Il caso Viaggi, libri, follower: il 70% si lascia orientare dal web per le scelte. Tra le ragioni, empatia, familiarità e reputazione
di Serena Danna
Su Kickstarter, la celebre piattaforma di crowdfunding (raccolta di fondi attraverso microfinanziamenti su Internet), due artisti di Los Angeles, Erin Faulk e Matt Sordello, hanno lanciato il progetto «Follow Friday». «Il venerdì delle persone da seguire», in gergo Twitter #FF, è la tradizione di indicare ogni venerdì ai propri follower le persone da cui ricevere aggiornamenti sul social network da 140 caratteri. Colpiti dal successo dell’iniziativa, Faulk e Sordello stanno lavorando a un documentario (cifra richiesta per realizzarlo: 15 mila dollari) che racconterà il loro viaggio negli Stati Uniti per conoscere 140 degli sconosciuti consigliati. «È un lavoro sugli estranei — scrive la film maker — a cui ogni giorno ci affidiamo online per le nostre decisioni. Cosa ci spinge a seguire le raccomandazioni di persone che non abbiamo mai incontrato?».
Ecco una delle conquiste più interessanti dell’epoca digitale: la fiducia negli sconosciuti. Scegliamo gli alberghi sul sito di viaggi Trip Advisor, i prodotti da comprare sul bazar online eBay, e per capire cosa leggere o guardare al cinema ci affidiamo sempre di più a forum, blog ed account social. In un’intervista a «la Lettura», il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha raccontato che, prima di sbarcare in Giappone, diversi consulenti avevano giurato che i giapponesi non avrebbero mai scritto recensioni di libri. Si sbagliavano: a Tokyo, proprio come in tutti gli altri Paesi dove Amazon è presente, le persone adorano scrivere recensioni online.
L’ultimo rapporto Nielsen «Global Trust in Advertising», basato su interviste a 28 mila utenti in 56 Paesi, mostra che le opinioni sul web sono in cima ai metodi che influenzano le nostre scelte di consumo (il 70% degli utenti, con un aumento del 15% rispetto al 2008), seconde solo alle raccomandazioni di amici e parenti. Un punteggio che stacca del 12% le indicazioni dei giornali e del 23% quelle della tv (calate rispettivamente del 25% e del 24%).
I consigli sui social network sono credibili per il 75% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, percentuale che — secondo un rapporto ICM/Guardian — si ferma al 50% per gli adulti. Una rivoluzione che nasce dal crollo di fiducia del marketing tradizionale: «I consumatori hanno perso fiducia nelle aziende —spiega Alessandro Mininno, social media strategist di Gummy Industries —. Dopo anni di marketing ingannevole, hanno trovato nel web un’alternativa credibile: se devono scegliere tra fidarsi della raccomandazione di un marchio o di quella di un estraneo, scelgono il secondo perché lo percepiscono come non interessato». Grazie ai social media abbiamo accesso a un’enorme quantità di informazioni: l’unico modo per orientarsi è la fiducia. «Gli utenti costruiscono la loro identità sul campo: se chiedi un consiglio su Twitter — continua Mininno — tenderanno a darti la migliore risposta possibile perché tengono alla reputazione, unica garanzia di successo sui social media».
Alex Giordano, ricercatore del Centro studi di etnografia digitale, puntualizza: «L’utente utilizza prodotti ed esperienze per mettere in scena una rappresentazione di sé: attraverso l’oggetto che critica sta raccontando se stesso». Il circuito semichiuso dei social media permette inoltre quello che la psicologia sociale chiama «sistema di controllo». Un controllo che funziona con meccanismi precisi, secondo Giuseppe Riva, docente di Psicologia dei nuovi media alla Cattolica di Milano: «La rete di contatti fa da garante per la persona: se voglio verificare la reputazione di un individuo su Facebook, Twitter, Google + un parametro è rappresentato dai suoi “amici”».
Ma cosa succede fuori dai social network e in quei siti dove viene meno il «garante» della Rete? «Si passa dall’analisi del singolo a quella dei gruppi», illustra Riva. La legge del conformismo sociale, che porta le persone «confuse» a seguire le scelte di massa, si ritrova anche online: «I gruppi non si limitano a descrivere i propri comportamenti — vado in questo hotel, leggo questo libro, compro questo pc — ma li motivano con argomentazioni credibili. Se mi identifico in quelle argomentazioni, l’empatia che ne deriva mi indurrà alla scelta», conclude Riva.
Come nella vita offline, anche in Rete esistono tribù. Prendiamo quella delle mamme 2.0, madri di età compresa tra i 14 e i 33 anni. Secondo un rapporto del Centro Studi Etnografia digitale, l’88% consulta Internet prima di effettuare un acquisto per il bambino e il 28% cita Facebook come fonte di informazione privilegiata. Succede perché online le giovani mamme trovano un senso di comunità, in cui possono ritrovare i loro dubbi e problemi, senza provare imbarazzo.
Secondo Hanson Hosein, direttore del master in digital media all’Università di Washington e autore del saggio Storyteller Uprising: Trust & Persuasion in the Digital Age, quella di voglia di condivisione è tipica degli utenti Internet: «Amano condividere le proprie esperienze. Lo fanno per esigenze creative oppure perché sono appassionati a un tema: online trovano la piattaforma ideale per esprimersi», dice. «Aiutare gli altri — continua — è simbolo di un valore che gli altri riconoscono e possono ricambiare. Ogni volta che commenti in maniera critica o fai una recensione apprezzabile, il tuo status sulla Rete aumenta. E questo è un grande incentivo per la vita digitale». Per Pamela Rutledge, direttrice del Media Psychology Research Center di Boston, i criteri su cui si basa la fiducia degli utenti sono «la prevedibilità — sapere che troverai risposte a quello che cerchi —, che aumenta sei hai familiarità con un gruppo di discussione, e la reciprocità, che si realizza quando ottieni la prova che la tua fiducia è stata ripagata da un’esperienza soddisfacente».
Le notizie che periodicamente mettono in discussione la credibilità di molti siti — dalle recensioni false su Trip Advisor al meccanismo del «likejacking» su Facebook (gli «I like» a link che portano l’utente su pagine fraudolente) — sembrano non minarne il successo. Osserva Keith Murningham, docente di psicologia sociale alla Northwestern University, che sonomolteplici gli strumenti a disposizione degli utenti per verificare la veridicità delle informazioni: «Se una recensione è scritta in maniera formale, troppo corretta, e contiene solo informazioni positive, la diffidenza sarà automatica».
La garanzia di affidabilità non viene solo dal controllo degli amministratori dei siti (che pure, come nel caso di eBay, può essere estremamente rigido): nella dinamica dei gruppi sociali online sono gli utenti stessi che tutelano la comunità di appartenenza. Aggiunge Giuseppe Riva: «Trovare un gruppo affidabile è un valore, i suoi membri faranno di tutto per salvaguardarlo. Quando si accorgono di violazioni o inganni, lo vivono come un tradimento». O come direbbe Oscar Wilde, «l’uomo può credere all’impossibile, non crederà mai all’improbabile».
Ecco una delle conquiste più interessanti dell’epoca digitale: la fiducia negli sconosciuti. Scegliamo gli alberghi sul sito di viaggi Trip Advisor, i prodotti da comprare sul bazar online eBay, e per capire cosa leggere o guardare al cinema ci affidiamo sempre di più a forum, blog ed account social. In un’intervista a «la Lettura», il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha raccontato che, prima di sbarcare in Giappone, diversi consulenti avevano giurato che i giapponesi non avrebbero mai scritto recensioni di libri. Si sbagliavano: a Tokyo, proprio come in tutti gli altri Paesi dove Amazon è presente, le persone adorano scrivere recensioni online.
L’ultimo rapporto Nielsen «Global Trust in Advertising», basato su interviste a 28 mila utenti in 56 Paesi, mostra che le opinioni sul web sono in cima ai metodi che influenzano le nostre scelte di consumo (il 70% degli utenti, con un aumento del 15% rispetto al 2008), seconde solo alle raccomandazioni di amici e parenti. Un punteggio che stacca del 12% le indicazioni dei giornali e del 23% quelle della tv (calate rispettivamente del 25% e del 24%).
I consigli sui social network sono credibili per il 75% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, percentuale che — secondo un rapporto ICM/Guardian — si ferma al 50% per gli adulti. Una rivoluzione che nasce dal crollo di fiducia del marketing tradizionale: «I consumatori hanno perso fiducia nelle aziende —spiega Alessandro Mininno, social media strategist di Gummy Industries —. Dopo anni di marketing ingannevole, hanno trovato nel web un’alternativa credibile: se devono scegliere tra fidarsi della raccomandazione di un marchio o di quella di un estraneo, scelgono il secondo perché lo percepiscono come non interessato». Grazie ai social media abbiamo accesso a un’enorme quantità di informazioni: l’unico modo per orientarsi è la fiducia. «Gli utenti costruiscono la loro identità sul campo: se chiedi un consiglio su Twitter — continua Mininno — tenderanno a darti la migliore risposta possibile perché tengono alla reputazione, unica garanzia di successo sui social media».
Alex Giordano, ricercatore del Centro studi di etnografia digitale, puntualizza: «L’utente utilizza prodotti ed esperienze per mettere in scena una rappresentazione di sé: attraverso l’oggetto che critica sta raccontando se stesso». Il circuito semichiuso dei social media permette inoltre quello che la psicologia sociale chiama «sistema di controllo». Un controllo che funziona con meccanismi precisi, secondo Giuseppe Riva, docente di Psicologia dei nuovi media alla Cattolica di Milano: «La rete di contatti fa da garante per la persona: se voglio verificare la reputazione di un individuo su Facebook, Twitter, Google + un parametro è rappresentato dai suoi “amici”».
Ma cosa succede fuori dai social network e in quei siti dove viene meno il «garante» della Rete? «Si passa dall’analisi del singolo a quella dei gruppi», illustra Riva. La legge del conformismo sociale, che porta le persone «confuse» a seguire le scelte di massa, si ritrova anche online: «I gruppi non si limitano a descrivere i propri comportamenti — vado in questo hotel, leggo questo libro, compro questo pc — ma li motivano con argomentazioni credibili. Se mi identifico in quelle argomentazioni, l’empatia che ne deriva mi indurrà alla scelta», conclude Riva.
Come nella vita offline, anche in Rete esistono tribù. Prendiamo quella delle mamme 2.0, madri di età compresa tra i 14 e i 33 anni. Secondo un rapporto del Centro Studi Etnografia digitale, l’88% consulta Internet prima di effettuare un acquisto per il bambino e il 28% cita Facebook come fonte di informazione privilegiata. Succede perché online le giovani mamme trovano un senso di comunità, in cui possono ritrovare i loro dubbi e problemi, senza provare imbarazzo.
Secondo Hanson Hosein, direttore del master in digital media all’Università di Washington e autore del saggio Storyteller Uprising: Trust & Persuasion in the Digital Age, quella di voglia di condivisione è tipica degli utenti Internet: «Amano condividere le proprie esperienze. Lo fanno per esigenze creative oppure perché sono appassionati a un tema: online trovano la piattaforma ideale per esprimersi», dice. «Aiutare gli altri — continua — è simbolo di un valore che gli altri riconoscono e possono ricambiare. Ogni volta che commenti in maniera critica o fai una recensione apprezzabile, il tuo status sulla Rete aumenta. E questo è un grande incentivo per la vita digitale». Per Pamela Rutledge, direttrice del Media Psychology Research Center di Boston, i criteri su cui si basa la fiducia degli utenti sono «la prevedibilità — sapere che troverai risposte a quello che cerchi —, che aumenta sei hai familiarità con un gruppo di discussione, e la reciprocità, che si realizza quando ottieni la prova che la tua fiducia è stata ripagata da un’esperienza soddisfacente».
Le notizie che periodicamente mettono in discussione la credibilità di molti siti — dalle recensioni false su Trip Advisor al meccanismo del «likejacking» su Facebook (gli «I like» a link che portano l’utente su pagine fraudolente) — sembrano non minarne il successo. Osserva Keith Murningham, docente di psicologia sociale alla Northwestern University, che sonomolteplici gli strumenti a disposizione degli utenti per verificare la veridicità delle informazioni: «Se una recensione è scritta in maniera formale, troppo corretta, e contiene solo informazioni positive, la diffidenza sarà automatica».
La garanzia di affidabilità non viene solo dal controllo degli amministratori dei siti (che pure, come nel caso di eBay, può essere estremamente rigido): nella dinamica dei gruppi sociali online sono gli utenti stessi che tutelano la comunità di appartenenza. Aggiunge Giuseppe Riva: «Trovare un gruppo affidabile è un valore, i suoi membri faranno di tutto per salvaguardarlo. Quando si accorgono di violazioni o inganni, lo vivono come un tradimento». O come direbbe Oscar Wilde, «l’uomo può credere all’impossibile, non crederà mai all’improbabile».
«Corriere della sera» del luglio 2012
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