Misteri della mente. Uno studio apre prospettive su un ambito che va dalle corti dei tribunali all’elaborazione della propria infanzia
di Massimo Piattelli Palmarini
La memoria costruisce eventi inesistenti. La neurobiologia indaga
Osserviamo bene la seguente lista di parole, che ci viene richiesto di ben memorizzare: guanciale, sogno, lenzuoli, materasso, sonno. Tra una settimana, ci verrà chiesto se alcune parole apparivano o meno in questa lista. Materasso? Sì. Oro? No. Letto? La stragrande maggioranza di noi, in perfetta buona fede, dirà che era nella lista. Ma non c’era! Adesso immaginiamo di guardare un breve filmato di un uomo che borseggia una donna, estrae il portafoglio dalla borsetta e si dilegua. La donna non sembra nemmeno essersene accorta. Qualche istante dopo ci sediamo in una stanza attigua e un signore (in realtà uno psicologo che sta effettuando un esperimento) commenta con noi il filmato. «Ha visto? Il malandrino ha quasi slogato un polso alla poveretta, torcendole il braccio. Ma come, non ha visto questo? Era evidentissimo!». Niente di tutto ciò era, in realtà, nel filmato. Una settimana dopo, ci viene chiesto di descrivere a parole cosa si vedeva nel filmato. Ebbene, in perfetta buona fede, forse ci ricorderemo che il ladro aveva forzato il braccio della signora.
Sul tema dei falsi ricordi, l’impatto dei quali può essere essenziale nelle indagini poliziesche, nei processi e nella vita, sono stati pubblicati nei giorni scorsi due importanti resoconti. Uno del celebre psichiatra Oliver Sachs, sulla «New York Review of Books», e uno di due insigni neuroscienziati cognitivi, Daniel Schacter (Harvard) ed Elisabeth Loftus (Università della California a Irvine) in un numero speciale di «Nature Neuroscience» interamente dedicato alle basi neuronali della memoria. Sachs racconta in un suo libro di aver avuto per tutta la vita due vivissimi e dettagliatissimi ricordi di due scene relative ai bombardamenti sull’Inghilterra, quando era ragazzino. Uno di questi, molto probabilmente, è genuino ma l’altro, come Sachs ha dovuto con sorpresa e sgomento ammettere recentemente, è certamente falso. Suo fratello, di lui più grande, assicura che il piccolo Oliver non era in quella cittadina, in quel momento.
Elisabeth Loftus ha studiato a lungo le illusioni mnemoniche di testimoni oculari in sede processuale. È stata spesso chiamata dagli avvocati di difesa come testimone esperto e ha raccolto le sue preoccupanti esperienze in un noto saggio. In anni recenti, ha anche esaminato vividi e sinceri ricordi che alcune persone avevano dimolestie sessuali subite in tenera età e ha potuto obiettivamente dimostrare che era impossibile fossero veri. Ne è seguito un pandemonio. È stata accusata (ma era un’accusa senza alcun fondamento) di condonare le molestie sessuali sui minori e di sostenere (di nuovo un’accusa senza alcun fondamento) che tutti i ricordi di molestie sessuali sono falsi. Una petizione con molte firme ha perfino tentato di farla licenziare dall’università nella quale insegna. Per fortuna, ora la tempesta si è placata. Schacter e Loftus, nel loro articolo su «Nature Neuroscience», riportano un caso di falsa identificazione di un presunto colpevole da parte di un testimone oculare, avvenuto in un processo nel New Jersey nel 2011. E sottolineano che, in oltre tre quarti dei 250 casi nei quali la prova del Dna ha scagionato un presunto colpevole, l’ingiusta condanna era dovuta a un errore di identificazione da parte di testimoni oculari. La memoria può ingannarci, senza che ce ne rendiamo conto. La Corte Suprema del New Jersey, che ci si augura sia imitata in altri Stati, ha recentemente decretato che i giudici devono esporre ai giurati la possibilità di errori di memoria e di identificazione, involontariamente commessi dai testimoni in un processo. Schacter e Loftus si soffermano anche in dettaglio sugli strumenti scientifici oggi disponibili per rivelare i falsi ricordi. Numerose pubblicazioni specializzate rivelano che la risonanza magnetica funzionale e raffinati tracciati di elettroencefalogrammi possono essere di aiuto. Ma si tratta di esperimenti di laboratorio, in condizioni di rigorosi controlli sperimentali, in soggetti perlopiù giovani e non emotivamente coinvolti. Quindi, pur sottolineando recenti progressi nella collaborazione tra neuroscienziati cognitivi, autorità inquirenti, giudici e pubblici ministeri, ammettono che una prova del nove dei falsi ricordi su basi neurobiologiche ancora non esiste. Solo progressi tecnologici futuri ce la potranno dare. La prudenza e la consapevolezza della falsità di alcuni (si noti bene, solo alcuni) ricordi è tutto quanto possiamo, per adesso, raccomandare.
Allarghiamo ora brevemente il panorama sulla comprensione delle basi neurobiologiche della memoria riportate nel numero monografico di «Nature Neuroscience». Si spazia dall’epigenetica della memoria e dell’apprendimento, cioè i marcatori chimici che l’esperienza quotidiana deposita sul Dna, a come i neuroni dell’ippocampo regolano la percezione dello spazio e la memoria spaziale, al ruolo del sonno e del sogno nel consolidamento dei ricordi, e ben oltre.
Chiedo all’insigne neurobiologo cognitivo Lynn Nadel dell’Università dell’Arizona, uno dei pionieri dello studio della memoria, di riassumere la tendenza generale di queste ricerche negli ultimi anni. «Innanzitutto si è passati dallo studio di singoli moduli allo studio di intere reti. Per esempio, l’integrazione tra ippocampo e corteccia entorinale (una struttura contigua all’ippocampo stesso, ndr) nel costruire la memoria spaziale rivela un sistema di immensa complessità che lentamente si comincia a capire. Sorprendentemente,ma sicuramente, questo stesso circuito è responsabile anche della memoria episodica.
Inoltre, l’epigenetica è adesso un argomento centrale, cioè come le esperienze più antiche modificano il funzionamento dei neuroni, trasformando l’antica opposizione tra natura e cultura. Tutto l’arco dello sviluppo del cervello, dalla nascita all’adulto, è sotto analisi. Le tecniche di imaging sono oggi immensamente più raffinate». Conclude sottolineando che le nuove aree ibride, talvolta un po’ strane, ma interessantissime, come la neuro-economia, la neuro-etica, la neuro-giurisprudenza e la neuro-estetica, spalancano settori di ricerca sperimentale ancora ieri impensabili. Tra tanto comprensibile entusiasmo una parola di prudenza ci viene da Oliver Sachs. Ronald Reagan, nella sua campagna elettorale del 1980, raccontò quasi piangendo un episodio di eroismo di un pilota durante la Seconda guerra mondiale. Fu ricostruito che non era un episodio reale, ma una sequenza di un film di guerra del 1944. Anche i presidenti possono nutrire falsi ricordi.
Sul tema dei falsi ricordi, l’impatto dei quali può essere essenziale nelle indagini poliziesche, nei processi e nella vita, sono stati pubblicati nei giorni scorsi due importanti resoconti. Uno del celebre psichiatra Oliver Sachs, sulla «New York Review of Books», e uno di due insigni neuroscienziati cognitivi, Daniel Schacter (Harvard) ed Elisabeth Loftus (Università della California a Irvine) in un numero speciale di «Nature Neuroscience» interamente dedicato alle basi neuronali della memoria. Sachs racconta in un suo libro di aver avuto per tutta la vita due vivissimi e dettagliatissimi ricordi di due scene relative ai bombardamenti sull’Inghilterra, quando era ragazzino. Uno di questi, molto probabilmente, è genuino ma l’altro, come Sachs ha dovuto con sorpresa e sgomento ammettere recentemente, è certamente falso. Suo fratello, di lui più grande, assicura che il piccolo Oliver non era in quella cittadina, in quel momento.
Elisabeth Loftus ha studiato a lungo le illusioni mnemoniche di testimoni oculari in sede processuale. È stata spesso chiamata dagli avvocati di difesa come testimone esperto e ha raccolto le sue preoccupanti esperienze in un noto saggio. In anni recenti, ha anche esaminato vividi e sinceri ricordi che alcune persone avevano dimolestie sessuali subite in tenera età e ha potuto obiettivamente dimostrare che era impossibile fossero veri. Ne è seguito un pandemonio. È stata accusata (ma era un’accusa senza alcun fondamento) di condonare le molestie sessuali sui minori e di sostenere (di nuovo un’accusa senza alcun fondamento) che tutti i ricordi di molestie sessuali sono falsi. Una petizione con molte firme ha perfino tentato di farla licenziare dall’università nella quale insegna. Per fortuna, ora la tempesta si è placata. Schacter e Loftus, nel loro articolo su «Nature Neuroscience», riportano un caso di falsa identificazione di un presunto colpevole da parte di un testimone oculare, avvenuto in un processo nel New Jersey nel 2011. E sottolineano che, in oltre tre quarti dei 250 casi nei quali la prova del Dna ha scagionato un presunto colpevole, l’ingiusta condanna era dovuta a un errore di identificazione da parte di testimoni oculari. La memoria può ingannarci, senza che ce ne rendiamo conto. La Corte Suprema del New Jersey, che ci si augura sia imitata in altri Stati, ha recentemente decretato che i giudici devono esporre ai giurati la possibilità di errori di memoria e di identificazione, involontariamente commessi dai testimoni in un processo. Schacter e Loftus si soffermano anche in dettaglio sugli strumenti scientifici oggi disponibili per rivelare i falsi ricordi. Numerose pubblicazioni specializzate rivelano che la risonanza magnetica funzionale e raffinati tracciati di elettroencefalogrammi possono essere di aiuto. Ma si tratta di esperimenti di laboratorio, in condizioni di rigorosi controlli sperimentali, in soggetti perlopiù giovani e non emotivamente coinvolti. Quindi, pur sottolineando recenti progressi nella collaborazione tra neuroscienziati cognitivi, autorità inquirenti, giudici e pubblici ministeri, ammettono che una prova del nove dei falsi ricordi su basi neurobiologiche ancora non esiste. Solo progressi tecnologici futuri ce la potranno dare. La prudenza e la consapevolezza della falsità di alcuni (si noti bene, solo alcuni) ricordi è tutto quanto possiamo, per adesso, raccomandare.
Allarghiamo ora brevemente il panorama sulla comprensione delle basi neurobiologiche della memoria riportate nel numero monografico di «Nature Neuroscience». Si spazia dall’epigenetica della memoria e dell’apprendimento, cioè i marcatori chimici che l’esperienza quotidiana deposita sul Dna, a come i neuroni dell’ippocampo regolano la percezione dello spazio e la memoria spaziale, al ruolo del sonno e del sogno nel consolidamento dei ricordi, e ben oltre.
Chiedo all’insigne neurobiologo cognitivo Lynn Nadel dell’Università dell’Arizona, uno dei pionieri dello studio della memoria, di riassumere la tendenza generale di queste ricerche negli ultimi anni. «Innanzitutto si è passati dallo studio di singoli moduli allo studio di intere reti. Per esempio, l’integrazione tra ippocampo e corteccia entorinale (una struttura contigua all’ippocampo stesso, ndr) nel costruire la memoria spaziale rivela un sistema di immensa complessità che lentamente si comincia a capire. Sorprendentemente,ma sicuramente, questo stesso circuito è responsabile anche della memoria episodica.
Inoltre, l’epigenetica è adesso un argomento centrale, cioè come le esperienze più antiche modificano il funzionamento dei neuroni, trasformando l’antica opposizione tra natura e cultura. Tutto l’arco dello sviluppo del cervello, dalla nascita all’adulto, è sotto analisi. Le tecniche di imaging sono oggi immensamente più raffinate». Conclude sottolineando che le nuove aree ibride, talvolta un po’ strane, ma interessantissime, come la neuro-economia, la neuro-etica, la neuro-giurisprudenza e la neuro-estetica, spalancano settori di ricerca sperimentale ancora ieri impensabili. Tra tanto comprensibile entusiasmo una parola di prudenza ci viene da Oliver Sachs. Ronald Reagan, nella sua campagna elettorale del 1980, raccontò quasi piangendo un episodio di eroismo di un pilota durante la Seconda guerra mondiale. Fu ricostruito che non era un episodio reale, ma una sequenza di un film di guerra del 1944. Anche i presidenti possono nutrire falsi ricordi.
«Corriere della Sera - Supp. La lettura» della fine di febbraio 2013
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