Anche nell'era dei nuovi strumenti digitali e dei social network, il principio della rappresentanza resta indispensabile
di Gino Roncaglia
La rilevanza di Internet come spazio pubblico di confronto, discussione ed elaborazione politica e come una fra le sedi del processo di costituzione dell'opinione pubblica è ormai indiscutibile. Tuttavia, se da questo generico riconoscimento si passa alla considerazione del ruolo specifico che può avere la rete come strumento di partecipazione politica, la questione diventa assai più complicata: occorre infatti esplicitare e considerare una serie di premesse troppo spesso trascurate.
Innanzitutto, Internet è una realtà estremamente articolata, e non ha senso parlarne senza distinguere con attenzione i molteplici strumenti di interazione sociale e di mediazione informativa disponibili. Quel che è possibile realizzare utilizzando un certo strumento (ad esempio una piattaforma Wiki) potrebbe non essere realizzabile usandone un altro (ad esempio un forum o un blog). In secondo luogo, molto spesso le funzionalità teoricamente offerte da un determinato strumento non sono concretamente fruibili senza alcune precondizioni (a livello di infrastrutture, di possibilità di accesso, di competenze, di impegno di tempo...) che a loro volta sarebbe assai fuorviante considerare come scontate. In terzo luogo, sappiamo bene come il buon funzionamento dei sistemi politici dipenda da equilibri spesso delicati, rispetto ai quali modifiche apparentemente 'locali' possono avere conseguenze sistemiche impreviste e indesiderate.
Occorre dunque guardarsi dalle generalizzazioni e riconoscere che il problema degli usi politici della rete ha un altissimo livello di complessità, che sarebbe assai pericoloso trascurare.
Consideriamo ad esempio il ruolo che può avere la rete rispetto a tre prerequisiti 'classici' per un buon funzionamento di una democrazia:
1) La necessità di competenze e strumenti che permettano ai cittadini di comprendere e formulare opzioni politiche e di decidere in maniera consapevole e informata (strumenti che rispondano dunque alle esigenze di formazione e di informazione dell'opinione pubblica)
2) l'esistenza di regole condivise che prevedano le forme, i tempi, i limiti dell'esercizio della sovranità e limitando l'influenza di condizionamenti esterni, impropri o portatori di interessi di parte (regole 'costituzionali', dunque, al cui interno ha un ruolo fondamentale la separazione fra i poteri)
3) la previsione di strumenti di partecipazione e di rappresentanza politica che garantiscano la possibilità di esprimere liberamente e confrontare efficacemente opinioni diverse; permettano la costituzione di corpi via via più articolati e complessi - associazioni, partiti, movimenti, e che infine prevedano istituzioni rappresentative alle quali siano affidati sia un ulteriore livello di mediazione, sia le deliberazioni finali.
In altri termini, la democrazia non si limita a dar voce (o voto) al singolo, ma deve offrire gli strumenti che consentano a quella voce e a quel voto di formarsi in maniera libera e informata e di confrontarsi - e non solo di contrapporsi - con le voci e i voti altrui, fino a produrre una sintesi intorno alla quale si possa coagulare un sostegno il più largo possibile. Di questo processo, la mediazione politica è componente essenziale, e opera a diversi livelli: all'interno dei partiti (nei quali pure si confrontano opinioni diverse, anche se auspicabilmente accomunate da riferimenti ideali e valori comuni), e naturalmente all'interno delle istituzioni rappresentative: dal municipio fino al Parlamento Europeo.
È purtroppo fin troppo facile osservare che la situazione dell'Europa e dei paesi che la compongono si discosta in molti casi - talvolta in maniera notevole - da questo modello. In particolare, la disponibilità delle basi culturali necessarie a un'effettiva partecipazione politica è troppo spesso limitata: fra i 'costi dell'ignoranza' va considerato anche quello - enorme - legato alla cattiva qualità di scelte politiche poco e male informate. Uno fra i più comuni effetti di questo deficit di conoscenze, competenze e capacità di elaborazione è nel fatto che la percezione degli interessi immediati e locali (più semplici da comprendere e immediatamente accessibili) prevale sulla comprensione degli interessi generali e di lungo periodo (per loro natura più complessi e fondati su competenze e conoscenze assai meno accessibili e diffuse). Accade così che la complessità della costruzione dell'edificio europeo sembri in molti casi superiore alla capacità di comprensione e di analisi sia dei cittadini europei sia delle loro classi dirigenti; e gli organismi di partecipazione e rappresentanza - i partiti e le istituzioni - appaiono, sia a livello nazionale sia a livello europeo, di volta in volta o come strumenti per garantire la difesa di interessi immediati e locali o come corpi separati e lontani dai cittadini, senza riuscire a conquistare la dimensione che dovrebbe essere loro propria, quella di soggetti collettivi capaci di garantire da un lato partecipazione allargata, dall'altro elaborazione politica di largo respiro. La capacità di costruzione di una opinione pubblica europea che non sia una semplice aggregazione più o meno occasionale di opinioni pubbliche locali ne risulta inevitabilmente minata.
D'altro canto, l'Europa sconta senz'altro ritardi e incertezze anche rispetto al secondo e al terzo dei prerequisiti che abbiamo ricordato: la costruzione di un contesto di regole condivise che abbia l'effettivo respiro di una 'Costituzione' comune, e la costruzione di un sistema politico e istituzionale che sia effettivamente capace di garantire al lavoro di mediazione politica e negoziazione normativa livelli soddisfacenti di partecipazione e rappresentanza da parte dei cittadini.
La rete può aiutare a superare questi problemi? Partiamo proprio dal tema della costruzione di una opinione pubblica europea attraverso strumenti formativi, informativi e di confronto culturale adeguati. Non vi è dubbio che Internet - medium globale per eccellenza - può giocare a questo riguardo un ruolo importante. Sarebbe tuttavia pericoloso sottovalutare un problema specifico che presenta oggi la rete: la difficoltà del passaggio dalla frammentazione e dalla granularità delle informazioni alla strutturazione complessa. Un problema che potrà essere certo corretto in futuro, anche attraverso lo sviluppo di strumenti nuovi, ma che caratterizza molti fra gli strumenti dello stesso 'Web 2.0', il web sociale orientato alla produzione dei contenuti da parte degli utenti.
Il Web 2.0 è infatti caratterizzato da una vasta partecipazione degli utenti al processo di costruzione dei contenuti informativi, ma da una bassa complessità 'verticale' dei contenuti informativi prodotti. Dai messaggi di stato sui social network ai post di un blog, dai filmati su YouTube alle immagini su Flickr o Picasa, gli utenti tendono indubbiamente a inserire in rete una grande quantità di informazioni; ma si tratta soprattutto di informazioni granulari: singoli contenuti informativi relativamente poco complessi. Ne risultano edifici informativi fra i quali esistono infiniti percorsi 'orizzontali', ma che non sviluppano effettiva complessità verticale.
Non c'è alcuna necessità per cui il mondo dei contenuti digitali debba essere granulare e frammentato: è al contrario probabile (ed è senz'altro auspicabile) che con il tempo impareremo via via a costruire sempre meglio anche informazione complessa e strutturata. Ma il Web non ha ancora raggiunto l'era delle cattedrali, e deve ancora fare proprio il motto di E. M. Forster "Live in fragments no longer!".
La granularità dei contenuti non può non ripercuotersi sulla qualità del dialogo politico in rete, soprattutto a livello europeo. Selezionare contenuti di qualità e utilizzarli per costruire edifici informativi complessi non è un compito facile. Nel suo piccolo, anche la rivista che state leggendo vorrebbe essere un esempio di un lavoro di questo tipo: ma come costruire il livello 'superiore' a quello dei singoli articoli e dei singoli interventi, come evidenziare percorsi e connessioni tematiche, come favorire lo sviluppo di un dibattito che non si limiti a commenti occasionali su questo o quell'articolo ma produca a sua volta una elaborazione complessa e articolata, possibilmente attraverso una partecipazione larga e informata? Come è facile capire, non si tratta affatto di un compito facile: servirà lavoro, servirà tempo, serviranno probabilmente strumenti nuovi per l'organizzazione 'di alto livellò dei contenuti. Da soli e nella loro forma attuale, strumenti come i blog o i social network difficilmente potranno contribuire in maniera significativa a garantire, nell'immediato, la costituzione di una opinione pubblica capace di affrontare la sfida complessa e affascinante rappresentata dal processo di costruzione dell'Europa.
A maggior ragione, questo discorso vale quando si parla della rete come strumento di partecipazione politica. Certo, dal punto di vista pratico un meccanismo di 'consultazione permanente' dei cittadini attraverso la rete è perfettamente concepibile. Le infrastrutture tecnologiche ci sono. E supponiamo pure - ipotesi per ora sicuramente infondata - che chiunque abbia accesso diretto alla rete e sappia usarla al meglio. Basta questo a garantire una democrazia funzionante?
Evidentemente no: non basta votare, occorre mettersi d'accordo innanzitutto su cosa votare. Occorre insomma una fase di negoziazione redazionale che permetta di elaborare ad esempio i testi delle proposte di legge, che permetta di arrivare a documenti e politiche condivise partendo da opinioni singole e differenti. Gli strumenti oggi disponibili (un buon esempio è Liquid Feedback, software aperto e non proprietario orientato alla formulazione e alla discussione regolata di proposte), sono certo interessanti ma ancora assai lontani da quel che sarebbe necessario .
Ma anche la disponibilità di buoni strumenti per la negoziazione redazionale non basterebbe. L'obiettivo di una piattaforma efficace di democrazia diretta non dovrebbe essere infatti solo quello di predisporre singole proposte all'interno di un gruppo ragionevolmente omogeneo e informato di persone, ma quello assai più complesso di garantire sia il processo di negoziazione redazionale sia quello di deliberazione, e di farlo su scala nazionale e su scala europea. E per farlo servirebbero strumenti molto, ma molto più complessi. Strumenti in grado di garantire l'identificazione dei singoli (non basta la firma digitale: potrei dare - magari a pagamento o in cambio di favori - il mio dispositivo di firma digitale a qualcuno che si troverebbe a poter votare al posto mio), e di farlo per ogni singola azione sul sistema (votazioni, messaggi ecc.). La piattaforma dovrebbe essere a prova di intrusioni e manipolazioni esterne di qualunque genere. Dovrebbe permettere di riconoscere e verificare le competenze, di cui in molti casi occorre tenere conto (per fare solo un esempio, negli Stati Uniti la maggioranza della popolazione non crede alla validità della teoria dell'evoluzione: siamo sicuri di voler fare scrivere a loro i programmi scolastici o universitari?). E tutti questi strumenti dovrebbero essere utilizzabili, in maniera facile e sicura, da parte di un'utenza di decine di milioni di persone.
E' bene dire chiaramente che non solo non abbiamo niente di simile, ma non lo avremo neanche nel prossimo futuro. Ed è assai dubbio che strumenti del genere possano esistere senza riprodurre in qualche forma al loro interno livelli di mediazione basati sul riconoscimento di competenze e sul ricorso a meccanismi di delega rappresentativa. E' infatti davvero ragionevole supporre che ciascuno di noi voti effettivamente su ogni provvedimento, anche su quelli su cui non ha alcuna competenza? E quanto tempo sarebbe necessario a ciascuno per farlo in maniera informata? Non si rischierebbe di produrre una 'elite digitale' che decide per tutti?
La rete, insomma, potrà essere in futuro - e in parte già è - uno strumento prezioso di partecipazione politica. Bisogna lavorare - e si può farlo - per rafforzare e migliorare gli strumenti di rete utilizzabili a questo fine. Ma la rete non è e non può essere uno strumento di disintermediazione politica, perché il livello della mediazione, della negoziazione, della rappresentanza - se vogliamo restare in una democrazia - resta indispensabile.
* Eutopia è la prima rivista web europea. Analisi politica, storia, economia, costume: articoli scritti in diverse lingue dai migliori autori di diversi paesi. Eutopia, per immaginare quale Europa vogliamo, per cominciare a pensare europeo.
«La Repubblica» del 7 luglio 2014
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