L'evoluzione digitale della fan-fiction
di Elena Tebano
Spettatori-autori immaginano finali e intrecci diversi per i personaggi più amati. E gli sceneggiatori rivedono con soddisfazione le trame. Il caso "Glee"
L’annuncio su Twitter di Brad Falchuk, co-creatore della serie americana «Glee», poteva sembrare oscuro: «Via libera a Brittana». Ma per le oltre 51 mila persone che lo seguono sul social network e i milioni di fan che il 21 gennaio scorso hanno visto rimbalzare la notizia su blog e siti web, Falchuk aveva appena confermato la svolta narrativa che aspettavano da tempo: tra Brittany e Santana, due delle protagoniste del telefilm-musical che racconta le vicende di un coro scolastico, ci sarebbe stata una storia. E infatti la puntata andata in onda il primo novembre scorso su Fox Usa (trasmessa in Italia a 24 ore di distanza da Sky) ha consacrato proprio Brittana, che non è un personaggio, ma una vicenda: l’amore lesbico tra Brittany e Santana. Per i fan appunto «Brittana».
All’inizio le due ragazze erano eterosessuali, figure di contorno, e la loro relazione non era stata prevista dai creatori della serie, Ryan Murphy e Brad Falchuk. A lanciarla sono stati i fan del telefilm, che hanno riempito blog e scritto migliaia di racconti online sulla possibile coppia.
A quel punto gli autori hanno cambiato idea: «Hanno visto l’enorme desiderio dei fan di Brittany e Santana che le due si mettessero insieme», ha detto a «Vanity Fair Usa» Naya Rivera, l’attrice che interpreta Santana. «E così un giorno Brad Falchuk è venuto e mi ha detto: abbiamo deciso di esplorare questa storia».
Il pubblico ha tentato di influenzare la narrazione seriale fin dai suoi albori. Quando Arthur Conan Doyle, nel 1893, «uccise» Sherlock Holmes nel tentativo di liberarsi di un personaggio così popolare da impedirgli di scrivere altro, ventimila lettori cancellarono per protesta l’abbonamento alla rivista che pubblicava le sue storie. E la stampa britannica riferì che a Londra uomini d’affari giravano con i cappelli listati a lutto. Alla fine Doyle fece «resuscitare» il suo detective. Stessa sorte aveva subito nel 1881 il Pinocchio di Carlo Collodi: impiccato a un albero da due «assassini», fu salvato dalla Fata turchina dopo le rimostranze dei suoi piccoli lettori. Collodi lo avrebbe più volentieri lasciato alla sua sorte.
Da decenni le produzioni delle serie tv monitorano le preferenze dei fan sulle scelte narrative e gli spettatori si mobilitano con lettere e mail per orientare le sceneggiature. Nel caso di «Glee», però, è successo qualcosa di diverso: i fan non hanno preteso che gli autori della serie riprendessero una trama interrotta. Ma l’hanno piuttosto anticipata e resa reale prima che apparisse sugli schermi, con le loro «fan fiction»: racconti scritti dagli appassionati di film o serie tv usando i loro personaggi.
Le «fan fiction» sono riscritture codificate e condivise delle opere originarie, che si inseriscono nei loro interstizi: i fan si appropriano dei personaggi e riempiono gli spazi vuoti delle loro storie, immaginando tutte quelle vicende che non si vedono in tv, perché appaiono prima o dopo o nelle intercapedini della narrazione ufficiale. I racconti vengono poi messi online e sottoposti al commento e alla condivisione degli altri fan. Henry Jenkins, professore della University of South California e pioniere degli studi sulle comunità di fan, definisce questo genere letterario «un prodotto della fascinazione e della frustrazione» degli spettatori. Spiega Jenkins al «Corriere della Sera»: «Se i fan non fossero affascinati da un programma, non continuerebbero a occuparsene.Me se non ne fossero frustrati, non si metterebbero a rielaborarlo». Le «fan fiction» sono il tentativo di dare espressione, attraverso i personaggi della cultura popolare, ad aspirazioni di gruppi che non trovano adeguato riconoscimento in quella cultura. E infatti — puntualizza Jenkins in Cultura Convergente (edizioni Apogeo) — sono scritte per lo più da donne e sono spesso a tematica gay. Nel caso di «Glee» le spettatrici si sono attaccate a quella che doveva essere solo una battuta: «Fare sesso non significa stare insieme», dice Santana. «Altrimenti noi staremmo insieme», chiosa Brittany. Nelle intenzioni degli autori era solo uno scherzo estemporaneo. Ma le fan l’hanno preso come punto di partenza per i loro racconti: ora sul sito più famoso dedicato a questo genere, www.fanfiction.net, ci sono 2.656 pagine sulla relazione tra Brittany e Santana. E sui blog le loro storie animate — immagini tratte dal telefilm a cui vengono aggiunte didascalie inventate, in una sorta di fotoromanzo digitale — vengono postate migliaia di volte. La nuova linea narrativa è emersa da quella che Jenkins chiama «creatività dal basso»: non dalla pressione della maggioranza dei fan,ma da una loro minoranza dotata di grande immaginazione. Molte fan fiction su Brittany e Santana esplorano le difficoltà a fare coming out di quest’ultima. La stessa scelta fatta dagli autori del telefilm nelle ultime puntate e in quelle che andranno in onda dal 17 gennaio.
Non significa che abbiano «copiato» le storie degli utenti: gli sceneggiatori hanno trovato pronta una nuova possibilità da esplorare. Al Comic-Con di New York del 2011 (una convention di fan), Falchuk ha ammesso di osservare le reazioni dei fan «alla ricerca di percorsi» per la serie. «Nell’epoca dei media sociali anche la creazione autoriale è sempre più condivisa», spiega Jenkins. Il risultato è un gioco di specchi e rimandi tra produttori e consumatori delle serie, che confonde i confini e modifica in modo nuovo il concetto di creatività individuale.
All’inizio le due ragazze erano eterosessuali, figure di contorno, e la loro relazione non era stata prevista dai creatori della serie, Ryan Murphy e Brad Falchuk. A lanciarla sono stati i fan del telefilm, che hanno riempito blog e scritto migliaia di racconti online sulla possibile coppia.
A quel punto gli autori hanno cambiato idea: «Hanno visto l’enorme desiderio dei fan di Brittany e Santana che le due si mettessero insieme», ha detto a «Vanity Fair Usa» Naya Rivera, l’attrice che interpreta Santana. «E così un giorno Brad Falchuk è venuto e mi ha detto: abbiamo deciso di esplorare questa storia».
Il pubblico ha tentato di influenzare la narrazione seriale fin dai suoi albori. Quando Arthur Conan Doyle, nel 1893, «uccise» Sherlock Holmes nel tentativo di liberarsi di un personaggio così popolare da impedirgli di scrivere altro, ventimila lettori cancellarono per protesta l’abbonamento alla rivista che pubblicava le sue storie. E la stampa britannica riferì che a Londra uomini d’affari giravano con i cappelli listati a lutto. Alla fine Doyle fece «resuscitare» il suo detective. Stessa sorte aveva subito nel 1881 il Pinocchio di Carlo Collodi: impiccato a un albero da due «assassini», fu salvato dalla Fata turchina dopo le rimostranze dei suoi piccoli lettori. Collodi lo avrebbe più volentieri lasciato alla sua sorte.
Da decenni le produzioni delle serie tv monitorano le preferenze dei fan sulle scelte narrative e gli spettatori si mobilitano con lettere e mail per orientare le sceneggiature. Nel caso di «Glee», però, è successo qualcosa di diverso: i fan non hanno preteso che gli autori della serie riprendessero una trama interrotta. Ma l’hanno piuttosto anticipata e resa reale prima che apparisse sugli schermi, con le loro «fan fiction»: racconti scritti dagli appassionati di film o serie tv usando i loro personaggi.
Le «fan fiction» sono riscritture codificate e condivise delle opere originarie, che si inseriscono nei loro interstizi: i fan si appropriano dei personaggi e riempiono gli spazi vuoti delle loro storie, immaginando tutte quelle vicende che non si vedono in tv, perché appaiono prima o dopo o nelle intercapedini della narrazione ufficiale. I racconti vengono poi messi online e sottoposti al commento e alla condivisione degli altri fan. Henry Jenkins, professore della University of South California e pioniere degli studi sulle comunità di fan, definisce questo genere letterario «un prodotto della fascinazione e della frustrazione» degli spettatori. Spiega Jenkins al «Corriere della Sera»: «Se i fan non fossero affascinati da un programma, non continuerebbero a occuparsene.Me se non ne fossero frustrati, non si metterebbero a rielaborarlo». Le «fan fiction» sono il tentativo di dare espressione, attraverso i personaggi della cultura popolare, ad aspirazioni di gruppi che non trovano adeguato riconoscimento in quella cultura. E infatti — puntualizza Jenkins in Cultura Convergente (edizioni Apogeo) — sono scritte per lo più da donne e sono spesso a tematica gay. Nel caso di «Glee» le spettatrici si sono attaccate a quella che doveva essere solo una battuta: «Fare sesso non significa stare insieme», dice Santana. «Altrimenti noi staremmo insieme», chiosa Brittany. Nelle intenzioni degli autori era solo uno scherzo estemporaneo. Ma le fan l’hanno preso come punto di partenza per i loro racconti: ora sul sito più famoso dedicato a questo genere, www.fanfiction.net, ci sono 2.656 pagine sulla relazione tra Brittany e Santana. E sui blog le loro storie animate — immagini tratte dal telefilm a cui vengono aggiunte didascalie inventate, in una sorta di fotoromanzo digitale — vengono postate migliaia di volte. La nuova linea narrativa è emersa da quella che Jenkins chiama «creatività dal basso»: non dalla pressione della maggioranza dei fan,ma da una loro minoranza dotata di grande immaginazione. Molte fan fiction su Brittany e Santana esplorano le difficoltà a fare coming out di quest’ultima. La stessa scelta fatta dagli autori del telefilm nelle ultime puntate e in quelle che andranno in onda dal 17 gennaio.
Non significa che abbiano «copiato» le storie degli utenti: gli sceneggiatori hanno trovato pronta una nuova possibilità da esplorare. Al Comic-Con di New York del 2011 (una convention di fan), Falchuk ha ammesso di osservare le reazioni dei fan «alla ricerca di percorsi» per la serie. «Nell’epoca dei media sociali anche la creazione autoriale è sempre più condivisa», spiega Jenkins. Il risultato è un gioco di specchi e rimandi tra produttori e consumatori delle serie, che confonde i confini e modifica in modo nuovo il concetto di creatività individuale.
«Corriere della Sera» - Supplemento "La lettura" del febbraio 2012
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