di Giacomo Gambassi
Dieci anni di cinguettii. Era il 21 marzo 2006 quando veniva cinguettato il primo tweet della storia che poi sarebbe stato ritwittato più di 66mila volte. Diceva: «Just setting up my twttr» (“sto solo impostando il mio Twitter”). L’autore era jack, pseudonimo di Jack Dorsey, un informatico del Missouri e fondatore del servizio di “microblogging” che ha fatto dei messaggi brevi, simil-sms, il suo punto di forza. Lunedì l’uccellino azzurro – simbolo del social network – festeggia i dieci anni online ma l’anniversario coincide con una fase di difficoltà: gli utenti attivi sono fermi a quota 320 milioni (a fronte di 1,5 miliardi di Facebook); a gennaio sono crollati i titoli di Twitter; e quattro manager hanno abbandonato l’azienda. In Italia gli utenti registrati sono 8,3 milioni mentre quelli attivi sono la metà. Per rilanciare la piattaforma si pensa di abbattere la barriera dei 140 caratteri: a breve potrebbero essere condivisi messaggi fino a 10mila caratteri.
Un ortaggio coltivato nella Terra dei fuochi, quell’angolo della Campania avvelenato dai rifiuti tossici, è stato ribattezzato mortaggio. Per descrivere un supergoloso del web, al limite della bulimia, qualcuno ha inventato l’aggettivo gugoloso. Le millecinquecento pagine del romanzo Guerra e pace di Lev Tolstoj sono state riassunte nella frase: “Lui ama lei, lei ama un altro e intanto Napoleone invade la Russia”. E che dire di alcuni tormentoni entrati nell’immaginario collettivo come Staisereno (l’hashtag indirizzato da Matteo Renzi all’allora premier Enrico Letta poco prima di silurarlo da Palazzo Chigi nel 2014)? Twitter compie dieci anni lunedì e, a conti fatti, può essere considerato una sorta di piccolo manuale del “buon italiano”. Perché «favorisce la creatività espressiva, aiuta a coniare nuove parole, incoraggia la brevità, insegna a riassumere testi complessi e permette di divertirsi con i grandi titoli della letteratura», sostiene il docente di linguistica italiana all’Università di Cagliari, Massimo Arcangeli. Al social network su cui possiamo scrivere messaggi di non più di 140 caratteri lo studioso che collabora con la Società Dante Alighieri e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani ha dedicato il libro Breve storia di Twitter (Castelvecchi; pagine 176; euro 16,50) in cui ne elogia le potenzialità linguistiche e persino didattiche.
Eppure, professore, oggi Twitter è in crisi. Crolli in borsa, fughe di cervelli, crescita troppo lenta sono le difficoltà con cui si confronta il social.
«Ciò è dovuto al fatto che è un sistema comunicativo asimmetrico. Posso avere un milione di persone che seguono il mio profilo ma non seguirne alcuno. Questo contrasta con la logica della partecipazione e della condivisione al centro delle maggiori reti sociali come Facebook. E su Twitter si fa fatica a creare processi a catena, a meno che non siamo di fronte a grandi eventi».
In quali avvenimenti la piattaforma è stata protagonista?
«Penso alle diverse primavere arabe. Attraverso questo strumento è stato possibile diffondere in modo estremamente rapido messaggi in tutto il mondo, magari accompagnati da un’immagine. E sta proprio nella brevità la sua carta vincente che, però, rappresenta anche il maggiore limite».
A proposito di brevità, come viene letta da uno studioso della lingua?
«Oggi abbiamo più che mai bisogno di tornare a fare riassunti. Molti giovani e adulti hanno seri problemi nel comprendere e sintetizzare un testo. Ecco, Twitter consente di unire l’utile al dilettevole e in questi anni si è sviluppata un’autentica twitteratura, vale a dire il vezzo di “accorciare” e quindi far conoscere i classici. I risultati sono non solo spassosi ma anche sorprendenti. Cito l’iniziativa della Società Dante Alighieri con cui nel 2013, in occasione dei 700 anni della nascita di Boccaccio, si invitava a riassumere una novella del Decameron in un tweet. C’è chi ha riscritto in chiave di cronaca nera le storie della quarta Giornata, chi ha proposto con piglio post-futurista alcuni racconti del genio toscano, chi si è cimentato in esperimenti micronarrativi dai tratti surreali. Tutto ciò mostra come Twitter sia in grado di stimolare l’inventiva e come da questa piattaforma passino più facilmente che da altre la prosa e la poesia “alte”. Del resto su Twitter la qualità dei testi è di gran lunga superiore a quella dei principali social network».
In quale modo ha inciso sul lessico?
«Twitterini o cinguettatori sono vocaboli che l’uccellino azzurro ha partorito. Ma non sta tanto qui la svolta. Se devo concentrare un’idea in una manciata di caratteri, non solo devo sforzarmi di elaborare un contenuto che sia efficace ma anche di renderlo stilisticamente appetibile e frizzante. Così Twitter si trasforma nell’arena dove le metafore, gli aforismi e comunque l’uso brillante della lingua sono di casa. Osserviamo gli hashtag che si sono imposti: sono “bussole” o titoli che condensano quanto abbiamo in mente».
Si può parlare di twittabolario, ossia di un dizionario di neologismi forgiato sul social?
«Twitter si basa sul gioco di parole e ha contribuito a creare nuovi termini, più o meno scherzosi, corredati di una propria definizione. Si tratta di approcci utili allo sviluppo della lingua. In Rete circolano alcune raccolte curiose di parole scaturite grazie alla piattaforma. Ad esempio bugivéra, ossia un qualcosa che non è né bugia, né verità, oppure logopista, cioè chi mette sotto i piedi il logos».
Ma non mancano gli errori grammaticali o sintattici. Ha fatto epoca il “qual’è” con l’apostrofo dello scrittore Roberto Saviano in un tweet del 2011.
«La lingua delle reti sociali va considerata diversa da quella scritta. È una lingua che nasce già fortemente contaminata dall’oralità. Non possiamo giudicare con la stessa severità un refuso di un testo ufficiale e uno presente su Twitter o Facebook. Può accadere che, a causa della rapidità, non facciamo tutti i necessari controlli prima di mettere online un tweet o un post. Per questo serve una certa indulgenza ».
Anche il Papa si affida a Twitter. Come lo utilizza Francesco? «Dall’account @Pontifex_it sono passati 712 tweet dal 13 marzo 2013, giorno della sua elezione al soglio pontificio, allo scorso 18 febbraio. La classifica dei sostativi più ricorrenti è guidata da vita (oltre 80 attestazioni) e amore (oltre 70); seguono cuore, gioia, misericordia, fede, preghiera, famiglia, pace, speranza e peccato (oltre 40). Sono parole di uso comune: e non c’è da stupirsi. Se l’italiano è intriso di Vangelo, il cristianesimo è da sempre molto permeabile al lessico fondamentale della nostra lingua. Fra le peculiarità lessicali di Bergoglio spicca qualche termine insolito, come tenerezza e pazienza. Aggiungo che con il suo stile pacato il Papa restituisce dignità a un mezzo che spesso è impiegato per offendere o prendere a sciabolate gli avversari».
E Twitter ha permesso di riscoprire il cancelletto, diventato il simbolo di questo strumento per il fatto di indicare le parole- chiave.
«Come nel caso della chiocciola legata all’email, anche il cancelletto è un segno antichissimo. Le sue origini affondano nel pavimento di una grotta marina neanderthaliana prossima a Gibilterra dove si trova un cancelletto formato da tredici linee. Non sappiamo quale fosse la sua funzione ma in latino diventerà il compendio della parola numero: una N sbarrata. Così lo troviamo, secondo l’impostazione anglosassone, nel tastierino del cellulare. In Twitter entra perché è un simbolo poco usato e per di più visivamente carino. Ritengo che il cancelletto, a differenza del suo nome che richiama alla chiusura, rappresenti sul nostro social un’apertura alla comunicazione. Un invito per tutti a mettersi in dialogo con la parola e con gli altri».
Un ortaggio coltivato nella Terra dei fuochi, quell’angolo della Campania avvelenato dai rifiuti tossici, è stato ribattezzato mortaggio. Per descrivere un supergoloso del web, al limite della bulimia, qualcuno ha inventato l’aggettivo gugoloso. Le millecinquecento pagine del romanzo Guerra e pace di Lev Tolstoj sono state riassunte nella frase: “Lui ama lei, lei ama un altro e intanto Napoleone invade la Russia”. E che dire di alcuni tormentoni entrati nell’immaginario collettivo come Staisereno (l’hashtag indirizzato da Matteo Renzi all’allora premier Enrico Letta poco prima di silurarlo da Palazzo Chigi nel 2014)? Twitter compie dieci anni lunedì e, a conti fatti, può essere considerato una sorta di piccolo manuale del “buon italiano”. Perché «favorisce la creatività espressiva, aiuta a coniare nuove parole, incoraggia la brevità, insegna a riassumere testi complessi e permette di divertirsi con i grandi titoli della letteratura», sostiene il docente di linguistica italiana all’Università di Cagliari, Massimo Arcangeli. Al social network su cui possiamo scrivere messaggi di non più di 140 caratteri lo studioso che collabora con la Società Dante Alighieri e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani ha dedicato il libro Breve storia di Twitter (Castelvecchi; pagine 176; euro 16,50) in cui ne elogia le potenzialità linguistiche e persino didattiche.
Eppure, professore, oggi Twitter è in crisi. Crolli in borsa, fughe di cervelli, crescita troppo lenta sono le difficoltà con cui si confronta il social.
«Ciò è dovuto al fatto che è un sistema comunicativo asimmetrico. Posso avere un milione di persone che seguono il mio profilo ma non seguirne alcuno. Questo contrasta con la logica della partecipazione e della condivisione al centro delle maggiori reti sociali come Facebook. E su Twitter si fa fatica a creare processi a catena, a meno che non siamo di fronte a grandi eventi».
In quali avvenimenti la piattaforma è stata protagonista?
«Penso alle diverse primavere arabe. Attraverso questo strumento è stato possibile diffondere in modo estremamente rapido messaggi in tutto il mondo, magari accompagnati da un’immagine. E sta proprio nella brevità la sua carta vincente che, però, rappresenta anche il maggiore limite».
A proposito di brevità, come viene letta da uno studioso della lingua?
«Oggi abbiamo più che mai bisogno di tornare a fare riassunti. Molti giovani e adulti hanno seri problemi nel comprendere e sintetizzare un testo. Ecco, Twitter consente di unire l’utile al dilettevole e in questi anni si è sviluppata un’autentica twitteratura, vale a dire il vezzo di “accorciare” e quindi far conoscere i classici. I risultati sono non solo spassosi ma anche sorprendenti. Cito l’iniziativa della Società Dante Alighieri con cui nel 2013, in occasione dei 700 anni della nascita di Boccaccio, si invitava a riassumere una novella del Decameron in un tweet. C’è chi ha riscritto in chiave di cronaca nera le storie della quarta Giornata, chi ha proposto con piglio post-futurista alcuni racconti del genio toscano, chi si è cimentato in esperimenti micronarrativi dai tratti surreali. Tutto ciò mostra come Twitter sia in grado di stimolare l’inventiva e come da questa piattaforma passino più facilmente che da altre la prosa e la poesia “alte”. Del resto su Twitter la qualità dei testi è di gran lunga superiore a quella dei principali social network».
In quale modo ha inciso sul lessico?
«Twitterini o cinguettatori sono vocaboli che l’uccellino azzurro ha partorito. Ma non sta tanto qui la svolta. Se devo concentrare un’idea in una manciata di caratteri, non solo devo sforzarmi di elaborare un contenuto che sia efficace ma anche di renderlo stilisticamente appetibile e frizzante. Così Twitter si trasforma nell’arena dove le metafore, gli aforismi e comunque l’uso brillante della lingua sono di casa. Osserviamo gli hashtag che si sono imposti: sono “bussole” o titoli che condensano quanto abbiamo in mente».
Si può parlare di twittabolario, ossia di un dizionario di neologismi forgiato sul social?
«Twitter si basa sul gioco di parole e ha contribuito a creare nuovi termini, più o meno scherzosi, corredati di una propria definizione. Si tratta di approcci utili allo sviluppo della lingua. In Rete circolano alcune raccolte curiose di parole scaturite grazie alla piattaforma. Ad esempio bugivéra, ossia un qualcosa che non è né bugia, né verità, oppure logopista, cioè chi mette sotto i piedi il logos».
Ma non mancano gli errori grammaticali o sintattici. Ha fatto epoca il “qual’è” con l’apostrofo dello scrittore Roberto Saviano in un tweet del 2011.
«La lingua delle reti sociali va considerata diversa da quella scritta. È una lingua che nasce già fortemente contaminata dall’oralità. Non possiamo giudicare con la stessa severità un refuso di un testo ufficiale e uno presente su Twitter o Facebook. Può accadere che, a causa della rapidità, non facciamo tutti i necessari controlli prima di mettere online un tweet o un post. Per questo serve una certa indulgenza ».
Anche il Papa si affida a Twitter. Come lo utilizza Francesco? «Dall’account @Pontifex_it sono passati 712 tweet dal 13 marzo 2013, giorno della sua elezione al soglio pontificio, allo scorso 18 febbraio. La classifica dei sostativi più ricorrenti è guidata da vita (oltre 80 attestazioni) e amore (oltre 70); seguono cuore, gioia, misericordia, fede, preghiera, famiglia, pace, speranza e peccato (oltre 40). Sono parole di uso comune: e non c’è da stupirsi. Se l’italiano è intriso di Vangelo, il cristianesimo è da sempre molto permeabile al lessico fondamentale della nostra lingua. Fra le peculiarità lessicali di Bergoglio spicca qualche termine insolito, come tenerezza e pazienza. Aggiungo che con il suo stile pacato il Papa restituisce dignità a un mezzo che spesso è impiegato per offendere o prendere a sciabolate gli avversari».
E Twitter ha permesso di riscoprire il cancelletto, diventato il simbolo di questo strumento per il fatto di indicare le parole- chiave.
«Come nel caso della chiocciola legata all’email, anche il cancelletto è un segno antichissimo. Le sue origini affondano nel pavimento di una grotta marina neanderthaliana prossima a Gibilterra dove si trova un cancelletto formato da tredici linee. Non sappiamo quale fosse la sua funzione ma in latino diventerà il compendio della parola numero: una N sbarrata. Così lo troviamo, secondo l’impostazione anglosassone, nel tastierino del cellulare. In Twitter entra perché è un simbolo poco usato e per di più visivamente carino. Ritengo che il cancelletto, a differenza del suo nome che richiama alla chiusura, rappresenti sul nostro social un’apertura alla comunicazione. Un invito per tutti a mettersi in dialogo con la parola e con gli altri».
«Avvenire» del 19 marzo 2016
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