La vita è vita, una foto aiuta a capirlo
di Carlo Bellieni
Ha fatto il giro della rete una foto postata nei giorni scorsi su Facebook: un feto che stringe il dito del medico che lo sta facendo nascere col parto cesareo. Si tratta, scrivono, della piccola Nevaeh di Glendale, Arizona; e colpisce il numero di siti di quotidiani che riportava la foto (pubblicata anche da Avvenire venerdì 4 gennaio nella pagina degli editoriali), nonostante sia "politicamente scorretta": che antitesi con la vulgata che vorrebbe la vita fetale una vita non di persona umana! Ci ricorda altre foto di feti-bambini attaccati alla vita e simbolicamente alla mano del chirurgo che li sta operando ancora nel pancione. Già ricordiamo lo stupore per le immagini trasmesse durante una puntata della serie Tv «House Md», in cui il dottor House, cinico e ateo, resta a bocca aperta di fronte alla manina del feto che lo sfiora uscendo dall’utero materno, mentre lui sta decidendo se farlo vivere. Cosa anima tanto stupore se non la rimozione per un breve momento della censura che non vuole che si parli di vita del feto, e che si mostri al grande pubblico?
Censura che crolla in campo scientifico: la vita fetale è ormai sempre più oggetto di studi. Per i ricercatori dell’Università di Washington (Acta Paediatrica 2012) il nascituro inizia ad apprendere le parole sin da quando cresce nel ventre materno, durante i mesi di gestazione. Non è una cosa nuova, simili studi già erano stati fatti, ma colpisce l’eco mediatica che trovano, per la bellezza che esprimono e per il paradosso di affermarla in un mondo culturale che è pronto a negarla quando non gli convenga più. E la prestigiosa rivista Nature nel giugno 2012 pubblicava un dettagliato articolo sullo sviluppo dei gusti per gli alimenti già nella vita fetale, a seconda di quello che la mamma mangia e che viene filtrato nel sangue fino ad arrivare alle labbra del feto. Anche un recente numero del Journal of Developmental and Behavioral Pediatrics spiega come il feto reagisca differentemente alla voce materna a seconda del suo stato di salute; e come non ricordare Sento dunque sono (Cantagalli 2012), libro in cui vengono raccolti gli scritti dei maggiori studiosi mondiali di sensibilità tattile, gustativa, dolorosa, olfattiva, che si esprimono su una semplice domanda: cosa prova un feto prima di nascere?
Si tratta di non censurare: già prima di nascere il nostro cervello è ben in azione e pronto ad apprendere e sorprendere. Perché immagazzina nozioni e informazioni che gli serviranno per crescere armonico (gli stimoli forgiano il cervello fetale) e anche per conoscere quello che lo aspetta fuori dell’utero materno, perché il latte, le voci, le carezze non lo colgano impreparato. Una sensibilità prenatale che ovviamente impone rispetto, che non viola nessun presunto 'diritto all’autodeterminazione', ma semplicemente afferma una verità: la vita inizia prima di vederla all’aria aperta, e siccome la scienza è anche l’arte di mostrare tramite dimostrazioni e prove quello che gli occhi non vedono, la scienza aiuta a capire che la vita è vita anche quando non si vede: nessuno è autorizzato a considerarla non-vita solo perché nascosta o estremamente piccola.
Quello che ci colpisce della foto della manina che esce dall’utero è però l’ambivalenza nell’accogliere queste semplici verità: si riconosce che il feto è vita umana dai dati scientifici, ma si è pronti a negarlo. Si negherà quando si tratta di trarre le conseguenze etiche, nonostante le decisioni contrarie alla vita cozzino con l’evidenza scientifica; si negherà con una triste forma di censura applicata proprio da chi invece si fa a parole paladino delle libertà individuali. Ma come tutte le censure, è destinata a breve vita.
Censura che crolla in campo scientifico: la vita fetale è ormai sempre più oggetto di studi. Per i ricercatori dell’Università di Washington (Acta Paediatrica 2012) il nascituro inizia ad apprendere le parole sin da quando cresce nel ventre materno, durante i mesi di gestazione. Non è una cosa nuova, simili studi già erano stati fatti, ma colpisce l’eco mediatica che trovano, per la bellezza che esprimono e per il paradosso di affermarla in un mondo culturale che è pronto a negarla quando non gli convenga più. E la prestigiosa rivista Nature nel giugno 2012 pubblicava un dettagliato articolo sullo sviluppo dei gusti per gli alimenti già nella vita fetale, a seconda di quello che la mamma mangia e che viene filtrato nel sangue fino ad arrivare alle labbra del feto. Anche un recente numero del Journal of Developmental and Behavioral Pediatrics spiega come il feto reagisca differentemente alla voce materna a seconda del suo stato di salute; e come non ricordare Sento dunque sono (Cantagalli 2012), libro in cui vengono raccolti gli scritti dei maggiori studiosi mondiali di sensibilità tattile, gustativa, dolorosa, olfattiva, che si esprimono su una semplice domanda: cosa prova un feto prima di nascere?
Si tratta di non censurare: già prima di nascere il nostro cervello è ben in azione e pronto ad apprendere e sorprendere. Perché immagazzina nozioni e informazioni che gli serviranno per crescere armonico (gli stimoli forgiano il cervello fetale) e anche per conoscere quello che lo aspetta fuori dell’utero materno, perché il latte, le voci, le carezze non lo colgano impreparato. Una sensibilità prenatale che ovviamente impone rispetto, che non viola nessun presunto 'diritto all’autodeterminazione', ma semplicemente afferma una verità: la vita inizia prima di vederla all’aria aperta, e siccome la scienza è anche l’arte di mostrare tramite dimostrazioni e prove quello che gli occhi non vedono, la scienza aiuta a capire che la vita è vita anche quando non si vede: nessuno è autorizzato a considerarla non-vita solo perché nascosta o estremamente piccola.
Quello che ci colpisce della foto della manina che esce dall’utero è però l’ambivalenza nell’accogliere queste semplici verità: si riconosce che il feto è vita umana dai dati scientifici, ma si è pronti a negarlo. Si negherà quando si tratta di trarre le conseguenze etiche, nonostante le decisioni contrarie alla vita cozzino con l’evidenza scientifica; si negherà con una triste forma di censura applicata proprio da chi invece si fa a parole paladino delle libertà individuali. Ma come tutte le censure, è destinata a breve vita.
«Avvenire» del 9 gennaio 2013
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