Il neoluddismo di tassisti, catene di hotel o cantanti. Ma le proteste sono sterili di fronte a servizi migliori
di Pierluigi Battista
Le autorità francesi che hanno arrestato due responsabili di Uber stanno ripetendo lo stesso gesto disperato di chi, all’alba della rivoluzione industriale, spaccava i nuovi telai meccanici per salvare l’integrità di un mondo che stava sparendo. Persero allora e perderanno adesso. La modernità industriale non si arrestò per i gesti dei luddisti. Oggi arrestano chi sfida monopoli e corporazioni. Ma la sentenza è già scritta. Tutto va avanti a velocità impetuosa, ma Uber, negli Stati Uniti, è già considerato un dinosauro da nuove e più spregiudicate «app» che saranno i nuovi dinosauri di dopodomani. È come se i costruttori di carrozze avessero chiesto l’intervento della polizia per bloccare la nascente industria automobilistica.
Battaglie romantiche, come quelle degli spazzacamini travolti dalla nascita dei nuovi impianti di riscaldamento e dalle nuove cucine. Oggi il fronte dei conservatori che detestano la folla di nuove imprese da attivare digitando uno smartphone o un tablet è ampio, variegato. Mica solo i soliti tassisti. Protestano i grandi hotel perché con il cellulare sempre più persone cercano e trovano stanze senza intermediazioni e in pochi secondi. Boccheggiano le agenzie di viaggio perché basta una app per fare biglietti, costruire itinerari, prenotare aerei, organizzare spostamenti. La cantante Taylor Swift è diventata la beniamina di tutti gli addetti alle case discografiche terrorizzati dalla Apple che come Spotify permetterà con un abbonamento risibile di acquistare tutta la musica del mondo. Già l’irruzione di iTunes aveva destabilizzato quel mondo. Chissà se staranno meditando l’assalto a Cupertino.
Le case automobilistiche guardano con apprensione al fenomeno del car sharing che oramai, nelle grandi città e per quelli che hanno meno di trent’anni, è diventato il modo più veloce e meno dispendioso per muoversi. Cominciano a protestare negli Stati Uniti le grandi compagnie dei pullman perché con una semplice app si sale su mezzi comodi e affidabili per ogni tratto di strada anche non contemplata dagli itinerari tracciati dai monopolisti del trasporto su ruota. Protestano gli scrittori che si ribellano contro Amazon che pratica politiche di sconti molto aggressive, che i consumatori amano perché rende più facile ed economica la strada verso un libro, ma che gli autori considerano un deplorevole cedimento alle ragioni del mercato e una minaccia alle belle librerie di una volta (che chiudono).
Protestano le grandi tv perché con l’irruzione di Netflix, la televisione verrà consumata con modalità completamente diverse da quelle tradizionali. Protestano gli editori e i giornalisti perché i loro articoli, benché protetti dalla «riproduzione riservata», circolano gratuitamente per la Rete e ci sono applicazioni che già oggi permettono di sfogliare «il meglio di» senza passare per l’acquisto del giornale. Tra un po’ protesteranno anche gli autostoppisti che, grazie a quella geniale invenzione che è BlaBlaCar, rimpiangeranno il romanticismo del pollice perduto sul ciglio della strada: ah com’era bello l’autostop di una volta. Magari fossero solo i tassisti, eterni simboli della corporazione aggressiva che oggi fanno la guerra santa, aiutati dai tribunali, contro Uber. Si lamentano e dicono che questo non è progresso, ma sottrazione di lavoro a gente perbene che resterà presto disoccupata. Però è anche occupazione nuova, giovane, intraprendente che arriva.
Nuovi lavori, nuove invenzioni, nuove idee, nuova occupazione. Si contano a milioni in America (ne ha scritto Massimo Gaggi per «La Lettura») i nuovi lavoratori che, senza fissa dimora a tempo indeterminato, mordono l’immobilismo di ristoranti e lavanderie, poliambulatori e fiorai. Dando una mano ai consumatori, facilitando la vita, rispondendo a un bisogno sociale. Il mercato è anche questo: sovranità del consumatore che può avere migliori servizi a buon prezzo. Ecco perché i due dirigenti di Uber arrestati in Francia danno un sapore di arcaico, di ferocemente retrivo nella battaglia che le corporazioni e i monopoli stanno ingaggiando contro le piccole app che stanno sconvolgendo il mondo. Potranno alzare i ponti levatoi, distruggere i telai meccanici come facevano i luddisti, potranno sacrificare i consumatori sull’altare dello status quo e della conservazione. Ma alla fine il destino è segnato. Questione di anni, o forse di mesi. Ed è anche giusto che sia così.
«A» del marzo 2015