La conoscenza non coincide con la razionalità scientifica, ma esistono altre forme: un intervento del filosofo Evandro Agazzi
Di Evandro Agazzi
Il dibattito periodicamente ricorrente sulla necessità di un nuovo illuminismo ha mostrato quanto questo tema sia insospettatamente vivo e attuale, non soltanto per la varietà delle posizioni sviluppate da chi ha difeso tale necessità, ma anche per le critiche che ad essa sono state rivolte. Il fatto paradossale è che le stesse critiche della ragione non possono fare a meno di esprimersi attraverso "ragionamenti", ossia argomentando e non, ad esempio, battendo il pugno sul tavolo. La ragione quindi esce fortificata dalle stesse operazioni che vorrebbero distruggerla.
Tra le difese più autorevoli e recenti di questo illuminismo figura il famoso discorso tenuto all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006 da Benedetto XVI, un discorso che ha innescato reazioni e polemiche in tutto il mondo per una citazione ivi contenuta (che è stata isolata dal contesto e travisata come un implicito apprezzamento negativo dell’islamismo), ma che in realtà sviluppa un approfondito esame della religione cristiana presentandola come un essenziale connubio di fede e ragione, esplicitamente chiamato dal Pontefice «un incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione».
L’uso della ragione appare strettamente connesso con la conoscenza. Ciò che cambia da una cultura all’altra e da un’epoca all’altra sono le fonti di conoscenza accettate come tali per cui, ad esempio, accanto all’uso dei sensi e del ragionamento, anche la rivelazione religiosa, l’intuizione artistica e il cosiddetto "senso comune" possono esser considerate fonti di conoscenza e risultare perfettamente compatibili con la razionalità. Nel caso della cultura occidentale moderna, il cambiamento più decisivo è consistito nel fatto che la scienza naturale è diventata rapidamente l’unica fonte di conoscenza accreditata, o quanto meno il modello di ogni autentico sapere. E gli altri saperi (ad esempio, la morale, la religione, il diritto, la metafisica intesa come esplorazione delle cause ultime del reale e del senso della vita)? Già Kant aveva sostenuto che, come saperi, essi sono illusori (in quanto manca loro il riferimento diretto a contenti di esperienza sensibile che è tipico delle scienze), anche se sono di rilevanza enorme dal punto di vista esistenziale. In questi settori, delle certezze sono ricercate e anche possibili, e si possono perfino articolare razionalmente, ma a titolo di postulati chiamati a dare un senso alla legge morale di cui avvertiamo la presenza inconfutabile "dentro di noi".
L’illuminismo settecentesco, abitualmente etichettato come il movimento culturale che rivendicava la supremazia della ragione, ha inteso quest’ultima essenzialmente come la ragione esemplificata dalle scienze e, quel che più conta, ha considerato le scienze come la fonte genuina del sapere. Certo, gli illuministi si sono battuti per valori di libertà, giustizia, eguaglianza, per i quali non fornivano certamente pezze giustificative di tipo scientifico e neppure cogenti argomentazioni razionali, come è vero che lo stesso Kant, dopo aver codificato il modello del sapere secondo i canoni della scienza, edificava sulla libertà l’etica del dovere, costruendo "razionalmente", in tal modo, il più importante sistema etico dopo quello di Aristotele. Ciò dice che la cultura illuminista non era, nel complesso, troppo sbilanciata. Tuttavia è pure innegabile che l’aver ridotto alla scienza la sola fonte legittima di conoscenza e l’aver privilegiato la forma scientifica della razionalità era destinato a condurre a quello scientismo che ha profondamente influito sulle filosofie e sul clima culturale generale dell’Ottocento e Novecento. Entro tale prospettiva si ritiene la scienza capace di risolvere tutti i problemi conoscitivi e pratici dell’uomo (se non ancora concretamente, per lo meno in prospettiva) e le altre forme della vita intellettuale e spirituale sono appiattite sul livello dell’emotività e del sentimento, ossia vengono rimosse dal terreno della ragione e di ciò che costi tuisce vera conoscenza. Come conseguenza, quando l’Occidente ha incominciato ad esercitare, nella seconda metà del Novecento, una crescente critica dello scientismo, questa è apparsa come una critica alla razionalità e ne è conseguita una dichiarata tendenza verso l’irrazionalismo.
L’attuale invito ad un rinnovato illuminismo può avere un senso positivo a condizione di non implicare la riduzione scientista, ossia se si pone come programma di estendere l’uso della razionalità, ossia del confronto delle "ragioni", al di là dei confini delle scienze, investendo in particolare i campi dell’etica, dei valori, del senso della vita, delle fedi religiose, vale a dire i problemi sui quali l’umanità d’oggi sente più urgente l’esigenza di orientarsi e circa i quali sono ancora troppo profonde e aspre le contrapposizioni. In questo caso non si tratterà tanto di optare per una ragione "umile" che si accontenta del probabile e del ragionevole, di fronte alla (presunta) ragione "superba" delle scienze, quanto di puntare su una ragione aperta e consapevole delle forme assai differenziate in cui essa si articola, ognuna delle quali ha qualcosa da apportare alla nostra comprensione di ciò che ci circonda, di ciò che siamo, di ciò per cui dobbiamo operare, senza la pretesa di dirci tutta la verità.
Tra le difese più autorevoli e recenti di questo illuminismo figura il famoso discorso tenuto all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006 da Benedetto XVI, un discorso che ha innescato reazioni e polemiche in tutto il mondo per una citazione ivi contenuta (che è stata isolata dal contesto e travisata come un implicito apprezzamento negativo dell’islamismo), ma che in realtà sviluppa un approfondito esame della religione cristiana presentandola come un essenziale connubio di fede e ragione, esplicitamente chiamato dal Pontefice «un incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione».
L’uso della ragione appare strettamente connesso con la conoscenza. Ciò che cambia da una cultura all’altra e da un’epoca all’altra sono le fonti di conoscenza accettate come tali per cui, ad esempio, accanto all’uso dei sensi e del ragionamento, anche la rivelazione religiosa, l’intuizione artistica e il cosiddetto "senso comune" possono esser considerate fonti di conoscenza e risultare perfettamente compatibili con la razionalità. Nel caso della cultura occidentale moderna, il cambiamento più decisivo è consistito nel fatto che la scienza naturale è diventata rapidamente l’unica fonte di conoscenza accreditata, o quanto meno il modello di ogni autentico sapere. E gli altri saperi (ad esempio, la morale, la religione, il diritto, la metafisica intesa come esplorazione delle cause ultime del reale e del senso della vita)? Già Kant aveva sostenuto che, come saperi, essi sono illusori (in quanto manca loro il riferimento diretto a contenti di esperienza sensibile che è tipico delle scienze), anche se sono di rilevanza enorme dal punto di vista esistenziale. In questi settori, delle certezze sono ricercate e anche possibili, e si possono perfino articolare razionalmente, ma a titolo di postulati chiamati a dare un senso alla legge morale di cui avvertiamo la presenza inconfutabile "dentro di noi".
L’illuminismo settecentesco, abitualmente etichettato come il movimento culturale che rivendicava la supremazia della ragione, ha inteso quest’ultima essenzialmente come la ragione esemplificata dalle scienze e, quel che più conta, ha considerato le scienze come la fonte genuina del sapere. Certo, gli illuministi si sono battuti per valori di libertà, giustizia, eguaglianza, per i quali non fornivano certamente pezze giustificative di tipo scientifico e neppure cogenti argomentazioni razionali, come è vero che lo stesso Kant, dopo aver codificato il modello del sapere secondo i canoni della scienza, edificava sulla libertà l’etica del dovere, costruendo "razionalmente", in tal modo, il più importante sistema etico dopo quello di Aristotele. Ciò dice che la cultura illuminista non era, nel complesso, troppo sbilanciata. Tuttavia è pure innegabile che l’aver ridotto alla scienza la sola fonte legittima di conoscenza e l’aver privilegiato la forma scientifica della razionalità era destinato a condurre a quello scientismo che ha profondamente influito sulle filosofie e sul clima culturale generale dell’Ottocento e Novecento. Entro tale prospettiva si ritiene la scienza capace di risolvere tutti i problemi conoscitivi e pratici dell’uomo (se non ancora concretamente, per lo meno in prospettiva) e le altre forme della vita intellettuale e spirituale sono appiattite sul livello dell’emotività e del sentimento, ossia vengono rimosse dal terreno della ragione e di ciò che costi tuisce vera conoscenza. Come conseguenza, quando l’Occidente ha incominciato ad esercitare, nella seconda metà del Novecento, una crescente critica dello scientismo, questa è apparsa come una critica alla razionalità e ne è conseguita una dichiarata tendenza verso l’irrazionalismo.
L’attuale invito ad un rinnovato illuminismo può avere un senso positivo a condizione di non implicare la riduzione scientista, ossia se si pone come programma di estendere l’uso della razionalità, ossia del confronto delle "ragioni", al di là dei confini delle scienze, investendo in particolare i campi dell’etica, dei valori, del senso della vita, delle fedi religiose, vale a dire i problemi sui quali l’umanità d’oggi sente più urgente l’esigenza di orientarsi e circa i quali sono ancora troppo profonde e aspre le contrapposizioni. In questo caso non si tratterà tanto di optare per una ragione "umile" che si accontenta del probabile e del ragionevole, di fronte alla (presunta) ragione "superba" delle scienze, quanto di puntare su una ragione aperta e consapevole delle forme assai differenziate in cui essa si articola, ognuna delle quali ha qualcosa da apportare alla nostra comprensione di ciò che ci circonda, di ciò che siamo, di ciò per cui dobbiamo operare, senza la pretesa di dirci tutta la verità.
«Avvenire» del 17 novembre 2006
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