La continua svalutazione dell'italiano
di Pietr4o Citati
Negli ultimi tempi, molti hanno scritto intorno alla salute della lingua italiana. Mi sembra giustissimo: la nostra lingua possiede una bellezza, una ricchezza, una flessibilità straordinarie; e impoverirla o deturparla non provocano soltanto una dolorosa ferita alle parole, ma un colpo mortale alla nostra civiltà, alla nostra intelligenza e ai nostri costumi. Battersi in difesa della lingua è molto più importante che battersi per la abolizione o la conservazione dell'articolo 18. Possiamo difenderla soltanto in un modo: cercando di parlare e di scrivere secondo la sua natura e la sua tradizione.
Qualcuno ha giustamente osservato che in questi anni stiamo dimenticando molti vocaboli della nostra tradizione, e che impoveriamo diverse forme della sintassi italiana, specie nel caso del congiuntivo e del condizionale. È comico vedere alcuni ricorrere a una preposizione sconosciuta, e declinare il verbo che si accorda con questa preposizione: sembra che stiano inghiottendo carboni ardenti. Perdere vocaboli e forme sintattiche è molto grave per una lingua come la nostra, il cui fascino dipende in primo luogo dalla ricchezza: è assai meno grave per il francese, che può difendere la sua eleganza anche con un vocabolario diminuito. Ma i disastri peggiori sono stati compiuti nella un tempo sterminata lingua inglese: quando leggiamo certi libri di storia o di critica letteraria, restiamo atterriti, perché ci rendiamo conto che a volte l'inglese, specie nella sua forma internazionale, è ormai incapace di esprimere pensieri appena difficili e complicati.
Nel caso dell'italiano assistiamo a un fenomeno singolare, che credo unico nel panorama delle lingue europee di oggi. La nostra lingua si imbruttisce non per via della sua progressiva povertà, ma del tentativo di ostentare una ricchezza metaforica inesistente. Un uomo politico o un giornalista televisivo non dicono più che bisogna togliere la fiducia in Parlamento a Berlusconi o a Monti, ma che si deve staccare la spina a Berlusconi o a Monti. È una metafora sinistra, perché allude al distacco del respiratore che tiene in vita un moribondo: episodio di cui si è molto parlato al tempo del caso Englaro. Meno sinistra, ma non meno ridicola è l'espressione: Berlusconi o Bersani devono fare un passo indietro, che esprime con un'immagine una semplice riserva politica.
Nei due casi assistiamo al tentativo grottesco di dare fantasia, inventività ed espressività a una lingua impoverita e cadaverica. Il gergo politico è pieno di queste metafore oziose, che rendono incomprensibile, a uno straniero, l'ascolto della nostra televisione o la lettura dei nostri quotidiani.
Da una decina d'anni, continua a sopravvivere l'espressione , che si è diffusa mostruosamente insinuandosi tra gli altri vocaboli. Chi parla, sta confidando al suo uditorio pensieri semplicissimi, quasi elementari, o raccontando un evento comune. Ma vuole dare l'impressione che il suo pensiero sia difficile, arduo, labirintico, problematico, e che l'evento sia complicato e quasi incomprensibile. Così dice, solennemente, in qualche modo, confidando di avvolgere il suo uditorio e di venire avvolto in una nube di rispetto e di reverenza.
Qualcuno ha giustamente osservato che in questi anni stiamo dimenticando molti vocaboli della nostra tradizione, e che impoveriamo diverse forme della sintassi italiana, specie nel caso del congiuntivo e del condizionale. È comico vedere alcuni ricorrere a una preposizione sconosciuta, e declinare il verbo che si accorda con questa preposizione: sembra che stiano inghiottendo carboni ardenti. Perdere vocaboli e forme sintattiche è molto grave per una lingua come la nostra, il cui fascino dipende in primo luogo dalla ricchezza: è assai meno grave per il francese, che può difendere la sua eleganza anche con un vocabolario diminuito. Ma i disastri peggiori sono stati compiuti nella un tempo sterminata lingua inglese: quando leggiamo certi libri di storia o di critica letteraria, restiamo atterriti, perché ci rendiamo conto che a volte l'inglese, specie nella sua forma internazionale, è ormai incapace di esprimere pensieri appena difficili e complicati.
Nel caso dell'italiano assistiamo a un fenomeno singolare, che credo unico nel panorama delle lingue europee di oggi. La nostra lingua si imbruttisce non per via della sua progressiva povertà, ma del tentativo di ostentare una ricchezza metaforica inesistente. Un uomo politico o un giornalista televisivo non dicono più che bisogna togliere la fiducia in Parlamento a Berlusconi o a Monti, ma che si deve staccare la spina a Berlusconi o a Monti. È una metafora sinistra, perché allude al distacco del respiratore che tiene in vita un moribondo: episodio di cui si è molto parlato al tempo del caso Englaro. Meno sinistra, ma non meno ridicola è l'espressione: Berlusconi o Bersani devono fare un passo indietro, che esprime con un'immagine una semplice riserva politica.
Nei due casi assistiamo al tentativo grottesco di dare fantasia, inventività ed espressività a una lingua impoverita e cadaverica. Il gergo politico è pieno di queste metafore oziose, che rendono incomprensibile, a uno straniero, l'ascolto della nostra televisione o la lettura dei nostri quotidiani.
Da una decina d'anni, continua a sopravvivere l'espressione , che si è diffusa mostruosamente insinuandosi tra gli altri vocaboli. Chi parla, sta confidando al suo uditorio pensieri semplicissimi, quasi elementari, o raccontando un evento comune. Ma vuole dare l'impressione che il suo pensiero sia difficile, arduo, labirintico, problematico, e che l'evento sia complicato e quasi incomprensibile. Così dice, solennemente, in qualche modo, confidando di avvolgere il suo uditorio e di venire avvolto in una nube di rispetto e di reverenza.
«Corriere della Sera» - Supplemento "La lettura" del 19 febbraio 2012
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