Oscurata una pagina di servizio, tollerati bulli e blasfemi
di Gigio Rancilio
Senza le regole non c’è comunità che possa resistere. Lo sappiamo dalla notte dei tempi. Quello che spesso scordiamo è che le regole, senza il buon senso di chi deve farle applicare, possono fare danni o diventare addirittura ridicole. Prendete Facebook, il social network più grande del mondo. Per accedervi bisogna sottoscrivere un regolamento lungo 1.353 righe, diviso in 398 paragrafi, sparsi su tre macro aree diverse, per un totale di 103.549 caratteri. Quasi 60 cartelle dattiloscritte, senza a capo. Se si potesse fare un test che rivelasse quanti tra il miliardo di utenti attivi (gli iscritti sono molti di più) l’hanno letto da cima a fondo, ci sarebbe di che saltare sulla sedia. Eppure, tutti hanno cliccato su «accetto». E quindi, le conoscano o meno, devono attenersi alle regole. La «legge», ci hanno insegnato, non ammette l’ignoranza.
Dovrebbe saperlo bene P.M., che di professione fa l’insegnante. Probabilmente precaria. Qualche giorno fa, ha scritto ai colleghi che frequentano la pagina dei supplenti precari di avere trovato ascolto e soluzione, al problema dei mancati fondi alla scuola dove lavora, presso un ufficio specifico del Ministero dell’istruzione. P.M. era rimasta così contenta dell’aiuto ricevuto che ha voluto condividere il recapito telefonico di quell’ufficio, «così dà consentire ai colleghi di usufruire della stessa disponibilità e gentilezza degli impiegati contattati». Un messaggio positivo e utile. Scritto, a differenza di altri presenti sulla stessa pagina dei precari, senza accenni polemici o toni accesi.
Eppure, per colpa di P.M., Facebook ha bloccato per 10 ore la pagina. Come quando, giocando a Monopoli, si finiva «in prigione», perdendo uno o più giri. A rendere «fuorilegge» il messaggio della precaria è stata la pubblicazione del numero telefonico di quell’ufficio del Ministero. Violazione della privacy, hanno tuonato i cyber sceriffi. Giusto, giustissimo. Nessuno può e deve pubblicare un numero privato su internet. Peccato – si sono difesi i gestori della pagina dei supplenti – «che quel numero sia già su internet, sul sito del Ministero».
Com’è possibile che Facebook punisca un’insegnante e lasci poi liberi migliaia di studenti che quotidianamente insultano i loro compagni (solo ieri, la studentessa di Saluzzo)? E ancora: perché certe pagine innocue vengono bloccate mentre altre blasfeme sono ancora aperte? A questo punto sorgono altre due domande. Chi sono gli «sceriffi» di Facebook? Chi decide chi e cosa deve essere punito? A leggere il regolamento si intuisce che una parte del lavoro è affidato agli utenti stessi, chiamati a segnalare gli abusi, compresi quelli degli stalker, gli atti di bullismo e le pagine che incitano alla violenza. Una parte della vigilanza avviene invece in automatico. Sarebbero quindi i computer a togliere immediatamente fotografie e frasi con termini inappropriati. A vigilare sul tutto, però, ci sarebbe un vero e proprio team di persone. I «garanti» della comunità virtuale. Gli sceriffi dell’ordine pubblico del social web chiamati a decidere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato; chi sono i buoni e chi sono i cattivi.
Per gli utenti, però, è impossibile capire se una pagina è stata bloccata dalle proteste degli iscritti, da un computer o da un «garante». Così, di fatto, non si può prendersela con nessuno. Ma di questo nel regolamento di Facebook non c’è traccia
Dovrebbe saperlo bene P.M., che di professione fa l’insegnante. Probabilmente precaria. Qualche giorno fa, ha scritto ai colleghi che frequentano la pagina dei supplenti precari di avere trovato ascolto e soluzione, al problema dei mancati fondi alla scuola dove lavora, presso un ufficio specifico del Ministero dell’istruzione. P.M. era rimasta così contenta dell’aiuto ricevuto che ha voluto condividere il recapito telefonico di quell’ufficio, «così dà consentire ai colleghi di usufruire della stessa disponibilità e gentilezza degli impiegati contattati». Un messaggio positivo e utile. Scritto, a differenza di altri presenti sulla stessa pagina dei precari, senza accenni polemici o toni accesi.
Eppure, per colpa di P.M., Facebook ha bloccato per 10 ore la pagina. Come quando, giocando a Monopoli, si finiva «in prigione», perdendo uno o più giri. A rendere «fuorilegge» il messaggio della precaria è stata la pubblicazione del numero telefonico di quell’ufficio del Ministero. Violazione della privacy, hanno tuonato i cyber sceriffi. Giusto, giustissimo. Nessuno può e deve pubblicare un numero privato su internet. Peccato – si sono difesi i gestori della pagina dei supplenti – «che quel numero sia già su internet, sul sito del Ministero».
Com’è possibile che Facebook punisca un’insegnante e lasci poi liberi migliaia di studenti che quotidianamente insultano i loro compagni (solo ieri, la studentessa di Saluzzo)? E ancora: perché certe pagine innocue vengono bloccate mentre altre blasfeme sono ancora aperte? A questo punto sorgono altre due domande. Chi sono gli «sceriffi» di Facebook? Chi decide chi e cosa deve essere punito? A leggere il regolamento si intuisce che una parte del lavoro è affidato agli utenti stessi, chiamati a segnalare gli abusi, compresi quelli degli stalker, gli atti di bullismo e le pagine che incitano alla violenza. Una parte della vigilanza avviene invece in automatico. Sarebbero quindi i computer a togliere immediatamente fotografie e frasi con termini inappropriati. A vigilare sul tutto, però, ci sarebbe un vero e proprio team di persone. I «garanti» della comunità virtuale. Gli sceriffi dell’ordine pubblico del social web chiamati a decidere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato; chi sono i buoni e chi sono i cattivi.
Per gli utenti, però, è impossibile capire se una pagina è stata bloccata dalle proteste degli iscritti, da un computer o da un «garante». Così, di fatto, non si può prendersela con nessuno. Ma di questo nel regolamento di Facebook non c’è traccia
«Avvenire» del 5 settembre 2013
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