di Pierluigi Battista
Ma davvero, impedire a chicchessia di parlare ed esprimere un pensiero in una sede universitaria sarebbe un’esuberante manifestazione di libertà dissidente? Sommergere di fischi, intimidirlo, intimargli il silenzio, tutto questo una prova di «libertà polemica», come ha detto un Enrico Boselli elettrizzato dal vento di contestazione che soffia sulla visita di Benedetto XVI alla Sapienza di Roma? E se un gruppo di bigotti clericali interrompesse, tanto per dire, un discorso del matematico Piergiorgio Odifreddi, e se un drappello di papalini agguerriti impedisse, tanto per dire, lo svolgimento di un convegno di socialisti, questa sarebbe inqualificabile sopraffazione, espressione di becera intolleranza e arroganza? O no? E allora, in che consiste esattamente la differenza? Eppure si dice: libero fischio in libero Stato. Ma allora deve valere sempre. O forse è meglio che non valga mai. Se cento persone non vogliono il Papa all’Università e ne sconsigliassero con i loro metodi chiassosi la presenza, verrebbe leso il diritto di chi invece vuole ascoltare ciò che il Papa ha da dire. Si ha troppo fiato per comprimere i fischi che spontanei sgorgano dal cuore? Si aspetti la conclusione del canto, come fanno i loggionisti contrariati dalla performance del baritono. Dopo, non prima. Altrimenti non sarebbe dissenso, ma pregiudizio. Non contrarietà a un argomento ma sordità preventiva al cospetto di qualsiasi argomento. Un attacco alla persona, non a una tesi. Intolleranza pura. Com’è che i libertari, i refrattari a ogni dogma, le persone aperte e miti come Boselli, non riescono a capire una cosa tanto semplice? Ma il Papa non dovrebbe mettere piede in una laica Università, obiettano. Sì, ma obiettano sempre quando a farne le spese sono gli altri. Pensate se un gruppo di ultras neofascisti avesse fisicamente ostruito un ingresso universitario per annullare una prolusione accademica di Dario Fo. Come l’avrebbe chiamata, il mite Boselli: «libertà di polemica»? Ma, obiettano ancora, se la Chiesa aspira a un ruolo pubblico, a esercitare un ruolo politico, allora non dovrebbe scandalizzarsi se qualcuno manifesta la sua ostilità, non a una fede ma a una posizione politica. Ma l’ostilità organizzata, con i goliardi del laicismo che a Roma si apprestano a sfilare, così pare, in una irriverente «frocessione» nei viali dell’Università, è appunto un’ostilità a priori, a prescindere da ciò che si dirà e di come lo si dirà. E poi, parlare non è un delitto. Svolgere un ruolo politico, nell’ambito delle leggi, è una facoltà prevista dalla Costituzione di cui si celebrano in questi giorni i sessant’anni. La democrazia è un’arena dove, se non si scontrassero tesi contrapposte, si assisterebbe a uno spettacolo avvilente, al trionfo del pensiero unico, dove vince chi fischia più forte. Non citano sempre, i maestri della tolleranza, quel detto di Voltaire sull’insopprimibile diritto a esprimere un’opinione anche se radicalmente in contrasto con la propria? Ma chissa perchè la lezione di Voltaire dovrebbe valere per tutti ma non per Benedetto XVI. Purtroppo i fischiatori non rinunceranno alla loro kermesse. I campioni del laicismo potrebbero rinunciare però a sostenerli. In nome della laicità, beninteso.
«Corriere della sera» del 14 gennaio 2008
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