di Giovanni Belardelli *
La legge belga che ha esteso ai bambini la pratica dell’eutanasia è di quelle che obbligano a fermarsi per riflettere, che interrogano nel profondo la nostra coscienza. Richiede anzitutto di andare oltre i titoli dei giornali che, per motivi di spazio, hanno scritto di eutanasia dei bambini; mentre la legge si applicherebbe soltanto ai minori che soffrono di una malattia incurabile allo stadio terminale, cui si aggiunga una sofferenza costante e insopportabile.
Quella legge insomma ci chiede di non fermarci alla prima impressione, di non scandalizzarci «in automatico» evocando paragoni grossolani (come il programma hitleriano per l’eliminazione dei bambini disabili). Di provare dunque a immaginare le indicibili sofferenze a cui il legislatore vorrebbe porre fine con la cura terribile e ultimativa della morte. Eppure, per quanto si considerino seriamente le ragioni di chi quella legge ha formulato e sostenuto, credo che vi siano gravi motivi per non essere d’accordo con ciò che contiene.
Un primo, evidente elemento di assurdità della nuova legge risiede nel fatto che l’eutanasia deve essere richiesta dal bambino stesso, a condizione che entrambi i genitori siano d’accordo. Per quanto si sia sostenuta la «impressionante maturità» dei minori allo stadio terminale della malattia, la loro piena consapevolezza resta molto difficile da ammettere. Supponendo che la legge non si applichi ai bambini molto piccoli (ma il testo comunque non contiene alcun limite d’età), è comunque assai arduo accettare che a un adolescente — cui sono vietate un’infinità di cose in considerazione della sua età — venga invece concessa la possibilità di decidere della propria morte.
Il fatto che alla legge fosse favorevole la maggioranza dell’opinione pubblica belga vuol dire, naturalmente, poco. Sia perché, se siamo contrari alla pena di morte, non possiamo certo diventare favorevoli solo perché la maggioranza è favorevole. Sia perché lascia sconcertati la motivazione che starebbe dietro il consenso di molti belgi, favorevoli all’eutanasia per i minori — come riferiva Ivo Caizzi ieri sul Corriere — in quanto vi vedrebbero un’ulteriore estensione delle libertà individuali.
Comunque, per quanto minoritarie, le voci dissenzienti non erano affatto mancate: si erano pronunciati contro la legge sia i rappresentanti delle chiese cristiane e delle comunità religiose islamica ed ebraica, sia — da ultimo — un nutrito numero di pediatri, ciò che avrebbe dovuto suggerire di non procedere a colpi di maggioranza, cercando per giunta di bruciare i tempi del passaggio tra Senato e Camera. Se sono generalmente richieste procedure e maggioranze particolari per cambiare la Costituzione di un Paese, lo stesso dovrebbe valere di fronte ad argomenti particolarmente delicati sotto il profilo etico.
Ma la principale obiezione riguarda l’idea di Stato che è implicitamente contenuta nella legge belga. È discutibile, infatti, che la soluzione migliore per affrontare i pochi casi di cui potrà occuparsi (in Belgio, dove l’eutanasia per adulti è consentita dal 2006, finora vi è stato un solo caso relativo a un ragazzo di meno di 20 anni), fosse proprio quella di una legge. Lo Stato regola già un’infinità di ambiti della nostra esistenza; ma almeno quel terreno di passaggio, che sta tra la vita e la morte di un bambino nella condizione di malato terminale, dovrebbe essere lasciato alla straziata sollecitudine dei genitori e alla compassionevole cura di medici che ormai dispongono di molti modi per evitare l’accanimento terapeutico e la percezione del dolore.
* Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia. Le sue opere principali: Il ventennio degli intellettuali, Laterza, 2005; Nello Rosselli, Rubbettino, 2007; Mazzini, Il Mulino, 2010 (2011)
Quella legge insomma ci chiede di non fermarci alla prima impressione, di non scandalizzarci «in automatico» evocando paragoni grossolani (come il programma hitleriano per l’eliminazione dei bambini disabili). Di provare dunque a immaginare le indicibili sofferenze a cui il legislatore vorrebbe porre fine con la cura terribile e ultimativa della morte. Eppure, per quanto si considerino seriamente le ragioni di chi quella legge ha formulato e sostenuto, credo che vi siano gravi motivi per non essere d’accordo con ciò che contiene.
Un primo, evidente elemento di assurdità della nuova legge risiede nel fatto che l’eutanasia deve essere richiesta dal bambino stesso, a condizione che entrambi i genitori siano d’accordo. Per quanto si sia sostenuta la «impressionante maturità» dei minori allo stadio terminale della malattia, la loro piena consapevolezza resta molto difficile da ammettere. Supponendo che la legge non si applichi ai bambini molto piccoli (ma il testo comunque non contiene alcun limite d’età), è comunque assai arduo accettare che a un adolescente — cui sono vietate un’infinità di cose in considerazione della sua età — venga invece concessa la possibilità di decidere della propria morte.
Il fatto che alla legge fosse favorevole la maggioranza dell’opinione pubblica belga vuol dire, naturalmente, poco. Sia perché, se siamo contrari alla pena di morte, non possiamo certo diventare favorevoli solo perché la maggioranza è favorevole. Sia perché lascia sconcertati la motivazione che starebbe dietro il consenso di molti belgi, favorevoli all’eutanasia per i minori — come riferiva Ivo Caizzi ieri sul Corriere — in quanto vi vedrebbero un’ulteriore estensione delle libertà individuali.
Comunque, per quanto minoritarie, le voci dissenzienti non erano affatto mancate: si erano pronunciati contro la legge sia i rappresentanti delle chiese cristiane e delle comunità religiose islamica ed ebraica, sia — da ultimo — un nutrito numero di pediatri, ciò che avrebbe dovuto suggerire di non procedere a colpi di maggioranza, cercando per giunta di bruciare i tempi del passaggio tra Senato e Camera. Se sono generalmente richieste procedure e maggioranze particolari per cambiare la Costituzione di un Paese, lo stesso dovrebbe valere di fronte ad argomenti particolarmente delicati sotto il profilo etico.
Ma la principale obiezione riguarda l’idea di Stato che è implicitamente contenuta nella legge belga. È discutibile, infatti, che la soluzione migliore per affrontare i pochi casi di cui potrà occuparsi (in Belgio, dove l’eutanasia per adulti è consentita dal 2006, finora vi è stato un solo caso relativo a un ragazzo di meno di 20 anni), fosse proprio quella di una legge. Lo Stato regola già un’infinità di ambiti della nostra esistenza; ma almeno quel terreno di passaggio, che sta tra la vita e la morte di un bambino nella condizione di malato terminale, dovrebbe essere lasciato alla straziata sollecitudine dei genitori e alla compassionevole cura di medici che ormai dispongono di molti modi per evitare l’accanimento terapeutico e la percezione del dolore.
* Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia. Le sue opere principali: Il ventennio degli intellettuali, Laterza, 2005; Nello Rosselli, Rubbettino, 2007; Mazzini, Il Mulino, 2010 (2011)
«Corriere della Sera» del 15 febbraio 2014
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