Il dibattito
di Giovanni Ruggiero
Qualcuno si è pure stupito: Noam Chomsky, l’intellettuale anarchico e libertario, duro critico della politica estera americana a partire dagli anni del Vietnam, sale in cattedra in Vaticano. Chomsky per i suoi studi, a partire da Syntactic Structures del 1957, che resta ancora un testo importante di riferimento, è considerato il fondatore della grammatica generativa trasformazionale.
Più in sintesi, il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, lo chiama «principe dell’analisi linguistica». Un tramite tra lo scomodo studioso e l’appuntamento romano c’è, a parte i suoi contributi a filosofia e scienze cognitive, i cui temi sono al centro degli interessi dello Stoq (Science, Theology and the Ontological Quest), l’istituto del Consiglio presieduto dal cardinal Ravasi finalizzato allo sviluppo del dialogo fra scienza, filosofia e teologia. Questo tramite è la parola, che però dal significato corrente si veste di segno biblico teologico. Questa parola è il Verbo. Spiega appunto Ravasi che «la parola è l’incipit della Creazione, perché la parola è il segno dominante in tutta la cultura ebraico-cristiana per indicare Dio». Nella Genesi la Creazione è frutto della Parola che ritorna poi nel Nuovo Testamento con Giovanni (1, 1-14) che il cardinale cita: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio».
A sua volta, presentando Chomsky che è stato un suo professore, Andrea Moro spiega i nessi genetici tra il sistema immunitario e il linguaggio umano. Tra loro, le analogie per quanto superficiali sono sorprendenti. C’è chi ha poi detto che gli esseri umani sono progettati in modo speciale con una capacità di natura mistica, e così ci si accosta al nucleo centrale dell’idea che Chomsky ha offerto del linguaggio: la competenza linguistica, semplificando, si fonda su una conoscenza implicita innata delle regole della grammatica universale. Queste regole portano ad esempio a distinguere tra ciò che è corretto grammaticalmente da ciò che è sbagliato.
Un meccanicismo, dunque? Chomsky analizza la filosofia meccanicistica sviluppata da Cartesio secondo cui – spiega – «il mondo opera come una macchina, su principi delle leggi della meccanica, come oggi potremmo dire dei computer. Anche la lingua può essere costruita in questo modo con l’idea che tutto obbedisce a una sorta di legge meccanica».
Le obiezioni sono tante. L’aspetto creativo pure può essere disciplinato dalle leggi della meccanica e da una macchina? Allora l’arte? E l’estro? E la follia? Bisogna considerare dunque gli aspetti che non si spiegano con la sola meccanica. È il «fantasma nella macchina» la spiegazione, come l’ha inteso anche Ryle: questa macchina, il corpo, guidata non solo dalla mente ma anche da un insieme di entità mentali dotate di un autonomo status ontologico e di potere causale sul corpo.
Chomsky analizza e critica l’empirismo inglese, riprende il dualismo mente e corpo cartesiano, passa in rassegna Newton, Hume e Locke, e nella sua colta lezione esclude spiegazioni essenzialmente meccanicistiche o fondamentalmente chimiche. Occorre a un certo punto ammetterlo: «La mente e le facoltà mentali sono prodotte da principi del cervello che ancora non comprendiamo».
A Roma, in questa seconda lezione (la sera precedente è stato ospite del Festival delle Scienze), ha proposto un «Nuovo Mistero», una dottrina misterica – la definisce – «per andare oltre una certa scientificità molto limitata e ristretta». La suggestione fa dire poi a Ravasi: «Probabilmente è anche ammettere un’esistenza di Dio benché non sia possibile ricondurla a schemi, teorie o diagrammi». Chomsky accoglie l’ipotesi: «Non possiamo spiegarci tutto con la nostra mente, ma occorre guardare ai misteri del mondo, relativizzando tutto quello che la mente vorrebbe spiegare ma non può». E così anche l’evoluzione che – sostiene – «dipende anche da mutamenti casuali che non si possono prevedere».
Sollecitato poi dalle domande del pubblico, Chomsky si sofferma sulle tecnologie e sui nuovi strumenti del comunicare: «Questi – dice – hanno portato a una maggior vivacità rispetto ai media ortodossi, ma per effetto negativo hanno provocato la tendenza a sospingere gli utenti verso una visione molto più ristretta, perché quasi automaticamente le persone sono attratte verso quei nuovi media che fanno eco alle loro stesse vedute. Se uno si informa solo sui blog le prospettive saranno molto più ristrette». Fino a che punto, gli chiedono ancora, le tecnologie possono modificare il linguaggio? «Quando la tecnologia va oltre il senso comune – spiega – ha un impatto forte e causa nuovi sistemi simbolici».
Più in sintesi, il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, lo chiama «principe dell’analisi linguistica». Un tramite tra lo scomodo studioso e l’appuntamento romano c’è, a parte i suoi contributi a filosofia e scienze cognitive, i cui temi sono al centro degli interessi dello Stoq (Science, Theology and the Ontological Quest), l’istituto del Consiglio presieduto dal cardinal Ravasi finalizzato allo sviluppo del dialogo fra scienza, filosofia e teologia. Questo tramite è la parola, che però dal significato corrente si veste di segno biblico teologico. Questa parola è il Verbo. Spiega appunto Ravasi che «la parola è l’incipit della Creazione, perché la parola è il segno dominante in tutta la cultura ebraico-cristiana per indicare Dio». Nella Genesi la Creazione è frutto della Parola che ritorna poi nel Nuovo Testamento con Giovanni (1, 1-14) che il cardinale cita: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio».
A sua volta, presentando Chomsky che è stato un suo professore, Andrea Moro spiega i nessi genetici tra il sistema immunitario e il linguaggio umano. Tra loro, le analogie per quanto superficiali sono sorprendenti. C’è chi ha poi detto che gli esseri umani sono progettati in modo speciale con una capacità di natura mistica, e così ci si accosta al nucleo centrale dell’idea che Chomsky ha offerto del linguaggio: la competenza linguistica, semplificando, si fonda su una conoscenza implicita innata delle regole della grammatica universale. Queste regole portano ad esempio a distinguere tra ciò che è corretto grammaticalmente da ciò che è sbagliato.
Un meccanicismo, dunque? Chomsky analizza la filosofia meccanicistica sviluppata da Cartesio secondo cui – spiega – «il mondo opera come una macchina, su principi delle leggi della meccanica, come oggi potremmo dire dei computer. Anche la lingua può essere costruita in questo modo con l’idea che tutto obbedisce a una sorta di legge meccanica».
Le obiezioni sono tante. L’aspetto creativo pure può essere disciplinato dalle leggi della meccanica e da una macchina? Allora l’arte? E l’estro? E la follia? Bisogna considerare dunque gli aspetti che non si spiegano con la sola meccanica. È il «fantasma nella macchina» la spiegazione, come l’ha inteso anche Ryle: questa macchina, il corpo, guidata non solo dalla mente ma anche da un insieme di entità mentali dotate di un autonomo status ontologico e di potere causale sul corpo.
Chomsky analizza e critica l’empirismo inglese, riprende il dualismo mente e corpo cartesiano, passa in rassegna Newton, Hume e Locke, e nella sua colta lezione esclude spiegazioni essenzialmente meccanicistiche o fondamentalmente chimiche. Occorre a un certo punto ammetterlo: «La mente e le facoltà mentali sono prodotte da principi del cervello che ancora non comprendiamo».
A Roma, in questa seconda lezione (la sera precedente è stato ospite del Festival delle Scienze), ha proposto un «Nuovo Mistero», una dottrina misterica – la definisce – «per andare oltre una certa scientificità molto limitata e ristretta». La suggestione fa dire poi a Ravasi: «Probabilmente è anche ammettere un’esistenza di Dio benché non sia possibile ricondurla a schemi, teorie o diagrammi». Chomsky accoglie l’ipotesi: «Non possiamo spiegarci tutto con la nostra mente, ma occorre guardare ai misteri del mondo, relativizzando tutto quello che la mente vorrebbe spiegare ma non può». E così anche l’evoluzione che – sostiene – «dipende anche da mutamenti casuali che non si possono prevedere».
Sollecitato poi dalle domande del pubblico, Chomsky si sofferma sulle tecnologie e sui nuovi strumenti del comunicare: «Questi – dice – hanno portato a una maggior vivacità rispetto ai media ortodossi, ma per effetto negativo hanno provocato la tendenza a sospingere gli utenti verso una visione molto più ristretta, perché quasi automaticamente le persone sono attratte verso quei nuovi media che fanno eco alle loro stesse vedute. Se uno si informa solo sui blog le prospettive saranno molto più ristrette». Fino a che punto, gli chiedono ancora, le tecnologie possono modificare il linguaggio? «Quando la tecnologia va oltre il senso comune – spiega – ha un impatto forte e causa nuovi sistemi simbolici».
«Avvenire» del 27 gennaio 2014
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