di Lorenzo Mondo
Attratto dall’argomento, e nell’illusione di saperne di più sul mondo giovanile, ho seguito in tv la miniserie di Lucio Pellegrini intitolata I liceali. Che è all’incirca la storia di un insegnante di liceo, Giorgio Tirabassi, trasferito a Roma dalla provincia. Quest’uomo che per una innata timidezza e un macerante rispetto del prossimo passa per imbranato, ha una figlia che vuole proteggere dalle insidie della grande città e una collega (Claudia Pandolfi) di cui si innamora, arrivando tuttavia a dichiararsi soltanto al termine di un reciproco sfinimento. Buona l’interpretazione dei protagonisti e divertenti le fasi del loro complicato, quasi surreale rapporto. Ma il professore deve vedersela soprattutto con gli allievi, stolidi e ribelli a ogni disciplina, per conquistare la loro stima. E ci riesce a forza di remissività, partecipando ai loro casi umani. Senza apprezzabili risultati per quanto riguarda l’insegnamento della letteratura.
Invano cercheresti nella fiction, dove riconosci un’eco vaghissima del film L’attimo fuggente, la pronuncia incisiva di un verso come il whitmaniano «O capitano, mio capitano». Ed è significativo che la studentessa modello, la secchiona, sia decisamente bruttina. Cogli nelle varie situazioni un’intenzione pedagogica rivolta al vissuto, così esibita da diventare fastidiosa. Vengono manifestati giusti riguardi per la scelta omosessuale di un ragazzo. L’uso del preservativo si presta a giocosi preliminari. L’allieva africana vuole essere un simbolo di integrazione, rafforzato dal fatto che la sua famiglia conta nientemeno che un ambasciatore. Ci si ferma sul limite dell’aborto, gli interessati decidono infatti di affrontare la loro responsabilità. Passi per queste già indigeste pillole di educazione civica, che si accompagnano però a una più che rassegnata accettazione dei comportamenti sessuali. Un disbrigo che da certi insegnanti trapassa con disinvoltura negli studenti, i quali possono beneficiare perfino dell’appartato laboratorio di scienze. Non viviamo con gli occhi chiusi, ma vorremmo sentirne almeno uno che si sottragga motivatamente all’andazzo. Insomma, un quadro ora melenso ora deprimente che pretende di rappresentare tutta la realtà. Francamente i liceali, quelli almeno che conosciamo, meritano di più. Alla faccia di questa rozza tv.
Invano cercheresti nella fiction, dove riconosci un’eco vaghissima del film L’attimo fuggente, la pronuncia incisiva di un verso come il whitmaniano «O capitano, mio capitano». Ed è significativo che la studentessa modello, la secchiona, sia decisamente bruttina. Cogli nelle varie situazioni un’intenzione pedagogica rivolta al vissuto, così esibita da diventare fastidiosa. Vengono manifestati giusti riguardi per la scelta omosessuale di un ragazzo. L’uso del preservativo si presta a giocosi preliminari. L’allieva africana vuole essere un simbolo di integrazione, rafforzato dal fatto che la sua famiglia conta nientemeno che un ambasciatore. Ci si ferma sul limite dell’aborto, gli interessati decidono infatti di affrontare la loro responsabilità. Passi per queste già indigeste pillole di educazione civica, che si accompagnano però a una più che rassegnata accettazione dei comportamenti sessuali. Un disbrigo che da certi insegnanti trapassa con disinvoltura negli studenti, i quali possono beneficiare perfino dell’appartato laboratorio di scienze. Non viviamo con gli occhi chiusi, ma vorremmo sentirne almeno uno che si sottragga motivatamente all’andazzo. Insomma, un quadro ora melenso ora deprimente che pretende di rappresentare tutta la realtà. Francamente i liceali, quelli almeno che conosciamo, meritano di più. Alla faccia di questa rozza tv.
«La Stampa» del 1 giugno 2008
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