«La Rete ci sta riportando alla prima fase dell'intelligenza umana, quella legata alla visione e al racconto orale, che fu superata dalla scrittura». La provocazione di Raffaele Simone, docente di linguistica e saggista
di Stefania Rossini
E' nel vagone affollato di un treno ad alta velocità che si coglie l'immagine plastica di quanto i nuovi media abbiano cambiato l'uomo contemporaneo: "Tutti i viaggiatori, nessuno escluso, armeggiano da ore col telefonino, senza interruzione. Strusciano il dito sullo schermo, premono tasti, fanno chiamate, provano e riprovano numeri che non hanno risposto, aprono e chiudono il coperchio, ogni tanto tirano fuori il telefonino e gli gettano uno sguardo, come per assicurarsi che dal piccolo schermo non sia uscito qualcosa di cui non si sono accorti". La scena non cambia allungando lo sguardo nel corridoio dove, "salvo quelli che dormono, tutti sono presi da operazioni somiglianti: parlare e ascoltare servendosi di un qualche apparecchio, digitare numeri, far scorrere sullo schermo immagini, guardare film" .
La piccola bolgia di condannati a una coazione informatica che non ammette soste è l'espediente narrativo con il quale Raffaele Simone afferra il lettore nelle prime pagine del suo bel saggio "Presi nella rete. La mente ai tempi del web" uscito poco fa da Garzanti. Ma chi vuole continuare a leggere per scoprire che cosa sta accadendo alla nostra mente e a quella dei contemporanei, dovrà fare lo sforzo di riconvertire la propria intelligenza all'antica capacità "sequenziale". Dovrà cioè usare quella intelligenza lineare e alfabetica che rispetta il tempo, ha un prima e un dopo, e ci permette di mettere in fila parole e concetti. Dovrà quindi sospendere la nuova intelligenza "simultanea", vale a dire l'attitudine a cogliere gli eventi disparati che avvengono contemporaneamente su un qualche schermo.
Già con questi pochi accenni, Simone, docente di Linguistica all'Università di Roma, saggista prolifico e anche autore di un romanzo sugli ultimi giorni di vita di Cartesio ("Le passioni dell'anima"), mette qualche allarme. Chi di noi non si sente, almeno in parte, un mutante verso la simultaneità; chi ogni tanto non abbandona la "fatica di leggere" per la "facilità di guardare"; chi non non si fa accompagnare dai suoi tanti o pochi schermi? Ma se pure volessimo tirarci fuori e tenerci stretta la nostra vecchia intelligenza, Simone non ci dà vie di scampo: "Siamo immersi in una specie di arretramento collettivo alla prima fase dell'intelligenza dell'uomo, quella legata alla visione e al racconto orale, che fu superata dall'avvento della scrittura", spiega e aggancia la sua analisi all'evoluzione umana: "Già Platone, che considerava il discorso scritto il "figlio bastardo" di quello parlato, intuì gli effetti che alcuni media possono avere sulla mente, mentre secoli dopo nessun contemporaneo si occupò di indagare le conseguenze mentali dell'invenzione della stampa. Oggi, che siamo pienamente nella Terza Fase, è necessario fare i conti con il nuovo orizzonte in cui è entrata la nostra mente e, soprattutto, quella dei nostri figli".
Un primo conto Simone lo fa introducendo il concetto di "esattamento", termine tratto dalla biologia per indicare il processo in cui sono gli organi a creare la funzione (nascono le ali con le quali più tardi l'uccello scoprirà il volo), che è poi il contrario dell'"adattamento" dove, come è noto, è la funzione che crea l'organo. Ebbene, l'avvento della tecnologia e dell'informatica ha dato luogo "a un gigantesco esattamento della specie". Il compito di capire in quale profondità dell'uomo si nascondeva l'incessante bisogno di comunicare che ci ha colpito tutti, viene lasciato da Simone agli psicologi, ma la fotografia del presente è netta: si è sviluppato un atteggiamento compulsivo verso i media che ha modificato i nostri comportamenti e, appunto, la nostra mente verso una semplificazione e un'approssimazione tutta visiva.
Stiamo insomma diventando più stupidi? Anche se apre il libro proprio con questa domanda volutamente retorica, Simone non vuole emettere condanne definitive e sposta l'accento sulle sorti della conoscenza. E qui le cose vanno piuttosto male: la perdita dell'esperienza interiore del tempo e dello spazio indotta dai nuovi media ha già fatto i suoi guasti e cambiato in profondità il modo di formarsi della conoscenza. "In quarant'anni di insegnamento", dice a "l'Espresso", "ho potuto osservare un campione di circa 6 mila studenti. Negli ultimi vent'anni ho calcolato una diminuzione cognitiva di un gradino all'anno. Va scemando quella che si chiamava "cultura generale". Le conoscenze sono "irrelate", cioè composte di tanti frammenti, che chiamerei straccetti, di fonti varie e incongrue. Possono provenire da un testo importante, da un film o da un brano di dubbia qualità pescato in Internet".
La piccola bolgia di condannati a una coazione informatica che non ammette soste è l'espediente narrativo con il quale Raffaele Simone afferra il lettore nelle prime pagine del suo bel saggio "Presi nella rete. La mente ai tempi del web" uscito poco fa da Garzanti. Ma chi vuole continuare a leggere per scoprire che cosa sta accadendo alla nostra mente e a quella dei contemporanei, dovrà fare lo sforzo di riconvertire la propria intelligenza all'antica capacità "sequenziale". Dovrà cioè usare quella intelligenza lineare e alfabetica che rispetta il tempo, ha un prima e un dopo, e ci permette di mettere in fila parole e concetti. Dovrà quindi sospendere la nuova intelligenza "simultanea", vale a dire l'attitudine a cogliere gli eventi disparati che avvengono contemporaneamente su un qualche schermo.
Già con questi pochi accenni, Simone, docente di Linguistica all'Università di Roma, saggista prolifico e anche autore di un romanzo sugli ultimi giorni di vita di Cartesio ("Le passioni dell'anima"), mette qualche allarme. Chi di noi non si sente, almeno in parte, un mutante verso la simultaneità; chi ogni tanto non abbandona la "fatica di leggere" per la "facilità di guardare"; chi non non si fa accompagnare dai suoi tanti o pochi schermi? Ma se pure volessimo tirarci fuori e tenerci stretta la nostra vecchia intelligenza, Simone non ci dà vie di scampo: "Siamo immersi in una specie di arretramento collettivo alla prima fase dell'intelligenza dell'uomo, quella legata alla visione e al racconto orale, che fu superata dall'avvento della scrittura", spiega e aggancia la sua analisi all'evoluzione umana: "Già Platone, che considerava il discorso scritto il "figlio bastardo" di quello parlato, intuì gli effetti che alcuni media possono avere sulla mente, mentre secoli dopo nessun contemporaneo si occupò di indagare le conseguenze mentali dell'invenzione della stampa. Oggi, che siamo pienamente nella Terza Fase, è necessario fare i conti con il nuovo orizzonte in cui è entrata la nostra mente e, soprattutto, quella dei nostri figli".
Un primo conto Simone lo fa introducendo il concetto di "esattamento", termine tratto dalla biologia per indicare il processo in cui sono gli organi a creare la funzione (nascono le ali con le quali più tardi l'uccello scoprirà il volo), che è poi il contrario dell'"adattamento" dove, come è noto, è la funzione che crea l'organo. Ebbene, l'avvento della tecnologia e dell'informatica ha dato luogo "a un gigantesco esattamento della specie". Il compito di capire in quale profondità dell'uomo si nascondeva l'incessante bisogno di comunicare che ci ha colpito tutti, viene lasciato da Simone agli psicologi, ma la fotografia del presente è netta: si è sviluppato un atteggiamento compulsivo verso i media che ha modificato i nostri comportamenti e, appunto, la nostra mente verso una semplificazione e un'approssimazione tutta visiva.
Stiamo insomma diventando più stupidi? Anche se apre il libro proprio con questa domanda volutamente retorica, Simone non vuole emettere condanne definitive e sposta l'accento sulle sorti della conoscenza. E qui le cose vanno piuttosto male: la perdita dell'esperienza interiore del tempo e dello spazio indotta dai nuovi media ha già fatto i suoi guasti e cambiato in profondità il modo di formarsi della conoscenza. "In quarant'anni di insegnamento", dice a "l'Espresso", "ho potuto osservare un campione di circa 6 mila studenti. Negli ultimi vent'anni ho calcolato una diminuzione cognitiva di un gradino all'anno. Va scemando quella che si chiamava "cultura generale". Le conoscenze sono "irrelate", cioè composte di tanti frammenti, che chiamerei straccetti, di fonti varie e incongrue. Possono provenire da un testo importante, da un film o da un brano di dubbia qualità pescato in Internet".
«L'Espresso» del 5 luglio 2012
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