La denuncia di Caselli contro i No Tav
di Pierluigi Battista
Contro i professionisti dell’intolleranza per ripristinare la libertà di parola
Gli squadristi che inseguono Giancarlo Caselli per tappargli la bocca usano il potere della violenza contro il potere della parola. Adusi alla sopraffazione, temono il pensiero e le parole che lo esprimono come il più grande pericolo.
Per loro il Nemico va annientato, figurarsi se può essergli riconosciuto il diritto di parola. Chi impedisce a Caselli di parlare, diffonde il virus dell'intolleranza e della prepotenza. Bisognerebbe definirli per ciò che sono: vigliacchi che si accaniscono in tanti contro uno. Altro che le buone ragioni del popolo No Tav, che dovrebbe cacciare con energia i professionisti della bastonatura dal loro movimento, discutibile ma, se espresso in forme democratiche, più che legittimo.
Ma per essere efficacemente solidali con Caselli, anche ieri sera a Genova vittima dell'intolleranza, bisognerebbe smetterla anche con l'acquiescenza indulgente che ha sin qui accompagnato le gesta di chi va in giro per l'Italia a impedire ai loro bersagli di presentare libri, divulgare idee, discutere liberamente. I prepotenti fanno della loro vittima un simbolo del Male: in questo caso della «repressione» giudiziaria dei violenti che secondo la Procura di Torino hanno trasformato normali manifestazioni di protesta in occasioni di guerriglia e di violenza. Ergo, secondo il vocabolario della loro intolleranza virulenta e irragionevole, a Caselli può essere revocato il diritto costituzionale di manifestare la propria opinione. Il sillogismo è micidiale. Le conseguenze sono una diminuzione della libertà: della libertà di chi non può dire e quella di chi non può ascoltare. È prevalsa invece in questi anni l'idea un po' stolta che chi impedisce di parlare è solo un esuberante che vuole esercitare la «libertà di fischio». Come se fosse un appassionato loggionista indispettito dalla cattiva esecuzione di chi sta sul palcoscenico. Una sciocchezza: i prepotenti non vogliono che si parli, a prescindere, non vogliono che chiunque possa esprimere liberamente le proprie idee. Altro che libertà di fischio.
Chiunque vuol dire chiunque. In Italia, invece, l'indignazione contro gli intolleranti è selettiva, zigzagante, dimezzata: forte e veemente se le vittime sono dei «nostri», flebile e assente se il trattamento squadristico colpisce gli altri. Ma sono anni che gli squadristi, approfittando di questo inguaribile doppiopesismo, riescono a imporre la volontà della violenza e dell'intimidazione. Hanno impedito che il Papa tenesse una lezione al Rettorato di Roma. Hanno scagliato corpi contundenti e fumogeni contro Raffaele Bonanni, il leader della Cisl «reo» di voler dire la sua durante una festa del Partito democratico. Hanno inscenato una «mobilitazione antifascista» all'Università romana per non far parlare un intellettuale di destra come Marcello Veneziani (e recentemente a Milano con Oscar Giannino, nientedimeno). Hanno coperto con i fischi il presidente democratico della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, solo perché voleva difendere il valore del 25 aprile dalle gesta dei lanciatori seriali di bulloni e pietre. Hanno negato la piazza anti-abortista di Giuliano Ferrara in campagna elettorale. Hanno zittito i relatori di un convegno sui (presunti) «diari di Mussolini» presieduto da Marcello Dell'Utri. Hanno costretto una Fiera del libro a blindarsi solo perché parlavano scrittori israeliani come Amos Oz e Abraham Yehoshua.
Ogni volta, pochi ma determinati, con la potenza degli urlatori hanno calpestato un diritto. Si sono sentiti i monopolisti unici del diritto di concedere o negare la parola. Sono arroganti, ma furbi: sanno che basta un manipolo di squadristi ben addestrati per schiacciare i diritti della maggioranza silente. Sanno di avere un grande potere intimidatorio. Dovrebbero sapere invece che l'opinione pubblica disprezza chi non conosce e riconosce i diritti degli altri, chi vuole imporre con la forza una volontà minoritaria ma chiassosa, capace con il fracasso e le urla di impedire a chi vuole parlare di argomentare i propri pensieri, sottoporli al giudizio di un uditorio, come avviene in qualsiasi Paese libero e democratico. Ecco perché la solidarietà con Caselli deve essere totale e incondizionata. Perché attorno al suo caso si misura la capacità di una Nazione di tutelare il diritto fondamentale di parola. Cedere sarebbe catastrofico, perché sulla libertà di parola non si può transigere.
Gli squadristi che inseguono Giancarlo Caselli per tappargli la bocca usano il potere della violenza contro il potere della parola. Adusi alla sopraffazione, temono il pensiero e le parole che lo esprimono come il più grande pericolo.
Per loro il Nemico va annientato, figurarsi se può essergli riconosciuto il diritto di parola. Chi impedisce a Caselli di parlare, diffonde il virus dell'intolleranza e della prepotenza. Bisognerebbe definirli per ciò che sono: vigliacchi che si accaniscono in tanti contro uno. Altro che le buone ragioni del popolo No Tav, che dovrebbe cacciare con energia i professionisti della bastonatura dal loro movimento, discutibile ma, se espresso in forme democratiche, più che legittimo.
Ma per essere efficacemente solidali con Caselli, anche ieri sera a Genova vittima dell'intolleranza, bisognerebbe smetterla anche con l'acquiescenza indulgente che ha sin qui accompagnato le gesta di chi va in giro per l'Italia a impedire ai loro bersagli di presentare libri, divulgare idee, discutere liberamente. I prepotenti fanno della loro vittima un simbolo del Male: in questo caso della «repressione» giudiziaria dei violenti che secondo la Procura di Torino hanno trasformato normali manifestazioni di protesta in occasioni di guerriglia e di violenza. Ergo, secondo il vocabolario della loro intolleranza virulenta e irragionevole, a Caselli può essere revocato il diritto costituzionale di manifestare la propria opinione. Il sillogismo è micidiale. Le conseguenze sono una diminuzione della libertà: della libertà di chi non può dire e quella di chi non può ascoltare. È prevalsa invece in questi anni l'idea un po' stolta che chi impedisce di parlare è solo un esuberante che vuole esercitare la «libertà di fischio». Come se fosse un appassionato loggionista indispettito dalla cattiva esecuzione di chi sta sul palcoscenico. Una sciocchezza: i prepotenti non vogliono che si parli, a prescindere, non vogliono che chiunque possa esprimere liberamente le proprie idee. Altro che libertà di fischio.
Chiunque vuol dire chiunque. In Italia, invece, l'indignazione contro gli intolleranti è selettiva, zigzagante, dimezzata: forte e veemente se le vittime sono dei «nostri», flebile e assente se il trattamento squadristico colpisce gli altri. Ma sono anni che gli squadristi, approfittando di questo inguaribile doppiopesismo, riescono a imporre la volontà della violenza e dell'intimidazione. Hanno impedito che il Papa tenesse una lezione al Rettorato di Roma. Hanno scagliato corpi contundenti e fumogeni contro Raffaele Bonanni, il leader della Cisl «reo» di voler dire la sua durante una festa del Partito democratico. Hanno inscenato una «mobilitazione antifascista» all'Università romana per non far parlare un intellettuale di destra come Marcello Veneziani (e recentemente a Milano con Oscar Giannino, nientedimeno). Hanno coperto con i fischi il presidente democratico della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, solo perché voleva difendere il valore del 25 aprile dalle gesta dei lanciatori seriali di bulloni e pietre. Hanno negato la piazza anti-abortista di Giuliano Ferrara in campagna elettorale. Hanno zittito i relatori di un convegno sui (presunti) «diari di Mussolini» presieduto da Marcello Dell'Utri. Hanno costretto una Fiera del libro a blindarsi solo perché parlavano scrittori israeliani come Amos Oz e Abraham Yehoshua.
Ogni volta, pochi ma determinati, con la potenza degli urlatori hanno calpestato un diritto. Si sono sentiti i monopolisti unici del diritto di concedere o negare la parola. Sono arroganti, ma furbi: sanno che basta un manipolo di squadristi ben addestrati per schiacciare i diritti della maggioranza silente. Sanno di avere un grande potere intimidatorio. Dovrebbero sapere invece che l'opinione pubblica disprezza chi non conosce e riconosce i diritti degli altri, chi vuole imporre con la forza una volontà minoritaria ma chiassosa, capace con il fracasso e le urla di impedire a chi vuole parlare di argomentare i propri pensieri, sottoporli al giudizio di un uditorio, come avviene in qualsiasi Paese libero e democratico. Ecco perché la solidarietà con Caselli deve essere totale e incondizionata. Perché attorno al suo caso si misura la capacità di una Nazione di tutelare il diritto fondamentale di parola. Cedere sarebbe catastrofico, perché sulla libertà di parola non si può transigere.
«Corriere della Sera» del 22 febbraio 2012
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