20 agosto 2021

Videolezioni sul metodo di traduzione dal latino

Un metodo di traduzione dal latino
di Francesco Maria Toscano
Se hai desiderio (o necessità) di ripassare un po' di latino e di far tuo un metodo di traduzione da questa lingua fantastica, ora hai a disposizione una serie di videolezioni con esempi pratici e suggerimenti vari.
Spero ti saranno utili!

1) Un'introduzione
2) La prima e la seconda declinazione
3) Gli aggettivi della prima classe
4) Il 'maledetto' nominativo della terza declinazione.
5) La terza declinazione


Ne seguiranno altri ...

Post del 20 agosto 2021

06 agosto 2021

Addio Pennacchi, la politica in scrittura

L’autore è stato colto da un malore improvviso. Con “Canale Mussolini” aveva vinto il premio Strega
di Fulvio Panzeri
Se ne è andato all’età di 71 anni, Antonio Pennacchi, uno degli scrittori più originali, che ha fatto della sua terra, l’Agro Pontino, lo scenario in cui indagare una storia poco nota, ma assolutamente importante per capire certe vicende 'marginali' dell’Italia nel Novecento.
Pennacchi nasce a Latina nel 1951 e si porta dentro da sempre una predestinazione a dover raccontare la storia della sua terra, anche se ha sempre dichiarato la sua fatica nello scrivere, un modo di essere scrittore per vocazione e non per evasione. Del resto alla scrittura arriva tardi, a cinquant’anni, dopo aver fatto l’operaio in fabbrica ai turni di notte per più di trent’anni e ricordando sempre, con grande senso di riconoscenza, verso i suoi compagni di lavoro, quel periodo, anche dopo essere diventato uno scrittore importante e molto amato dal pubblico. L’esordio avviene con Mammut, nel 1994, che appunto ripercorre il tempo della fabbrica e ricostruisce una grande epopea operaia che aveva scritto già diversi anni prima, nel 1987 e riporta nella letteratura italiana, un tema che era rimasto assente, rispetto all’attenzione dei nostri narratori, dopo l’interesse che aveva avuto negli anni Sessanta (si veda su tutti l’esempio di Ottiero Ottieri). Romanzo dopo romanzo, da Palude (1985) a Una nuvola rossa (1998), arriva ad avere il primo successo di critica e di pubblico con Il Fasciocomunista che nel 2003 vince il Premio Napoli e nel 2007 diventò anche un film cult di quegli anni: Mio fratello è figlio unico, diretto da Daniele Lucchetti, storia su una giovinezza italiana, con un protagonista, ribelle di natura, ontologicamente anarchico, che vive le passioni con la ingenuità e l’incanto di chi nella vita non si vuole risparmiare, che vuol mantenere una sua posizione autonoma, senza lasciarsi andare a nessun compromesso, un po’ come Pennacchi è stato come uomo e come scrittore, libero, con il coraggio di sostenere sempre le sue posizioni, non solo per se stesso, ma soprattutto per il bene comune. Diceva infatti che dal dopoguerra «abbiamo sviluppato l’individuo e i suoi diritti mettendoli al primo posto, ma ci siamo dimenticati i diritti delle collettività, delle masse, dei popoli. E non ci sono solo i diritti degli individui, ma anche i doveri di riconoscersi negli altri, di lavorare insieme, di darsi fiducia e darsi da fare». Forse va in questo senso la necessità di raccontare la sua terra, la sua gente e la sua storia in quello che è il romanzo che gli ha dato popolarità, vincendo a sorpresa, e contraddicendo tutte le previsioni della vigilia, nel 2010 il premio Strega con Canale Mussolini, incentrato sulle storie della famiglia Perruzzi, esempio di quelle migliaia di coloni che vengono fatti insediare in quella terra bonificata da poco dove si trovavano le Paludi Pontine, bonifica il cui asse portante è appunto il Canale Mussolini. Pennacchi racconta un’epopea familiare, che è sostenuta dal carisma e dal coraggio di zio Pericle, che tieni uniti i genitori, i tre fratelli, legati da un affetto profondo fatto di poche parole e di gesti assoluti, di promesse dette a voce strozzata sui campi di lavoro. È un mondo al quale Pennacchi rimane poi legato negli anni, tanto che cinque anni dopo, nel 2015, pubblica sempre da Mondadori, Canale Mussolini. Parte seconda, in cui indaga gli anni che seguono il 25 maggio del 1944, quando finisce la guerra a Littoria, la futura Latina, e il Canale Mussolini, dopo essere stato per mesi la dura linea del fronte di Anzio e Nettuno, torna a essere quello che era, il perno della bonifica pontina da cui inizia la ricostruzione mentre al Nord la guerra continua e coinvolge i Peruzzi su tutti i fronti, repubblichini o partigiani. Un’opera che nella sua mente non forse non sarebbe finita mai, tanto da aver dichiarato di stare già pensando a un terzo Canale Mussolini e forse a un quarto. Intanto ci lascia il suo ultimo romanzo, uscito nell’autunno scorso, La strada del mare, in cui ritornano i protagonisti di questa sua epica dell’Agro Pontino, un’epica che riporta i protagonisti della famiglia Perruzzi, agli anni Cinquanta, in cui la “piccola” storia delle famiglie originarie del Veneto, che erano scese nel basso Lazio alla fine degli anni Venti per colonizzare le terre bonificate dal regime fascista, e che lì erano diventate una comunità, s’intreccia e si mescola con la “grande” Storia italiana e internazionale del dopoguerra.
«Avvenire» del 4 agosto 2021

La tematica Lgbt nel cinema e l'eccesso di sessualizzazione

Dal Festival di Cannes indicazioni e conferme di una tendenza in atto
di Armando Fumagalli
Si è da poco concluso il Festival di Cannes con un verdetto (specialmente per la Palma d’Oro a Titane della regista Julia Ducournau) da molti considerato assai discutibile. C’è chi – probabilmente con qualche ragione – ha voluto vedere una forzatura in omaggio al politically correct la Palma d’Oro a una regista donna (la seconda volta in 74 anni, dopo la Jane Campion di Lezioni di piano ...), in un film che occhieggia alla fluidità sessuale e propone strani ibridi fra uomo e macchina. Tutti temi “di moda”, in un film che però ha avuto giudizi negativi quasi unanimi dai critici, seguiti però da questo ambitissimo premio conferito da una giuria “inclusiva” presieduta da Spike Lee. Era il festival della ripartenza, anche per il mercato del cinema francese, il più forte d’Europa, e il sostegno delle istituzioni francesi al loro cinema ancora una volta si è fatto sentire, con una forte presenza di film d’Oltralpe non solo in competizione, ma anche nelle ampie sezioni collaterali. La pattuglia italiana, nonostante il nulla di fatto per il film di Moretti, ha avuto alcune soddisfazioni: primo di tutti il premio al bel film di Jonas Carpignano, A Chiara, un intenso dramma famigliare ambientato a Gioia Tauro, con protagonista una quindicenne che scopre che il padre è coinvolto nelle attività della ’ndrangheta. Carpignano per interpretare i cinque membri della famiglia ha scelto una famiglia vera, quindi tutti attori non professionisti, ed è riuscito a dare un forte senso di verità alla messa in scena, costruendo comunque un dramma che dopo qualche lungaggine iniziale, nella seconda metà diventa asciutto e potente. Presentato alla Quinzaine des Realizateurs ha vinto il Premio come miglior film europeo di quella sezione. Alcuni giornali hanno fatto notare – chi con soddisfazione, chi in modo negativo – la forte presenza di film con tema e/o personaggi omosessuali, transessuali o dalla identità incerta: non si è trattato solo di Titane (non a caso la regista nelle sue dichiarazioni ha inneggiato alla fluidità di genere), ma anche di molti altri film, in concorso e no. Per esempio entrambi i film in cui era impegnata la nostra Valeria Bruni Tedeschi (La fracture, e Les amours d’Anais) vedevano il suo personaggio in relazioni lesbiche; c’è stato poi il progettato scandalo del film di Verhoeven, Benedetta, accolto però da risate alla proiezione in sala ... In concorso c’era anche Les Olympiades di Jacques Audiard, con tre ragazze bianche e un ragazzo nero che si uniscono in varie combinazioni sessuali; non è al centro della storia, ma anche uno dei personaggi di Stillwater, in concreto la figlia di Matt Damon, aveva una relazione lesbica. Ma anche solo scorrendo le sinossi dei film delle sezioni collaterali, la sensazione è che ormai fosse quasi difficile trovare un film senza una storia d’amore omosessuale. Pare proprio che si sia innescato un circolo (vizioso o virtuoso a seconda dei punti di vista) per cui gli autori sanno che se c’è un certo tema, questo film verrà privilegiato dai selezionatori: ecco che sceneggiatori e registi (e produttori) vengono spinti sin dalla concezione a inserire ruoli omosessuali per avere una chance in più di entrare nei selezionati, con un effetto paradossale: quella che doveva essere una minoranza da rappresentare in senso anti discriminatorio sembra ormai diventata una maggioranza egemonica, almeno in alcuni contesti festivalieri. Deve essere forse successo qualcosa di simile nella scrittura di Piccolo corpo, bel film di Laura Samani presentato alla Semaine de la Critique, dove la presenza di un personaggio dalla identità sessuale ambigua è totalmente staccato dal focus del film (sul rapporto fra una madre e una bimba morta) e questa dimensione sembra proprio un omaggio al politically correct. Se si andrà confermando la totale fluidità sessuale nei racconti che troviamo sugli schermi, una delle non poche conseguenze sarà quella di cancellare le dimensioni dell’amicizia più normale, specialmente fra adolescenti e fra giovani: verrà immediatamente tutto sessualizzato. Non è un caso che alcuni recensori americani abbiano interpretato in chiave Lgbt il film della Pixar Luca, che è invece una semplicissima storia di amicizia maschile fra due ragazzini (fra l’altro ispirata alla storia vera dell’amicizia dello stesso regista con un suo compagno di scuola). Altri temi “caldi” del festival sono stati l’eutanasia e il “diritto a morire” (il film di Ozon con Sophie Marceau), così come una certa presenza di temi ed episodi che riguardano l’aborto (è centrato sul diritto ad abortire il film in concorso Lingui, ambientato in Ciad, ma ci sono episodi di aborto anche in altri film, come Les amours d’Anais, dove l’aborto viene trattato come una breve e innocua pratica da sbrigare). Per fortuna ci sono stati documentari interessanti come Futura, di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher, dove si dà voce a giovani italiani che si fanno domande sul futuro, e il documentario di Oliver Stone sull’omicidio Kennedy, Through the looking glass, che fa il punto sulle acquisizioni – inquietanti– degli ultimi tre decenni, sulla differenza fra la verità “ufficiale” e le numerose prove emerse in questi ultimi decenni che la smentiscono. Succedono poi cose un po’ paradossali nell’impegno “affermativo” che sembra aver preso piede nel mondo del cinema e della Tv contemporanea. Nel Marché du film, che accompagna il festival, era in distribuzione un numero speciale di Deadline, una testata hollywoodiana abbastanza recente, ma che negli ultimi anni si è ben sistemata accanto ai più blasonati Variety e The Hollywood Reporter. In un elenco di profili e interviste a disruptors, grandi innovatori, ce n’era uno dedicato a Ryan Murphy, che riportava una sua riflessione di quando in una riunione con altri showrunner si rese conto di essere l’unico gay nella sala: «Devo fare qualcosa per aumentare la nostra presenza », si disse. Non è chiaro a che anno si riferiva Murphy, che nella decina di serie Tv che ha creato (da Nip/Tuck a Glee a Pose) ha poi sempre portato avanti la promozione della cultura gay ... Ma è ironico che solo poche pagine prima c’era il profilo di Greg Berlanti, celebrato perché nelle 15 serie che sta direttamente o indirettamente dirigendo, sta portando avanti la stessa battaglia culturale ... Ma l’elenco sarebbe potuto continuare a lungo, con Alan Ball (American Beauty, Six Feet Under), Kevin Williamson (Dawson’s Creek, The Vampire Diaries e molte altre), Darren Starr (Beverly Hills 90210, Sex and the City, Emily in Paris ecc.). Insomma, non si capisce bene a quale riunione abbia partecipato a suo tempo Murphy per sentirsi così solo ...
«Avvenire» del 27 luglio 2021