Parla il professore dell'Oxford Internet Institute, l'unico italiano arruolato da Google nella commissione di super esperti di privacy e leggi sull'informatica
di Fabio Tonacci
"Serve un colpo di genio, come quello di Dick Fosbury che alle olimpiadi del 1968 si inventò una nuova tecnica per superare l’asticella, il famoso “salto dorsale”…ecco c’è bisogno di un’innovazione del genere per tenere insieme il diritto all’oblio e il diritto all’informazione". Basta questa metafora, coniata dal filosofo Luciano Floridi, professore all’Oxford Internet Institute, l’unico italiano arruolato da Google nella commissione di super esperti di privacy e leggi sull’informatica, per intuire in quale ginepraio si è infilato il colosso di Mountain View con il modulo per la richiesta di rimozione di contenuti "non adeguati", "obsoleti", "irrilevanti" per l’interesse pubblico.
Professore, quando le è stato proposto di entrare nella commissione di Google?
"Se ne parlava da qualche settimana, l’invito ufficiale è arrivato quattro giorni fa".
Sapete già nel dettaglio quale sarà il compito del comitato, in cui ci sono anche il presidente di Google Eric Schmidt e il fondatore di Wikipedia, Jimmi Wales?
"Dovremo capire quali problemi si creeranno con le nuove procedure per togliere link dalla lista dei risultati, individuare strategie di risoluzione e soprattutto prevedere quali conseguenze avranno le soluzioni adottate".
Quanto tempo avete a disposizione?
"Non molto, entro qualche mese dovremo presentare un dossier finale. In questo lasso di tempo ci incontreremo diverse volte, in Europa".
Il problema più evidente è come sia possibile conciliare le migliaia di richieste all’ “oblio” di alcuni utenti con il diritto all’informazione di tutti.
"Il punto è chiaramente quello. Qui non parliamo di contrasto tra interessi privati, ma di un confronto tra diritti egualmente importanti. Il diritto all’informazione è anche diritto alla trasparenza, del resto. Voglio dire, le notizie sul web devono essere accessibili, un archivio chiuso è come se non esistesse. Dall’altra parte in Rete finiscono anche contenuti riferiti che possono portare, ad esempio, a discriminazioni in campo lavorativo".
Chi valuterà concretamente le pratiche? In un giorno ne sono arrivate 12mila da tutta Europa.
"Non certo il nostro comitato!".
Chi allora? Sarà un algoritmo oppure un dipendente di Google in carne ed ossa?
"No comment".
Non c’è il rischio che un politico, ad esempio, sfrutti questa possibilità per ripulirsi la reputazione? Sottraendo agli elettori delle informazioni di interesse pubblico?
"Parlando da privato cittadino, credo che questo rischio ci sia".
Come si fa a decidere se una notizia che riguarda una persona è anche di interesse pubblico? Il concetto appare molto relativo…
"In effetti è così, quello che è irrilevante per me può non esserlo per un altro soggetto. Non è una questione che si risolve politicamente, con criteri decisi a priori. Bisogna mettere dei paletti, questo è sicuro. Come ho detto, servirà un colpo di genio per riuscire a tutelare tutti i diritti in gioco".
Professore, quando le è stato proposto di entrare nella commissione di Google?
"Se ne parlava da qualche settimana, l’invito ufficiale è arrivato quattro giorni fa".
Sapete già nel dettaglio quale sarà il compito del comitato, in cui ci sono anche il presidente di Google Eric Schmidt e il fondatore di Wikipedia, Jimmi Wales?
"Dovremo capire quali problemi si creeranno con le nuove procedure per togliere link dalla lista dei risultati, individuare strategie di risoluzione e soprattutto prevedere quali conseguenze avranno le soluzioni adottate".
Quanto tempo avete a disposizione?
"Non molto, entro qualche mese dovremo presentare un dossier finale. In questo lasso di tempo ci incontreremo diverse volte, in Europa".
Il problema più evidente è come sia possibile conciliare le migliaia di richieste all’ “oblio” di alcuni utenti con il diritto all’informazione di tutti.
"Il punto è chiaramente quello. Qui non parliamo di contrasto tra interessi privati, ma di un confronto tra diritti egualmente importanti. Il diritto all’informazione è anche diritto alla trasparenza, del resto. Voglio dire, le notizie sul web devono essere accessibili, un archivio chiuso è come se non esistesse. Dall’altra parte in Rete finiscono anche contenuti riferiti che possono portare, ad esempio, a discriminazioni in campo lavorativo".
Chi valuterà concretamente le pratiche? In un giorno ne sono arrivate 12mila da tutta Europa.
"Non certo il nostro comitato!".
Chi allora? Sarà un algoritmo oppure un dipendente di Google in carne ed ossa?
"No comment".
Non c’è il rischio che un politico, ad esempio, sfrutti questa possibilità per ripulirsi la reputazione? Sottraendo agli elettori delle informazioni di interesse pubblico?
"Parlando da privato cittadino, credo che questo rischio ci sia".
Come si fa a decidere se una notizia che riguarda una persona è anche di interesse pubblico? Il concetto appare molto relativo…
"In effetti è così, quello che è irrilevante per me può non esserlo per un altro soggetto. Non è una questione che si risolve politicamente, con criteri decisi a priori. Bisogna mettere dei paletti, questo è sicuro. Come ho detto, servirà un colpo di genio per riuscire a tutelare tutti i diritti in gioco".
«la Repubblica» del 31 maggio 2014
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