L’unica strada per uscire dal tunnel imboccato ai tempi del duopolio con Mediaset (che portò a una omologazione miseramente «al basso» del prodotto) è puntare sulla qualità, perno identitario del servizio pubblico
di Paolo Conti
Partiamo dalle cifre: 14 milioni di persone hanno visto, martedì alle 21 in prima serata su Raiuno, «Stanotte a San Pietro» di e con Alberto Angela, con un ascolto medio di 6 milioni di persone e uno share di oltre il 25%. Era dal 2003, sottolineano a viale Mazzini, che un programma di divulgazione culturale non otteneva un successo clamoroso come questo. La Rai, lo sappiamo, è in una vistosa crisi legata alla progressiva decadenza della tv generalista e alla parallela crescita dell’offerta digitale e dei grandi distributori di contenuti su tutte le piattaforme, Netflix è forse l’esempio più eloquente.
Il risultato di Alberto Angela è la prova plastica di ciò che tanti continuano, e inutilmente, a raccomandare alla Rai: l’unica strada per uscire dal tunnel imboccato ai tempi del duopolio con Mediaset (che portò a una omologazione miseramente «al basso» del prodotto) è puntare sulla qualità, perno identitario del servizio pubblico. Ma la qualità, la serata di Angela lo dice, non è noia (come teorizzano certi «maghi del palinsesto» pronti a mettere mano ai reality per fare cassa e ascolti) ma intrattenimento, scoperta, legame con le radici culturali, racconto storico-artistico, bellezza tecnica delle immagini. Difficile, certo, perché ci vuole conoscenza e professionalità. Ma non impossibile.
È ovvio che mezza Rai oggi alzi il vessillo della vittoria, con certi numeri è fin troppo facile. Il problema è il passo successivo: cioè continuare a credere in questa scommessa editoriale, in un cambiamento di rotta che può portare solo dati positivi non solo in termini di share ma anche nella società diffusa. Un prodotto di qualità attira diverse generazioni davanti al video, favorisce lo scambio delle idee e delle opinioni, spinge ad altre avventure culturali. Festeggiare è ovvio, a patto che domani non si dimentichi tutto nel nome dell’ennesimo, triste, Talent visto e stravisto.28 dicembre 2016
Il risultato di Alberto Angela è la prova plastica di ciò che tanti continuano, e inutilmente, a raccomandare alla Rai: l’unica strada per uscire dal tunnel imboccato ai tempi del duopolio con Mediaset (che portò a una omologazione miseramente «al basso» del prodotto) è puntare sulla qualità, perno identitario del servizio pubblico. Ma la qualità, la serata di Angela lo dice, non è noia (come teorizzano certi «maghi del palinsesto» pronti a mettere mano ai reality per fare cassa e ascolti) ma intrattenimento, scoperta, legame con le radici culturali, racconto storico-artistico, bellezza tecnica delle immagini. Difficile, certo, perché ci vuole conoscenza e professionalità. Ma non impossibile.
È ovvio che mezza Rai oggi alzi il vessillo della vittoria, con certi numeri è fin troppo facile. Il problema è il passo successivo: cioè continuare a credere in questa scommessa editoriale, in un cambiamento di rotta che può portare solo dati positivi non solo in termini di share ma anche nella società diffusa. Un prodotto di qualità attira diverse generazioni davanti al video, favorisce lo scambio delle idee e delle opinioni, spinge ad altre avventure culturali. Festeggiare è ovvio, a patto che domani non si dimentichi tutto nel nome dell’ennesimo, triste, Talent visto e stravisto.28 dicembre 2016
«Corriere della sera» del 28 dicembe 2016
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