18 dicembre 2008

La giustizia

Consiste nel dare a ciascuno il suo, il suo fondamento poggia sulla natura umana, e si suddivide in commutativa, distributiva e legale
Di Laura Boccenti
Che cosa sia la giustizia oggi non è più tanto evidente; ne sono prova le contese intorno a concetti fondamentali come quello dei «diritti umani», della «guerra giusta», dell'eguaglianza dei diritti, della pena di morte, etc.
Troppo spesso trascuriamo la memoria delle conoscenze che le generazioni passate hanno raggiunto. Tra le molte definizioni trasmesse dal pensiero classico-cristiano la più semplice ed essenziale mi sembra questa: la giustizia consiste nel dare a ciascuno il suo.


Che cosa significa «a ciascuno il suo»?
Perché si deve dire che a qualcuno spetti qualcosa al punto tale che gli altri uomini hanno il dovere di riconoscerla?
Se l'atto della giustizia sta nel dare a ciascuno il suo, prima della giustizia viene l’atto con cui qualcosa diventa per una persona «il suo», cioè prima della giustizia c’è il diritto, ciò che «spetta».
Il fondamento del diritto e quindi della giustizia poggia sulla natura umana. L'uomo è soggetto di diritti irremovibili perché si è trovato come persona. Nella «Summa con tra gentiles» san Tommaso scrive: «È con la creazione che l'essere creato comincia per la prima volta ad avere qualcosa di proprio»; da quel momento l'uomo è detentore e portatore del «suum».
La giustizia regola le relazioni dell'uomo con gli altri di modo che il diritto venga riconosciuto e rispettato.
Il riconoscimento dell'altro si oppone direttamente all'ingiustizia; esso impedisce le possibili violazioni del vincolo comunitario e innanzitutto impedisce che l'altro, che è soggetto, sia trattato come oggetto. Per essere giusto l'uomo deve non solo «fare» ciò che fa la persona retta, ma deve anche essere retto interiormente, cioè l'azione esterna deve essere espressione della volontà interiore di riconoscere l'altro e convalidarlo in ciò che gli «spetta». Ciò che gli «spetta» può e deve essere determinato oggettivamente.

Forme fondamentali della giustizia
Poiché il «luogo» in cui si realizza la giustizia è la vita di relazione bisogna domandarsi quando i rapporti sociali siano secondo giustizia.
Secondo san Tommaso nella società c'è giustizia quando le tre relazioni fondamentali della vita collettiva sono ordinate. Si tratta:
1. delle relazioni dei singoli tra loro;
2. delle relazioni della collettività con i singoli;
3. delle relazioni dei singoli con la collettività.
A ognuno di questi rapporti corrisponde una forma fondamentale di giustizia: la giustizia "commutativa" regola il rapporto del singolo con l'altro singolo, la giustizia "distributiva" regola il rapporto della realtà collettiva con i singoli, la giustizia "legale" regola il rapporto dei singoli con il "tutto sociale".
Portatore e attuatore di tutte le forme di giustizia è sempre l'uomo, che però è chiamato in causa in maniera diversa all'interno delle diverse relazioni.

La giustizia commutativa
La giustizia commutativa chiede all'uomo che riconosca a colui che gli è estraneo e indifferente o che addirittura sente come antagonista ciò a cui ha diritto, niente di più e niente di meno. Per san Tommaso l'atto fondamentale della giustizia commutativa consiste nella «restitutio», cioè nella reintegrazione. «Restitutio» significa reintegrare qualcuno nel possesso di ciò che gli appartiene. Parlando di restituzione o reintegrazione, san Tommaso sembra suggerire l'ipotesi del risarcimento di un danno come se ogni atto buono fosse il pagamento di un debito. Una spiegazione convincente di questa affermazione un po' sorprendente viene data da Josef Pieper, il quale osserva che è corretto considerare ogni atto giusto come una reintegrazione se si considera la situazione storica dell'uomo. Tale situazione è caratterizzata dalla costante necessità di reagire al turbamento portato dal disordine e dal venire meno della giustizia. È una condizione bisognosa di continua reintegrazione e di compensazione per sopperire al venir meno del diritto. La giustizia deve essere reintegrata anche quando non c'è un torto da riparare, perché l'agire umano rende debitori o creditori coloro che partecipano alla relazione interpersonale. Perciò ogni pretesa di determinare una situazione di reintegrazione definitiva è destinata al fallimento.

Giustizia distributiva o «di governo» e giustizia legale
Il discorso sulla giustizia distributiva e legale riguarda i reciproci rapporti tra singolo e autorità. Questione delicata quando si è abituati a leggere questo rapporto o in termini di primato dell'individuo o in termini di primato della collettività.
La giustizia distributiva è la virtù che riguarda l'uomo in quanto detiene un'autorità politica, sociale o economica: è l'autorità che deve dare ai singoli membri della comunità ciò che loro compete proporzionalmente alla dignità, ai meriti e alle necessità di ciascuno.
Il modo in cui l'autorità deve qualcosa ai singoli è diverso dal modo in cui un creditore deve qualcosa a un debitore nella giustizia commutativa, perché in quest'ultimo caso si tratta di beni individuali e non entra in gioco il bene comune.
L'autorità non determina la giusta perequazione per i singoli considerando solo il valore oggettivo in questione (per esempio il giusto prezzo di qualcosa), ma anche e soprattutto la persona con cui ha a che fare e la sua situazione (es. il risarcimento per danni di guerra o di calamità).
Se è giusto riconoscere allo Stato, in caso di necessità, il diritto di disporre della libertà, della salute e persino della vita dei singoli, in che senso si può dire che ogni uomo ha dei diritti irremovibili davanti allo Stato?
Che fare quando l'autorità pubblica non tutela la giustizia, per esempio imponendo leggi ingiuste? Davanti all'ingiustizia oggettiva nasce il diritto alla resistenza, il dovere di rifiutare l'adempimento della legge iniqua.
La giustizia legale è la virtù che inclina i membri del corpo sociale a dare alla società tutto ciò che le è dovuto in ordine al bene comune. Si chiama legale perché si fonda sull'esatta osservanza delle leggi che, quando sono giuste, obbligano in coscienza, e talvolta, siccome il bene comune prevale sul bene particolare, gli uomini sono obbligati per giustizia a sacrificare una parte dei loro beni o anche a impegnare la propria vita in difesa del bene comune.

«Il Timone» del gennaio 2005

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