di Anna Lagorio
Che cosa si nasconde nella mente dell'investigatore più famoso del mondo? Nel libro, «Mastermind: how to think like Sherlock Holmes», Maria Konnikova propone un viaggio scientifico-letterario nella mente del detective inglese per svelare i processi che regolano chiarezza mentale, capacità deduttive, intuizione fuori dal comune.
«Il mio obiettivo non è quello di trasformare i lettori in detective», racconta l'autrice, che pubblica con Penguin. «Ciò che mi interessa è analizzare come funziona una mente eccezionale e offrire degli strumenti per imitarne i pattern cognitivi».
Per cominciare, sostiene che nel cervello convivano due modelli: da una parte il «sistema Watson» (veloce, caldo, disordinato), dall'altra il «sistema Holmes» (lento, freddo, riflessivo).
«Ognuno di noi vive in "modalità Watson" per la maggior parte del tempo, ma il passaggio da un sistema all'altro è possibile». Al centro di questo cambiamento, Konnikova pone la teoria del brain attic: secondo Sherlock Holmes, «le persone usano il cervello come una soffitta: ci mettono di tutto, lo stipano fino a farlo scoppiare e poi si lamentano, perché non trovano mai quello che cercano».
Mettere ordine nella propria soffitta cerebrale è essenziale per combattere la reticolarizzazione disordinata dell'informazione. «Dobbiamo scegliere quali pensieri far entrare e come organizzarli per richiamarli alla mente quando ne abbiamo bisogno. Solo così, possiamo entrare in uno stato di limpidezza mentale».
Per farlo, Konnikova propone di seguire le tecniche di mindfulness, elaborate a partire dagli anni Settanta da Ellen Langer, docente di psicologia ad Harvard, e da Jon Kabat-Zinn, professore emerito di medicina e fondatore della Clinica per la riduzione dello stress dell'Università del Massachussetts.
«La meditazione mindfulness permette di calmare la mente, focalizzare l'attenzione sul presente, eliminare tutte le distrazioni provenienti dall'esterno», scrive Konnikova e, nel libro, propone un excursus sulle ultime ricerche in materia.
Nel 2011, i ricercatori dell'Università del Wisconsin hanno osservato che l'esercizio costante migliora le capacità di regolazione del tono dell'umore. Ad Harvard, invece, la neuroscienziata Sara Lazar ha evidenziato che i praticanti di mindfulness presentano una corteccia mediale ispessita e un ampliamento dell'insula destra (aree legate all'empatia, all'osservazione e al problem solving). «Tutti gli ultimi studi hanno riscontrato inoltre che la mindfulness ha effetti positivi sulla neuroplasticità in età adulta. Le implicazioni sono affascinanti: basti pensare alla possibilità di utilizzare questo metodo per prevenire il declino cognitivo».
In quest'ottica, Sherlock Holmes è la metafora perfetta del pensiero-mindful: «Quando sta per risolvere un caso, il detective è al massimo della concentrazione. Per raggiungere questo stato mentale, si immerge nella sua poltrona di pelle, chiude gli occhi e unisce i polpastrelli delle dita di fronte a sé. Per Watson, Holmes non sta facendo niente, ma, in realtà, è proprio grazie alla calma apparente che il cervello può lavorare al massimo».
Per ottenere un risultato simile, Konnikova sostiene che sia necessario sfatare il mito della multifunzionalità: «Holmes è un unitasker eccezionale e il suo sistema cognitivo funziona perché è completamente ancorato al qui ed ora. Ma che cosa succederebbe se fosse costretto ad agire in modo multitasking?».
Per rispondere, l'autrice cita un esempio autobiografico: «Quando ho iniziato a scrivere questo libro, la mia soglia di concentrazione era molto bassa: controllavo la posta ogni tre minuti, poi passavo a Facebook o lanciavo un tweet. Così, ho installato Freedom, l'applicazione per bloccare le attività online e, all'inizio, anche dieci minuti mi sembravano lunghissimi. C'è voluto un po' per riportare il mio cervello a un regime unitasking, ma ne è valsa la pena perché ho guadagnato una qualità di pensiero limpido ed iperefficiente».
Il tema è caldo, come dimostra l'ultima edizione di Wisdom 2.0 (il «Ted dello spirito») che si è svolto a San Francisco dal 21 al 24 febbraio.
All'evento hanno preso parte ospiti illustri, come Jeff Weiner, ceo di Linkedin, Bradley Horowitz, vice-presidente di Google ed Ewan Williams, co-fondatore di Twitter. Durante i panel, hanno discusso con insegnanti di mindfulness (fra i big era presente lo stesso Kabat-Zinn), monaci buddisti e maestri yoga.
Dai talk è emerso un trend comune: il desiderio di trovare un equilibrio fra l'informazione iperreticolare e il proprio sé. Come? Attraverso l'applicazione della «regola Holmes»: trovare il tempo per fermarsi e staccare il cervello. Magari suonando il violino.
«Il mio obiettivo non è quello di trasformare i lettori in detective», racconta l'autrice, che pubblica con Penguin. «Ciò che mi interessa è analizzare come funziona una mente eccezionale e offrire degli strumenti per imitarne i pattern cognitivi».
Per cominciare, sostiene che nel cervello convivano due modelli: da una parte il «sistema Watson» (veloce, caldo, disordinato), dall'altra il «sistema Holmes» (lento, freddo, riflessivo).
«Ognuno di noi vive in "modalità Watson" per la maggior parte del tempo, ma il passaggio da un sistema all'altro è possibile». Al centro di questo cambiamento, Konnikova pone la teoria del brain attic: secondo Sherlock Holmes, «le persone usano il cervello come una soffitta: ci mettono di tutto, lo stipano fino a farlo scoppiare e poi si lamentano, perché non trovano mai quello che cercano».
Mettere ordine nella propria soffitta cerebrale è essenziale per combattere la reticolarizzazione disordinata dell'informazione. «Dobbiamo scegliere quali pensieri far entrare e come organizzarli per richiamarli alla mente quando ne abbiamo bisogno. Solo così, possiamo entrare in uno stato di limpidezza mentale».
Per farlo, Konnikova propone di seguire le tecniche di mindfulness, elaborate a partire dagli anni Settanta da Ellen Langer, docente di psicologia ad Harvard, e da Jon Kabat-Zinn, professore emerito di medicina e fondatore della Clinica per la riduzione dello stress dell'Università del Massachussetts.
«La meditazione mindfulness permette di calmare la mente, focalizzare l'attenzione sul presente, eliminare tutte le distrazioni provenienti dall'esterno», scrive Konnikova e, nel libro, propone un excursus sulle ultime ricerche in materia.
Nel 2011, i ricercatori dell'Università del Wisconsin hanno osservato che l'esercizio costante migliora le capacità di regolazione del tono dell'umore. Ad Harvard, invece, la neuroscienziata Sara Lazar ha evidenziato che i praticanti di mindfulness presentano una corteccia mediale ispessita e un ampliamento dell'insula destra (aree legate all'empatia, all'osservazione e al problem solving). «Tutti gli ultimi studi hanno riscontrato inoltre che la mindfulness ha effetti positivi sulla neuroplasticità in età adulta. Le implicazioni sono affascinanti: basti pensare alla possibilità di utilizzare questo metodo per prevenire il declino cognitivo».
In quest'ottica, Sherlock Holmes è la metafora perfetta del pensiero-mindful: «Quando sta per risolvere un caso, il detective è al massimo della concentrazione. Per raggiungere questo stato mentale, si immerge nella sua poltrona di pelle, chiude gli occhi e unisce i polpastrelli delle dita di fronte a sé. Per Watson, Holmes non sta facendo niente, ma, in realtà, è proprio grazie alla calma apparente che il cervello può lavorare al massimo».
Per ottenere un risultato simile, Konnikova sostiene che sia necessario sfatare il mito della multifunzionalità: «Holmes è un unitasker eccezionale e il suo sistema cognitivo funziona perché è completamente ancorato al qui ed ora. Ma che cosa succederebbe se fosse costretto ad agire in modo multitasking?».
Per rispondere, l'autrice cita un esempio autobiografico: «Quando ho iniziato a scrivere questo libro, la mia soglia di concentrazione era molto bassa: controllavo la posta ogni tre minuti, poi passavo a Facebook o lanciavo un tweet. Così, ho installato Freedom, l'applicazione per bloccare le attività online e, all'inizio, anche dieci minuti mi sembravano lunghissimi. C'è voluto un po' per riportare il mio cervello a un regime unitasking, ma ne è valsa la pena perché ho guadagnato una qualità di pensiero limpido ed iperefficiente».
Il tema è caldo, come dimostra l'ultima edizione di Wisdom 2.0 (il «Ted dello spirito») che si è svolto a San Francisco dal 21 al 24 febbraio.
All'evento hanno preso parte ospiti illustri, come Jeff Weiner, ceo di Linkedin, Bradley Horowitz, vice-presidente di Google ed Ewan Williams, co-fondatore di Twitter. Durante i panel, hanno discusso con insegnanti di mindfulness (fra i big era presente lo stesso Kabat-Zinn), monaci buddisti e maestri yoga.
Dai talk è emerso un trend comune: il desiderio di trovare un equilibrio fra l'informazione iperreticolare e il proprio sé. Come? Attraverso l'applicazione della «regola Holmes»: trovare il tempo per fermarsi e staccare il cervello. Magari suonando il violino.
«Il Sole 24 Ore» del 3 marzo 2013