11 giugno 2014

La silenziosa «casta» degli scrittori, dove tutti sponsorizzano gli amici

Le repliche al pezzo uscito su «la lettura»
di Paolo Di Paolo
L’articolo di Cordelli ha fatto venire allo scoperto le conventicole alla base della letteratura italiana di oggi. Ecco perché, nelle risposte, prevale la frustrazione
L’articolo di Franco Cordelli su «la Lettura #131» di domenica scorsa, intitolato «La palude degli scrittori», ha generato diverse polemiche. Dopo la risposta di Gilda Policastro, di Paolo Sortino, di Raffaella Silvestri, di Andrea Di Consoli, di Gabriele Pedullà, e di Alessandro Beretta, ecco la replica di Paolo Di Paolo, scrittore (il suo ultimo libro è «Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c’era», uscito per Rizzoli)



Se l’articolo di Franco Cordelli, da cui tutto è partito, era spiazzante e perciò anche divertente, la gran parte delle reazioni non lo sono state: lamentose, lugubri, contorte. O peggio ancora: opache. Viene il sospetto, a leggere certe repliche in rete e alcuni degli interventi ospitati da Corriere.it, che alle categorie istituite da Cordelli ne mancasse ancora una: quella degli «involuti». Nel senso che si ingarbugliano, fanno pasticci con le parole, usano l’italiano senza disinvoltura, forse perché non lo amano fino in fondo, e lui, l’italiano, gli si rivolta giustamente contro.

E dove sono, tra i senatori, Arbasino, Maraini o Debenedetti?
Partiamo dal presupposto che si tratta di una polemica per «addetti ai lavori», come si diceva un tempo: ebbene, se posso considerarmi tale, io non ho capito oltre metà dei ragionamenti opposti a quello di Cordelli. In fondo, molto in fondo magari, la sostanza era però quella più biliosa e indicibile: la frustrazione. La spinta istintiva e umanissima, da esclusi, a puntare i piedi. Tradotta più o meno in questi termini: «lasciando da parte che Cordelli non mi ha inserito, vorrei sapere perché non ha inserito nemmeno x e y, che peraltro sono amici miei stimatissimi». Ma così il gioco non finisce più. Io stesso avrei obiezioni: perché, al di là del suo valore, c’è Giordano, se Cordelli dice di aver escluso i «troppo percepiti»? E dove sono, tra i senatori, Arbasino, Maraini o Debenedetti? E Mazzucco, vitalista moderata? Celati non dovrebbe passare nel gruppo misto? E il dissidente Maggiani, autore di un pamphlet definivo e violentissimo sulla generazione dei cinquanta-sessantenni? Comunque.

Solo un premiuzzo può tirarci un po’ su di morale
Un «ispettore del commercio librario» nella Parigi del 1750 aveva registrato in città, attivi, 359 scrittori, tra cui Diderot e Rousseau. Oggi, anno 2014, sulla sola piattaforma di self-publishing ilmiolibro.it gli scrittori attivi sono oltre 20mila. Il punto è questo: la macro-categoria che include tutte le altre proposte da Cordelli è quella che va sotto l’aggettivo «frustrati». Lo siamo, inclusi o no, praticamente tutti. Frustrati perché siamo troppi, perché il cosiddetto mercato non si allarga ma resta lo stesso o si contrae. Frustrati perché le recensioni non escono e comunque non servono, i libri passano in libreria per un mese e scompaiono.
Frustrati perché – ci diciamo – l’editore non si impegna. Frustrati perché lo cambiamo e, nonostante questo, le cose non cambiano. Frustrati perché sentiamo che il nostro romanzetto non riesce a farsi largo, e che solo un premiuzzo può tirarci un po’ su di morale, o l’alleanza di qualche simpatico amico a cui ricambieremo il favore. Nessuno ammetterà che funziona così per tutti (salvo quei cinque o sei baciati dal vero successo commerciale), e proprio perché non lo ammetterà nessuno, è vero.

Un autore su ilmiolibro.it sponsorizza un suo compagno
Navighiamo tutti a vista, sempre meno convinti, sempre meno «puri», sempre più affannati e stanchi e in alcuni casi cattivi, risentiti. E tutti, praticamente tutti, caro Cordelli, «poco percepiti». È la tribù a salvarci: qui Cordelli ha ragione. Fino a trent’anni fa c’era l’unica grande tribù della letteratura, riconosciuta da una élite, certo, ma più solida e dai contorni più definiti. E lì convivevano (si fa per dire) i diversi: Calvino e Moravia, Bassani e Morante. Si guardavano a vicenda, dialogavano, si tenevano d’occhio, ma erano soli. Maestosamente soli. Nella palude letteraria in cui siamo condannati a stagnare, ci si tiene d’occhio solo fra amici. Su Facebook se ne ha la triste certezza: ci si sponsorizza a vicenda, ma solo in una ristrettissima cerchia. Un autore pubblicato su ilmiolibro.it sponsorizza un suo compagno di strada pubblicato su ilmiolibro.it, Cortellessa mette nell’antologia i suoi amici, quell’altro posta la recensione appena pubblicata allo straordinario esordio del suo ex compagno di scuola.

Siamo patetici, ma meglio far finta che non sia così
E così avanziamo, nell’illusione che il mondo sia quello che vorremmo che fosse, una ghenga composta di zie, di mamme, dei compagni di merende; ci facciamo forza così, salvo poi puntare il dito sulle cricche altrui. Le conventicole contro cui, in un film di Virzì, puntava il dito un Castellitto professore frustratissimo. Siamo patetici, ma meglio far finta che non sia così. Allora se Cordelli ha un merito è che lui – a differenza di tutti i suoi detrattori – prova a leggere quanto più può, a mappare, a capire, è curioso, anche crudelmente curioso come pochi altri, di tutto, di tutti, degli scrittori di Roma, d’Italia, del mondo, e ingaggia una sfida titanica contro il molteplice, l’universale, pur sapendo che è votata al fallimento. Così, ogni tanto, per fare ordine e per provocare anche sé stesso, sul tovagliolo in un bar o su una pagina della Lettura, prova a tirare giù una mappa. Gli altri, il 90%, continuano a leggersi solo tra vicini, tra complici, hanno già deciso da sempre chi leggere e chi no, hanno già deciso da sempre chi è bravo e chi no, e fanno tanta, tanta tenerezza perché sono come quel famoso cavaliere ariostesco. «Il cavalier del colpo non accorto / andava combattendo ed era morto». Esistono un po’ perché e finché hanno accanto la ghenga. Chi si guarda intorno, chi guarda oltre casa sua, magari non supera la frustrazione, magari si sente più solo, ma almeno resta vivo.
«Corriere della sera» del 3 giugno 2014

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