La Rete si è mobilitata dopo la decisione di Facebook. Siamo tornati al solito anatema contro i «persuasori occulti»
di Pierluigi Battista
I giganti del web accusati di modificare gli algoritmi per influenzare emozioni e bisogni degli utenti. Sciocchezze: tutto è manipolazione, anche l’amore
Negli anni ruggenti del consumismo, e nel pieno rigoglio della «società del benessere» (bei tempi!), molti pauperisti, tradizionalisti, reazionari, antagonisti, anticapitalisti, e con loro una corona di tantissimi intellettuali chic, non si stancavano di denunciare con fervore militante le oscure mene dei «persuasori occulti» descritti allora da Vance Packard. Ne svelavano i turpi disegni di «manipolazione» dell’umanità per trasformare i cittadini in docili strumenti nelle mani dell’industria, cera molle da plasmare e deportare sotto ipnosi pubblicitaria nei templi del consumo dove si sarebbero gonfiati profitti e ricchezze smisurate. La pubblicità veniva indicata come un’arma del demonio, tecnica sofisticatissima per plagiare gli inermi consumatori e manovrata dai dominatori del mondo che avevano fatto del consumo una nuova forma di schiavitù.
Tempi lontani, quelli dei «persuasori occulti» e di Packard. Più di cinquant’anni fa. Acqua passata, un’epoca chiusa, l’ultimo grido di dolore dei sacerdoti del vecchio ordine prima del definitivo trionfo della modernità consumistica. O no?
No. Proprio in questi giorni si è infatti accesa, ricalcando sin nei minimi dettagli l’anatema contro i «persuasori occulti» di tanti anni fa, una tambureggiante campagna contro i mastodontici artefici di un nuovo, repellente «mercato delle emozioni». Sotto accusa è in primo luogo la spericolata azione degli zelanti colonnelli di Zuckerberg che nell’oscurità hanno dolosamente modificato un po’ di profili Facebook per capire come influenzare gli umori degli utenti ignari di tanto oltraggioso attentato alla loro privacy (proprio la privacy di chi si iscrive volontariamente a Facebook, cioé il regno dell’antiprivacy? Quella). Ma sull’onda dell’indignazione è poi partita una furiosa lotta contro i «manipolatori» dei sentimenti, i nuovi prepotenti oligarchi che imperano sullo spirito pubblico. E che avrebbero fatto di così criminoso questi colossi di Google e di Yahoo!, di Microsoft e di Twitter e di Amazon da meritarsi tanta risentita deplorazione? Avrebbero ideato, coadiuvati dai tecnomaghi degli algoritmi che per farci del male non esitano a setacciare la nostra personalità spiando i nostri comportamenti sul web e sui social network, un modo per manipolare la popolazione del mondo e riprogrammarla come una gigantesca ed eterodiretta folla di consumatori compulsivi.
Sono inorriditi perché in questa azione di spionaggio una volta Google ha osato testare — che vergogna — le preferenze inconsapevoli dei suoi innumerevoli ospiti, variando con «41 sfumature di blu» lo sfondo delle sue pagine web: addirittura. Sono scandalizzati perché i colossi che sfornano in batteria i migliori «persuasori occulti» in circolazione cercano di «migliorare i loro prodotti», di essere più attraenti, più belli, in grado, nientemeno, di stabilire un «contagio emotivo» con i propri clienti, come ha scritto «Business Insider»: arrivando a mutare, perfidamente, la «composizione del messaggio » nelle campagne pubblicitarie, «il posizionamento delle immagini», «le immagini associate».
Tutto questo non sembra una grande novità, la «composizione del messaggio» è da sempre il cuore della retorica pubblicitaria. Ma per gli indignati siamo al colmo delle nefandezze dei «persuasori», impegnati a manipolare il «mercato delle emozioni» a grande vantaggio dei «fatturati». E che mettono a punto con i loro algoritmi tecniche sofisticatissime di identificazione di target mirati. Così, onnipotenti e incontrollati, questi colossi prendono nota delle nostre predilezioni, delle nostre conversazioni, delle foto e dei selfie delle nostre vacanze, delle nostre relazioni, per colpirci nei nostri punti deboli, infilarsi nel nostro inconscio, orientare subliminalmente i nostri consumi, fare arricchire l’industria usando gli espedienti più loschi. E poi ci si lamenta per la diffusione delle paranoie complottiste. Prendiamo in giro il deputato grillino che denuncia i microchip che la Cia avrebbe provveduto a impiantare nei cervelli di milioni di esseri umani.
Ma siamo sicuri che con l’indignata riprovazione contro gli algoritmi che «manipolano le nostre emozioni» per farne sordido mercato non stiamo già costeggiando quei lidi della nevrosi cospirazionista?
Anche perché è proprio l’assunto che non funziona. Anzi, sono gli stessi criteri di giudizio, o di pregiudizio, che andrebbero rovesciati. Cominciando ad esempio con l’osservare che la «manipolazione emotiva» così enfaticamente temuta non è poi questa cosa tremenda che viene descritta dai nuovi allarmisti. In ogni relazione umana c’è un tasso ineliminabile e nemmeno tanto sgradevole di più o meno consapevole vis manipolatoria: è proprio un male? Anche la seduzione è manipolazione: manipolazione allo stato puro. Nella relazione sessuale non ne parliamo neanche: dalla manipolazione al soggiogamento emotivo il passo è brevissimo. Nel corteggiamento amoroso cerchiamo di dare il meglio di noi stessi, veri professionisti della manipolazione, per condizionare con le nostre manovre tattiche e strategiche le scelte di una persona che peraltro ci ha già stregato, manipolando senza permesso la nostra struttura emotiva.
Anche la scrittura e la lettura, l’arte e la visione, sono attività che modificano la psicologia degli esseri umani, ne orientano i desideri, danno voce alle loro pulsioni più profonde, elaborano forme di dominio, di conflitto, di identificazione mimetica tra gli esseri umani, tra chi scrive e chi legge, tra chi dipinge e chi guarda. Secondo René Girard attraverso l’arte e la letteratura si finisce per desiderare ciò che desiderano gli altri, ci si conforma agli altrui stili di vita e l’imitazione culturale diventa una seconda natura, che della natura sembra ricalcare l’autenticità, l’istintività, l’immediatezza ma è invece il prodotto di una inconscia, eppure imperativa, opera di «manipolazione».
Molti secoli prima dell’invenzione degli algoritmi, la scienza della retorica aveva già definito la «persuasione» come l’arma più potente della comunicazione umana grazie all’ordine in cui disporre il discorso, all’uso sapiente delle figure retoriche, all’eloquenza, all’arte oratoria: molto più potente della pura consequenzialità logico- razionale degli argomenti, proprio perché capace di parlare alle emozioni, di «manipolarle» a puntino. E il teatro, la forza dell’attore, la potenza della recitazione a chi parlano, quali effetti vogliono produrre sull’uditorio, se non un effetto di trascinamento e di incantamento? Anche la politica, nella sfera simbolica, crea consenso e suscita passioni che smuovono e manipolano l’emotività. In una campagna elettorale c’è tantissima «manipolazione ». La politica mobilita gli animi per un vessillo, un ideale, un inno, un’immagine, una parola, persino per un colore (la bandiera rossa; l’azzurro di Berlusconi). E forse non è mai esistito al mondo un elettore che abbia deciso di optare per un partito perché convinto dalla lettura del punto 19, comma 14, paragrafo 7 del capitolo 86 di un dettagliato programma di governo. Infatti chi denunciava i «persuasori occulti» della pubblicità non poteva che coinvolgere nella sua scomunica anche la politica moderna. E pure l’immagine di JFK, così seducente, così affascinante, così «manipolatoria», venne sottoposta al severo giudizio dei tradizionalisti stupiti che un’icona giovane potesse essere tanto trascinante e idolatrata.
Anche il giornalismo lavora sulla retorica. La prima cosa che ti insegnano è l’«attacco» di un pezzo, che deve essere forte per catturare l’attenzione del lettore e trascinarlo fino alla fine di un articolo con una prosa avvincente (nel racconto dei fatti e delle notizie). E basta chiedere a un editore quanta cultura ci vuole per scegliere la copertina giusta di un libro, il suo disegno, i suoi colori, il suo «manipolare» i desideri di chi entra in una libreria e sceglie proprio quel volume, bello da vedere prima ancora che da leggere.
La pubblicità ha qualcosa di geniale perché è un’arte che lavora sul punto di incrocio tra psicologia ed estetica. Chi ha inventato la forma della bottiglietta della Coca- Cola o la mela morsicata della Apple ha capito molte più cose dell’animo umano di quanto non siano capaci i paladini di un presunto umanesimo pre-industriale. E forse non c’era bisogno di Andy Warhol per capire quanta forza mitica e artistica di una merce sia concentrata nelle scatolette stilizzate della Campbell’s: una zuppa che diventa il simbolo della nostra vita.
Intercettando i desideri più potenti dell’umanità, le merci sin dal loro apparire hanno imposto l’invenzione di appositi palcoscenici in cui potessero esibire tutta la loro forza magnetica: le scintillanti vetrine dei negozi, senza le quali non comprenderemmo quanti investimenti emotivi siano racchiusi nella moderna mania dello shopping. Karl Marx, che alla modernità borghese sciolse commoventi inni, parlava ammirato della «fantasmagoria delle merci». I manifesti pubblicitari che nel primo Novecento impegnarono i nostri migliori illustratori e disegnatori come Gino Boccasile sono una pietra miliare della nostra storia dell’arte. Gabriele d’Annunzio diede il nome ampolloso di Rinascente al nuovo santuario delle merci a basso prezzo fabbricate in serie. I migliori registi accoglievano entusiasti, e non solo per ragioni economiche, l’invito a dirigere le straordinarie microstorie con cui Carosello ha costruito la sua leggenda. E la storia della grafica pubblicitaria fa tutt’uno con quella dell’arte.
Tutta orrenda «manipolazione»? Manipolazione, certo. Orrenda, è tutto da discutere. L’idea di un grande complotto delle multinazionali che vogliono influenzare la nostra psicologia non è solo ideologicamente rozza, ma si fonda anche su un’antropologia elementare e quasi caricaturale, come se la vita delle società umane non fosse permanentemente esposta al gioco incrociato delle influenze, ai venti della «manipolazione», alle relazioni private e pubbliche che modificano la psicologia dei gruppi e dei singoli individui. Come se il valore emozionale della personalità fosse lo specchio di una creatura semplice, mentre chi cerca di orientare i valori e le emozioni è descritto come un mostro che vuole vampirizzare le sue povere vittime. Ma no, i mostri multinazionali invadano pure i nostri profili nei social network. Saremmo felici di consumare le loro merci seducenti e fantasmagoriche. E auguri di buon lavoro ai nuovi «persuasori occulti».
Tempi lontani, quelli dei «persuasori occulti» e di Packard. Più di cinquant’anni fa. Acqua passata, un’epoca chiusa, l’ultimo grido di dolore dei sacerdoti del vecchio ordine prima del definitivo trionfo della modernità consumistica. O no?
No. Proprio in questi giorni si è infatti accesa, ricalcando sin nei minimi dettagli l’anatema contro i «persuasori occulti» di tanti anni fa, una tambureggiante campagna contro i mastodontici artefici di un nuovo, repellente «mercato delle emozioni». Sotto accusa è in primo luogo la spericolata azione degli zelanti colonnelli di Zuckerberg che nell’oscurità hanno dolosamente modificato un po’ di profili Facebook per capire come influenzare gli umori degli utenti ignari di tanto oltraggioso attentato alla loro privacy (proprio la privacy di chi si iscrive volontariamente a Facebook, cioé il regno dell’antiprivacy? Quella). Ma sull’onda dell’indignazione è poi partita una furiosa lotta contro i «manipolatori» dei sentimenti, i nuovi prepotenti oligarchi che imperano sullo spirito pubblico. E che avrebbero fatto di così criminoso questi colossi di Google e di Yahoo!, di Microsoft e di Twitter e di Amazon da meritarsi tanta risentita deplorazione? Avrebbero ideato, coadiuvati dai tecnomaghi degli algoritmi che per farci del male non esitano a setacciare la nostra personalità spiando i nostri comportamenti sul web e sui social network, un modo per manipolare la popolazione del mondo e riprogrammarla come una gigantesca ed eterodiretta folla di consumatori compulsivi.
Sono inorriditi perché in questa azione di spionaggio una volta Google ha osato testare — che vergogna — le preferenze inconsapevoli dei suoi innumerevoli ospiti, variando con «41 sfumature di blu» lo sfondo delle sue pagine web: addirittura. Sono scandalizzati perché i colossi che sfornano in batteria i migliori «persuasori occulti» in circolazione cercano di «migliorare i loro prodotti», di essere più attraenti, più belli, in grado, nientemeno, di stabilire un «contagio emotivo» con i propri clienti, come ha scritto «Business Insider»: arrivando a mutare, perfidamente, la «composizione del messaggio » nelle campagne pubblicitarie, «il posizionamento delle immagini», «le immagini associate».
Tutto questo non sembra una grande novità, la «composizione del messaggio» è da sempre il cuore della retorica pubblicitaria. Ma per gli indignati siamo al colmo delle nefandezze dei «persuasori», impegnati a manipolare il «mercato delle emozioni» a grande vantaggio dei «fatturati». E che mettono a punto con i loro algoritmi tecniche sofisticatissime di identificazione di target mirati. Così, onnipotenti e incontrollati, questi colossi prendono nota delle nostre predilezioni, delle nostre conversazioni, delle foto e dei selfie delle nostre vacanze, delle nostre relazioni, per colpirci nei nostri punti deboli, infilarsi nel nostro inconscio, orientare subliminalmente i nostri consumi, fare arricchire l’industria usando gli espedienti più loschi. E poi ci si lamenta per la diffusione delle paranoie complottiste. Prendiamo in giro il deputato grillino che denuncia i microchip che la Cia avrebbe provveduto a impiantare nei cervelli di milioni di esseri umani.
Ma siamo sicuri che con l’indignata riprovazione contro gli algoritmi che «manipolano le nostre emozioni» per farne sordido mercato non stiamo già costeggiando quei lidi della nevrosi cospirazionista?
Anche perché è proprio l’assunto che non funziona. Anzi, sono gli stessi criteri di giudizio, o di pregiudizio, che andrebbero rovesciati. Cominciando ad esempio con l’osservare che la «manipolazione emotiva» così enfaticamente temuta non è poi questa cosa tremenda che viene descritta dai nuovi allarmisti. In ogni relazione umana c’è un tasso ineliminabile e nemmeno tanto sgradevole di più o meno consapevole vis manipolatoria: è proprio un male? Anche la seduzione è manipolazione: manipolazione allo stato puro. Nella relazione sessuale non ne parliamo neanche: dalla manipolazione al soggiogamento emotivo il passo è brevissimo. Nel corteggiamento amoroso cerchiamo di dare il meglio di noi stessi, veri professionisti della manipolazione, per condizionare con le nostre manovre tattiche e strategiche le scelte di una persona che peraltro ci ha già stregato, manipolando senza permesso la nostra struttura emotiva.
Anche la scrittura e la lettura, l’arte e la visione, sono attività che modificano la psicologia degli esseri umani, ne orientano i desideri, danno voce alle loro pulsioni più profonde, elaborano forme di dominio, di conflitto, di identificazione mimetica tra gli esseri umani, tra chi scrive e chi legge, tra chi dipinge e chi guarda. Secondo René Girard attraverso l’arte e la letteratura si finisce per desiderare ciò che desiderano gli altri, ci si conforma agli altrui stili di vita e l’imitazione culturale diventa una seconda natura, che della natura sembra ricalcare l’autenticità, l’istintività, l’immediatezza ma è invece il prodotto di una inconscia, eppure imperativa, opera di «manipolazione».
Molti secoli prima dell’invenzione degli algoritmi, la scienza della retorica aveva già definito la «persuasione» come l’arma più potente della comunicazione umana grazie all’ordine in cui disporre il discorso, all’uso sapiente delle figure retoriche, all’eloquenza, all’arte oratoria: molto più potente della pura consequenzialità logico- razionale degli argomenti, proprio perché capace di parlare alle emozioni, di «manipolarle» a puntino. E il teatro, la forza dell’attore, la potenza della recitazione a chi parlano, quali effetti vogliono produrre sull’uditorio, se non un effetto di trascinamento e di incantamento? Anche la politica, nella sfera simbolica, crea consenso e suscita passioni che smuovono e manipolano l’emotività. In una campagna elettorale c’è tantissima «manipolazione ». La politica mobilita gli animi per un vessillo, un ideale, un inno, un’immagine, una parola, persino per un colore (la bandiera rossa; l’azzurro di Berlusconi). E forse non è mai esistito al mondo un elettore che abbia deciso di optare per un partito perché convinto dalla lettura del punto 19, comma 14, paragrafo 7 del capitolo 86 di un dettagliato programma di governo. Infatti chi denunciava i «persuasori occulti» della pubblicità non poteva che coinvolgere nella sua scomunica anche la politica moderna. E pure l’immagine di JFK, così seducente, così affascinante, così «manipolatoria», venne sottoposta al severo giudizio dei tradizionalisti stupiti che un’icona giovane potesse essere tanto trascinante e idolatrata.
Anche il giornalismo lavora sulla retorica. La prima cosa che ti insegnano è l’«attacco» di un pezzo, che deve essere forte per catturare l’attenzione del lettore e trascinarlo fino alla fine di un articolo con una prosa avvincente (nel racconto dei fatti e delle notizie). E basta chiedere a un editore quanta cultura ci vuole per scegliere la copertina giusta di un libro, il suo disegno, i suoi colori, il suo «manipolare» i desideri di chi entra in una libreria e sceglie proprio quel volume, bello da vedere prima ancora che da leggere.
La pubblicità ha qualcosa di geniale perché è un’arte che lavora sul punto di incrocio tra psicologia ed estetica. Chi ha inventato la forma della bottiglietta della Coca- Cola o la mela morsicata della Apple ha capito molte più cose dell’animo umano di quanto non siano capaci i paladini di un presunto umanesimo pre-industriale. E forse non c’era bisogno di Andy Warhol per capire quanta forza mitica e artistica di una merce sia concentrata nelle scatolette stilizzate della Campbell’s: una zuppa che diventa il simbolo della nostra vita.
Intercettando i desideri più potenti dell’umanità, le merci sin dal loro apparire hanno imposto l’invenzione di appositi palcoscenici in cui potessero esibire tutta la loro forza magnetica: le scintillanti vetrine dei negozi, senza le quali non comprenderemmo quanti investimenti emotivi siano racchiusi nella moderna mania dello shopping. Karl Marx, che alla modernità borghese sciolse commoventi inni, parlava ammirato della «fantasmagoria delle merci». I manifesti pubblicitari che nel primo Novecento impegnarono i nostri migliori illustratori e disegnatori come Gino Boccasile sono una pietra miliare della nostra storia dell’arte. Gabriele d’Annunzio diede il nome ampolloso di Rinascente al nuovo santuario delle merci a basso prezzo fabbricate in serie. I migliori registi accoglievano entusiasti, e non solo per ragioni economiche, l’invito a dirigere le straordinarie microstorie con cui Carosello ha costruito la sua leggenda. E la storia della grafica pubblicitaria fa tutt’uno con quella dell’arte.
Tutta orrenda «manipolazione»? Manipolazione, certo. Orrenda, è tutto da discutere. L’idea di un grande complotto delle multinazionali che vogliono influenzare la nostra psicologia non è solo ideologicamente rozza, ma si fonda anche su un’antropologia elementare e quasi caricaturale, come se la vita delle società umane non fosse permanentemente esposta al gioco incrociato delle influenze, ai venti della «manipolazione», alle relazioni private e pubbliche che modificano la psicologia dei gruppi e dei singoli individui. Come se il valore emozionale della personalità fosse lo specchio di una creatura semplice, mentre chi cerca di orientare i valori e le emozioni è descritto come un mostro che vuole vampirizzare le sue povere vittime. Ma no, i mostri multinazionali invadano pure i nostri profili nei social network. Saremmo felici di consumare le loro merci seducenti e fantasmagoriche. E auguri di buon lavoro ai nuovi «persuasori occulti».
«Corriere della Sera - Suppl. La lettura» del 27 luglio 2014