Si parla parecchio di M5S, ma la pressione della Rete è fortissima anche sui giovani neoeletti democratici
di Aldo Cazzullo
I veri leader-ombra, gli inediti protagonisti di questa tribolatissima elezione presidenziale sono i social network
Sarebbe fuorviante chiedersi se i cento voti mancati a Romano Prodi fossero dalemiani, mariniani, renziani. Così come l'altro ieri era inutile rintracciare i congiurati che hanno affossato Franco Marini. E non solo perché nel Pd nessuno obbedisce più a nessuno.Il vero leader-ombra, l'inedita protagonista di questa tribolatissima elezione presidenziale è l'opinione pubblica. Amplificata dalla rete e dai social network, la cui pressione sui neoeletti, in particolare i giovani, è fortissima. Certo, non è la prima volta che il Palazzo si arrocca a difesa di un assetto già spazzato via dalla storia. Nel 1992 la rete non esisteva ancora, il «popolo dei fax» non riusciva certo a farsi sentire con la stessa forza; ma già allora l'intesa tra una Dc e un Psi in pieno declino saltò anche per la rivolta popolare. Ma ad Arnaldo Forlani mancò qualche decina di voti; a Marini, centinaia.Le forme di intervento dei cittadini, in teoria escluso dalla scelta del capo dello Stato, sono state molte. L'altro ieri, un sit-in fuori da Montecitorio per contestare Marini da sinistra. Ieri una manifestazione per osteggiare Prodi da destra. Non sono stati begli spettacoli, nessuno dei due. Le grida, gli insulti, le voci metalliche dei megafoni, la gogna (magari a volte meritata) che attendeva i parlamentari all'uscita, sono scene che non fanno onore al Paese. Ma infinitamente più sonora è stata la contestazione salita dal web.Si è parlato parecchio, e inevitabilmente, dei grillini. Si è parlato meno dei giovani neoeletti del Pd; che non sono meno connessi con il web e i cittadini; e sono molti di più. Tanti di loro non hanno compreso perché, dopo aver inseguito Grillo per il tempo di una quaresima, Bersani gli abbia voltato le spalle proprio quando si apriva uno spiraglio su Rodotà, per accordarsi con Berlusconi. E ieri non hanno apprezzato il ripiegamento su Romano Prodi; che per loro non è più «fresco» di Andreotti. Ma la protesta della rete, l'irruzione della rabbia popolare in Transatlantico non riguardano solo la sinistra. Ieri è stata la giornata della rabbia della destra. E se le 550 mila mail che giovedì hanno mandato in crisi il sistema informatico della Camera chiedevano quasi tutte l'elezione di Rodotà, gran parte di quelle arrivate ieri gridavano al «golpe» del Pd; che in realtà ha solo la forza di colpire se stesso.Dentro le mura del Palazzo, si agitano bande spaventate, disorientate, assediate. Colpisce ? se fosse possibile un paragone ? il capovolgimento dell'approccio rispetto ai meccanismi dell'elezione del Pontefice. In Vaticano la discussione è tutta sul profilo della persona da scegliere, sulle sue qualità umane, sulla percezione che il mondo avrà di lui. In Transatlantico l'uomo da scegliere conta molto meno; la vera questione è trovare i voti per eleggerlo. Prodi era il candidato di maggior statura che l'Italia potesse esprimere in questo momento, a parte Mario Draghi, che però ci serve come il pane a Bruxelles. Ma era il candidato scelto per ricompattare il Pd, non il Paese. Il partito democratico ha ridotto l'elezione del capo dello Stato a una sorta di congresso interno, in cui tutte le correnti hanno perso. E forse la corrente più forte si è rivelata quella affascinata da Grillo, o comunque dalla rete.La pressione del web e dell'opinione pubblica, però, può anche essere fuorviante. Perché, al di là delle legittime indignazioni reciproche, quel che sta più a cuore agli italiani in questo momento è eleggere un presidente della Repubblica che tenga insieme il Paese in un momento drammatico e lo rappresenti con dignità nel mondo. Non a caso nella notte è tornata a circolare l'ipotesi ? tardiva ? di chiedere un sacrificio a Giorgio Napolitano. Una cosa è certa: se devono essere i cittadini a determinare l'elezione del capo dello Stato, tanto vale che lo facciano direttamente. C'è da augurarsi di non rivedere mai più lo spettacolo di questi giorni. E che il prossimo presidente della Repubblica non esca dalle invocazioni o dalle invettive di un computer o di un telefonino, ma dal voto popolare.
«Corriere della Sera» del 20 aprile 2013
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