di Alessandro D’Avenia
Jack Malik vuole diventare un cantautore di successo ma a malapena riesce a intrattenere i bambini alle feste. Dopo l’ennesimo fiasco decide di appendere la chitarra al chiodo ma, mentre torna a casa in bicicletta, il mondo si spegne per qualche secondo a causa di un inspiegabile black-out globale. Un autobus lo travolge e si risveglia in ospedale, fisicamente malconcio. Quando finalmente viene dimesso, i suoi amici improvvisano una festa e, per tirarlo su di morale, gli chiedono di cantare una canzone. Jack non ha dubbi: Yesterday dei Beatles. Tutti restano sbalorditi, le loro orecchie non hanno mai sentito nulla di così bello: «Che cos’è?». Jack risponde che è la canzone più bella di tutti i tempi. «Adesso non montarti la testa!». Jack non capisce, nessuno la conosce... anzi nessuno conosce i Beatles. Ma ecco svelato il mistero: a causa del black-out tutti, tranne lui, li hanno dimenticati: il gruppo non è mai esistito. Così un mediocre cantautore di provincia riscrive i loro successi spacciandoli per suoi e diventa una star planetaria. È l’idea geniale che Danny Boyle, regista di Trainspotting e The Millionaire, cerca di raccontare, tra il comico e il sentimentale, nel film Yesterday: come sarebbe il mondo senza Beatles? Che cosa mancherebbe o avremmo perso?
È una domanda che mi pongo prima di ogni lezione, perché devo giustificare agli alunni che cosa mancherebbe alla nostra vita se non avessimo quell’autore. Spesso a scuola riduciamo opere e autori a risultati di fattori che li precedono, ma le cause storiche, sociali, economiche, biografiche, stilistiche ... non bastano mai a giustificare una novità. Ciò che giustifica un’opera è, infatti, proprio ciò che prima non c’era: il nuovo che ha portato al mondo, la verità finora nascosta o dimenticata, il ponte che ha gettato tra noi e il senso della vita. Senza questo rapporto tra opere e ricerca della verità, riduciamo tutto alle sole questioni formali o emotive: «Non faremo il Paradiso di Dante perché è noioso» ha detto di recente una docente ai suoi studenti, come se ci si rifiutasse di studiare la termodinamica o la tavola periodica.
Una grande opera rinnova il mondo o almeno la visione che ne abbiamo, un autore non crea ciò che già sa ma ciò di cui ha bisogno, perché la vita, così com’è, non gli basta: inventare in origine significava trovare, una «trovata» è infatti la scoperta di ciò che ancora non vedevamo. In questa rubrica provo a raccontare tutto da questa prospettiva: che mondo sarebbe senza Odissea, Commedia e Delitto e castigo? Come dire: che sarebbe senza relatività, eliocentrismo e elettromagnetismo? I capolavori, in arte e scienza, ci ricordano che per vivere abbiamo bisogno di cercare la verità: senza siamo perduti come un Ulisse a cui venga detto, mentre lotta per tornare a casa, che Itaca non esiste più. Senza Beatles io non avrei avuto l’energia sprigionata dai vecchi 33 giri dei miei fratelli, ascoltati a ripetizione, chiuso in camera a contrastare le tristezze dei miei 16 anni e a cercare gli accordi sulla chitarra per far mio il rifugio di quelle note.
Adattiamo la sfida del film Yesterday a ciascuno: che mondo sarebbe senza te? Come andrebbe la vita sulla terra se non fossi nato? Che opera devi fare, a prescindere dal fatto che migliori la vita di due persone o di due miliardi? Leopardi nello Zibaldone scriveva, delle sue poesie per lo più ignote o disprezzate dai contemporanei, che la sua gioia era quella «d’aver fatto una cosa bella al mondo; sia o non sia conosciuta per tale da altrui». Nella vita quotidiana definiamo le cose in base al loro fine: una barca che non galleggia non è una barca, un ombrello che non ripara non è un ombrello. Vale lo stesso per le persone: la felicità di un uomo o di una donna consiste nel realizzare il senso, cioè il fine, per cui è fatta, a prescindere dal consenso che questo può procurare. Il Jack di Boyle ci mostra che siamo indispensabili, ciascuno a suo modo, per la sinfonia del mondo, ma che non è il successo a far la felicità bensì la felicità a fare il successo, però non si dà felicità senza cercare il nostro fine, cioè la verità su noi stessi.
Qualche giorno fa alla redazione del giornale è giunta per me una lettera scritta a mano che diceva: «Sono un’anziana signora con poca cultura, che però ama la lettura. Ho ritagliato dal Corriere le pagine della rubrica perché mi procurano gioia e il desiderio di più conoscenza. Sei l’insegnante che avrei desiderato, se fossi stata così fortunata da poter continuare la scuola». I miei alunni non sarebbero d’accordo sull’ultima frase ... ma queste righe mi hanno ricordato qual è il senso e la felicità della mia vita. E voi perché siete qui? Se lo chiede anche Jack quando incontra un John Lennon del tutto ignoto al mondo e gli chiede: «Sei stato felice nella tua vita?». «Sì, lo sono stato». «E hai avuto successo?». «Te l’ho detto: sono stato felice». E voi?
È una domanda che mi pongo prima di ogni lezione, perché devo giustificare agli alunni che cosa mancherebbe alla nostra vita se non avessimo quell’autore. Spesso a scuola riduciamo opere e autori a risultati di fattori che li precedono, ma le cause storiche, sociali, economiche, biografiche, stilistiche ... non bastano mai a giustificare una novità. Ciò che giustifica un’opera è, infatti, proprio ciò che prima non c’era: il nuovo che ha portato al mondo, la verità finora nascosta o dimenticata, il ponte che ha gettato tra noi e il senso della vita. Senza questo rapporto tra opere e ricerca della verità, riduciamo tutto alle sole questioni formali o emotive: «Non faremo il Paradiso di Dante perché è noioso» ha detto di recente una docente ai suoi studenti, come se ci si rifiutasse di studiare la termodinamica o la tavola periodica.
Una grande opera rinnova il mondo o almeno la visione che ne abbiamo, un autore non crea ciò che già sa ma ciò di cui ha bisogno, perché la vita, così com’è, non gli basta: inventare in origine significava trovare, una «trovata» è infatti la scoperta di ciò che ancora non vedevamo. In questa rubrica provo a raccontare tutto da questa prospettiva: che mondo sarebbe senza Odissea, Commedia e Delitto e castigo? Come dire: che sarebbe senza relatività, eliocentrismo e elettromagnetismo? I capolavori, in arte e scienza, ci ricordano che per vivere abbiamo bisogno di cercare la verità: senza siamo perduti come un Ulisse a cui venga detto, mentre lotta per tornare a casa, che Itaca non esiste più. Senza Beatles io non avrei avuto l’energia sprigionata dai vecchi 33 giri dei miei fratelli, ascoltati a ripetizione, chiuso in camera a contrastare le tristezze dei miei 16 anni e a cercare gli accordi sulla chitarra per far mio il rifugio di quelle note.
Adattiamo la sfida del film Yesterday a ciascuno: che mondo sarebbe senza te? Come andrebbe la vita sulla terra se non fossi nato? Che opera devi fare, a prescindere dal fatto che migliori la vita di due persone o di due miliardi? Leopardi nello Zibaldone scriveva, delle sue poesie per lo più ignote o disprezzate dai contemporanei, che la sua gioia era quella «d’aver fatto una cosa bella al mondo; sia o non sia conosciuta per tale da altrui». Nella vita quotidiana definiamo le cose in base al loro fine: una barca che non galleggia non è una barca, un ombrello che non ripara non è un ombrello. Vale lo stesso per le persone: la felicità di un uomo o di una donna consiste nel realizzare il senso, cioè il fine, per cui è fatta, a prescindere dal consenso che questo può procurare. Il Jack di Boyle ci mostra che siamo indispensabili, ciascuno a suo modo, per la sinfonia del mondo, ma che non è il successo a far la felicità bensì la felicità a fare il successo, però non si dà felicità senza cercare il nostro fine, cioè la verità su noi stessi.
Qualche giorno fa alla redazione del giornale è giunta per me una lettera scritta a mano che diceva: «Sono un’anziana signora con poca cultura, che però ama la lettura. Ho ritagliato dal Corriere le pagine della rubrica perché mi procurano gioia e il desiderio di più conoscenza. Sei l’insegnante che avrei desiderato, se fossi stata così fortunata da poter continuare la scuola». I miei alunni non sarebbero d’accordo sull’ultima frase ... ma queste righe mi hanno ricordato qual è il senso e la felicità della mia vita. E voi perché siete qui? Se lo chiede anche Jack quando incontra un John Lennon del tutto ignoto al mondo e gli chiede: «Sei stato felice nella tua vita?». «Sì, lo sono stato». «E hai avuto successo?». «Te l’ho detto: sono stato felice». E voi?
«Corriere della sera» del 25 novembre 2019