe, l'incedere di Cristo sulle onde, la lavanda dei piedi, l'abluzione di Pilato, l'acqua che sgorga dal costato nella crocefissione.A accrescere la forza simbolica di quest'elemento, tra teologia e metereologia, è la sua capacità di metamorfosi. Goccia, vapore, nuvola, ghiaccio, neve, cristallo - tutto ciò corrisponde all'iconografia tradizionale; ma qualcosa è cambiato. Infatti, a differenza di Narciso, la società industriale infrange lo specchio in cui si riflette. Pioggie acide a parte, emblematico è il caso dell'Eufrate e ora del Giordano, un fiume dirottato, scalzato dal suo letto, sfilato via dalla propria terra come un filo di lana dalla maglia.Dalla Mesopotamia all'Antartide, dalla culla della cultura al nulla della natura. In un viaggio al Polo Sud (simile a quello che Poe narrò in Gordon Pym e Verne nella Sfinge dei ghiacci), Reinhold Messner ha trovato un piccolo gioiello linguistico. Dopo i fasti del termine "tracimazione" (nato dalla tragedia in Valtellina del 1988), l'acqua offre ora al dizionario italiano una nuova parola, "sastrugi". Sono flutti di ghiaccio alti due metri, onde gelate dalle forme più strane. Insomma, rappresentano l'aspetto meno noto di quello stesso composto su cui, stando alla Genesi, "aleggiava lo spirito di Dio": una specie di merce primordiale, lasciata in magazzino in attesa d'essere imbottigliata.L'etimo greco della parola «clessidra», ovvero «furto d'acqua», sta a indicare il bisogno di sottrarre il liquido per scopi pratici quali quelli legati alla misurazione del tempo. Quanto al termine "rabdomante", assai meno poetico, esso rinvia semplicemente a un indovino che si serve di una bacchetta: l'applicazione alla ricerca delle fonti o delle vene acquifere, dunque, non è che una impropria estensione. In un caso come nell'altro, ad ogni modo, colpisce il fatto che la sostanza usata o investigata abbia a che fare con un uso domestico, quotidiano, civile. L'acqua, però, può rappresentare qualcosa di molto diverso, come ben sa chi ha traversato il mare…Nella notte del 7 dicembre 1875 la nave tedesca "Deutschland" si incagliò su un banco di sabbia alla foce del Tamigi, presso le coste del Kent. Per un giorno e una notte non venne fatto nessun tentativo di soccorso. Molti tra i passeggeri annegarono e alcuni, come scrisse il "Times", giunsero a suicidarsi: un uomo si impiccò e un altro si tagliò le vene con un coltello. Il particolare che colpì più profondamente l'opinione pubblica fu però la morte di cinque suore francescane, partite da Brema per emigrare in America dopo che le Leggi Falk avevano decretato il loro esilio dalla Germania. La tragedia acquistava così il significato di una allegoria religiosa e politica. Disastri analoghi avevano già scosso l'opinione pubblica europea, ispirando a Théodore Géricault e Caspar David Friedrich quadri come La zattera della Medusa (del 1819) e Il naufragio della "Speranza" tra i ghiacci (del 1822). Si tratta di opere che elaborano la stessa metafora indagata da Hans Blumemberg nel suo studio Naufragio con spettatore. Tuttavia, la sciagura del 1875 non fu ripresa da un pittore, bensì da un poeta, Gerard Manley Hopkins, che vi colse lo spunto per comporre Il naufragio del Deutschland. A questo testo, terminato nel 1876, si aggiunse poi, come un vero e proprio gemello tematico, La perdita dell'Euridice, dedicato all'omonima nave affondata il 24 marzo 1878. L'ossessione di Hopkins per simili eventi è stata collegata al mestiere del padre, che si occupava appunto di problemi finanziari conseguenti a naufragi. Ma al di là di ogni riferimento strettamente biografico, ciò che importa sottolineare è l'assoluta pregnanza espressiva che tale immagine acquista nei suoi versi. Fu grazie a essa, infatti, che il poeta tornò a scrivere, interrompendo un silenzio durato sette anni. Per questo, quando nel 1918 fu pubblicata per la prima volta la sua opera postuma, Robert Bridges osservò che Il naufragio del Deutschland stava logicamente e cronologicamente sulla soglia del libro per proteggerne l'ingresso come un grande drago.Quello che Emilio Cecchi definì il prosodista e vocabolista più dotto, ingegnoso e cavilloso di tutta la letteratura contemporanea, e che Eugenio Montale indicò come suo segreto maestro di ritmi, fu un sacerdote schivo, predicatore, insegnante di lingue classiche, musicista e disegnatore dilettante. Cattolico e gesuita nell'Inghilterra vittoriana, Hopkins fondò la sua poesia su un dissidio insanabile, un rovello metafisico e insieme civile: il naufragio spirituale e storico della sua patria, ignara della vera fede. Alla separazione dalla famiglia e dalla chiesa anglicana corrispose però l'entusiasmo per un Dio contraddittorio, onnipotente, imperscrutabile, invocato e implorato in una lingua matematica e mistica. In effetti, la sua lirica è caratterizzata da uno straordinario intreccio di precisione e violenza. La sua preghiera si risolve cioè in un dettato irto, complicato, che infrange la sintassi e il lessico con un accanimento pari all'infinita sapienza tecnica. Morto nel 1899 all'età di quarantacinque anni, Hopkins non solo inaugura ma brucia per intero ogni sperimentalismo, portando all'estremo la natura monosillabica, frantumata e calamitante dell'inglese. Il contrappunto, il ritmo martellato, il ricorso ad arcaismi e neologismi, l'uso dell'allitterazione e dell'assonanza, i richiami alla tradizione anglosassone o gallese da un lato, e alle circonvoluzioni speculative di Duns Scoto dall'altro, sono l'essenza di una poesia in cui regna l'accento, o meglio, in cui il pensiero si fa accento. L'urto, il tormento dello scrittore inglese passano sempre attraverso la cruna d'ago della metrica, del numero, come succede anche con i versi chiamati a descrivere l'esperienza archetipica del naufragio.
«Avvenire » del 27 maggio 2006
1 commento:
Grazie del pensiero,anche se è tutto parecchio incomprensibile!
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