di Andrea Lavazza
«La conoscenza non è fatta solo dal cervello»
Riccardo Manzotti è un ingegnere-filosofo che insegna Psicologia allo Iulm di Milano. E dedica le competenze multidisciplinari al 'mistero della coscienza'. Il punto sulla sua ricerca l’ha fatto in un volume scritto a quattro mani con Vincenzo Tagliasco, decano della robotica italiana, tragicamente scomparso in maggio: L’esperienza. Perché i neuroni non spiegano tutto (Codice edizioni).
Professor Manzotti, quello di 'esperienza' sembra un concetto immediato, ma forse descriverlo non è così semplice ...
«Dalla mattina alla sera, ognuno di noi vive dentro la propria esperienza: dei colori, dei sapori, degli aspetti piacevoli e meno piacevoli della vita. L’esperienza è il materiale di cui è fatta la nostra esistenza. Senza l’esperienza il mondo non sarebbe che polvere, atomi, cellule, reazioni chimiche. Per fortuna, il mondo è anche qualcos’altro».
Quello che ci dicono le neuroscienze esaurisce l’esperienza?
«Grazie a nuove tecniche di ' brain imaging', i neurobiologi sono stati in grado di fare passi da gigante nel comprendere come il cervello distingua stimoli diversi, memorizzi l’informazione, faccia associazioni, controlli il comportamento, che ruolo abbiano i neuroni specchio. Ma se guardiamo all’attività delle cellule nervose, non troviamo niente che assomigli alle nostre esperienza quotidiane. Al massimo il neurobiologo trova una correlazione tra certi neuroni e certe esperienze, ma non quello che il paziente prova. La distanza tra i neuroni e una semplice esperienza quale può essere quella di gustare un buon gelato al cioccolato è incolmabile. Per i neuroscienziati, quindi, resiste il mistero della 'coscienza fenomenica', il termine filosofico per la capacità di fare esperienza».
Si dice che quello della coscienza sia uno degli ultimi 'misteri'. Che soluzione viene proposta nel libro?
«La rivista Science (che, insieme con Nature, è una delle massime autorità scientifiche al mondo) ha inserito la coscienza tra i cinque più grandi misteri che la scienza dovrà affrontare nei prossimi anni. Nel libro, io e Tagliasco, abbiamo delineato, con un lavoro che ha richiesto una decina di anni, un quadro di riferimento alternativo a quello comunemente utilizzato dalle neuroscienze».
In sintesi, che cosa proponete?
«I neuroscienziati cercano l’esperienza dentro il cervello. Noi suggeriamo di prendere in considerazione un supporto fisico più ampio, che comprende una parte del mondo esterno al corpo. Quando, ad esempio, guardiamo un giglio di montagna, si ha una catena di fenomeni fisici che procedono dalla superficie del giglio, entrano nel nostro occhio, procedono lungo il nervo ottico e scatenano complesse attività nel cervello. Le neuroscienze insistono nel cercare l’esperienza del giglio nell’ultimo tratto di questa catena di fenomeni, nel 'pezzetto neurale'. Noi suggeriamo di considerare tutta la catena. Secondo noi, l’esperienza è fatta anche dal giglio che sta di fronte a noi, e non solo dai neuroni dentro il nostro cervello».
Perché si dice già nel sottotitolo che i neuroni non spiegano tutto, proprio in un momento in cui le neuroscienze affrontano la morale, l’estetica e la politica?
«Ogni tanto nella scienza ci si lascia affascinare da quello che è stato definito il 'pensiero magico'. Si comprende un nuovo fenomeno, in questo caso i neuroni, e si cerca di utilizzarlo per spiegare tutto. È ovvio che il funzionamento del cervello ha un ruolo in tutte le attività del genere umano (estetica, morale, economia); ma non esistono cervelli isolati e autonomi. I cervelli sono necessari per l’esistenza delle persone, le due entità però non coincidono. Il nostro libro cerca di chiarire la differenza».
Una teoria che voglia spiegare come funziona la nostra mente deve essere necessariamente materialistica per risultare scientifica e affidabile?
«La mente non è l’anima. La mente è un fenomeno che, con tutta probabilità, condividiamo con molti animali, anche se in gradi diversi. Chi infliggerebbe dolore a una scimmia o a un cane? Il motivo è che, al di là di tante teorie, riteniamo che questi animali abbiano una mente che fa esperienza del dolore. La mente è probabilmente un fenomeno fisico, ma non limitato al solo cervello. Quanto alla definizione di materialismo, vorrei far notare che non comprendiamo appieno la natura della realtà fisica e quindi si tratta di un confine ancora molto vago».
Chi non aderisce a uno stretto fisicalismo su mente/cervello viene emarginato dalla comunità dei ricercatori?
«Un filosofo e scienziato come Alfred North Whitehead ha scritto che in ogni epoca esistono ipotesi o metafore che vengono accettate implicitamente. Queste ipotesi appaiono così ovvie che la gente non si rende conto di usarle, né delle alternative. Lo scopo della scienza è quello di superare questi limiti. L’occasione è fornita proprio dai grandi interrogativi sull’esperienza e sulla mente».
“Avvenire” del 27 luglio 2008
«Così la mente si specchia negli altri»
Marco Iacoboni, ' cervello in fuga', dirige il laboratorio di Stimolazione magnetica transcranica della University of California a Los Angeles ( Ucla). I suoi ( controversi) studi su cervello e politica l’hanno reso noto negli Stati Uniti, ma la sua più solida ricerca è quella su alcune cellule nervose dalle caratteristiche sorprendenti, cui ha appena dedicato un esauriente e stimolante volume: I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri ( Bollati Boringhieri).
Professor Iacoboni, da qualche anno non è raro sentire citati i ' neuroni specchio'. Che cosa sono, come sono stati scoperti e dove sono situati?
« I neuroni specchio sono cellule localizzate in certe aree del cervello che controllano i nostri movimenti. In tale aree troviamo cellule che si attivano quando eseguiamo azioni, ad esempio afferrare le chiavi della macchina. I neuroni specchio, oltre ad attivarsi quando agiamo, si attivano anche quando osserviamo qualcun altro eseguire la stessa azione. Un neurone che si attiva quando afferro le chiavi ha la caratteristica di un neurone specchio se si attiva anche quando io sto semplicemente guardando qualcun altro afferrare le chiavi. Queste cellule sono state individuate dal gruppo di Giacomo Rizzolatti a Parma, studiando l’attività dei neuroni delle scimmie. È stata una scoperta decisamente inattesa » .
Perché i neuroni specchio sono così importanti per la vita sociale?
« Accendendosi quando siamo impegnati nelle nostre occupazioni quotidiane e quando osserviamo altre persone eseguire le stesse attività, i neuroni specchio ci permettono di capire le azioni altrui in modo semplice, automatico, senza ricorrere a ragionamenti complessi. E questo ci permette di comprendere gli stati mentali associati alle azioni e alle intenzioni degli altri, le loro emozioni. Noi diamo per scontata la nostra capacità di capire gli stati mentali altrui quando interagiamo con loro, ma in realtà questa capacità è straordinaria, perché ovviamente noi non abbiamo accesso alle menti del nostro prossimo. Il processo evolutivo ha selezionato queste cellule proprio per facilitare le interazioni sociali » .
Si può dire che siano alla base del sentimento di empatia verso gli altri?
« Direi di sì. I neuroni specchio che si attivano quando la mia faccia esprime una smorfia di dolore si attivano anche quando osservo la smorfia di dolore del mio vicino. In questo modo riesco a immedesimarmi nel dolore altrui e a provare empatia. Lo stesso ragionamento si applica ad altre emozioni. Nei nostri studi abbiamo osservato che soggetti altamente empatici attivano le aree dei neuroni specchio molto più dei soggetti non empatici. Riteniamo che il sistema dei neuroni specchio sia un ' segno' cerebrale della capacità di empatizzare » .
I neuroni specchio non ci spingono solo all’altruismo. Che ruolo possono avere nell’imitazione della violenza?
« Sfortunatamente, temo che abbiano un ruolo importante. Diversi studi hanno suggerito che chi osserva atti violenti tende a mostrare un comportamento violento. Con la scoperta dei neuroni specchio abbiamo adesso un meccanismo neurologico plausibile che spiega questi dati. Da un lato, varrebbe la pena considerare qualche forma di controllo, soprattutto della violenza sui mass media; dall’altro, bisogna avere cautela nel limitare la libertà di espressione » .
Perché sostiene che il libero arbitrio sia una nozione da rivedere?
« Sembra che il processo evolutivo abbia create dei meccanismi neuronali relativamente semplici che permettono la socializzazione. D’altro canto, questi meccanismi di rispecchiamento ci espongono all’influenza degli altri, facilitando un’imitazione automatica del comportamento altrui. In questo senso, l’idea di un completo controllo delle nostre azioni va probabilmente rivista, e con essa il concetto di un libero arbitrio completo ed assoluto » .
Qualche critico sostiene che si attribuisce un ruolo troppo ampio, quasi ' culturale', ai neuroni specchio. Come risponde?
« I neuroni specchio hanno caratteristiche che sembrano ideali per l’imitazione, un comportamento umano che molti studi antropologici hanno messo al centro dei meccanismi di creazione e trasmissione di tradizioni culturali. Il legame neuroni- cultura mi sembra logico. Le critiche tendono invece a essere molto vaghe » .
Non ci si spinge troppo verso il cosiddetto neuroessenzialismo – che ridimensiona il ruolo della riflessione razionale e della cultura – prima di avere prove empiriche sufficienti per certe generalizzazione dei risultati ottenuti finora?
« I neuroni certamente non spiegano ' tutto' dell’uomo. L’attività neuronale ( e le sue interazioni con il nostro corpo) controlla il comportamento umano, ma a sua volta questo comportamento produce pratiche e tradizioni culturali che a loro volta influenzano l’attività cerebrale. Le continue, incessanti interazioni tra il cervello e la società mi affascinano moltissimo » .
“Avvenire” del 27 luglio 2008