di Edoardo Boncinelli
Poiché non amo le polemiche, avevo scritto sul Corriere di lunedì un breve articolo sulla realtà della scienza e sulle sue diverse dimensioni, di ieri come di oggi. Avevo affermato che la scienza ha molti nemici, ma non avevo accusato nessuno. O per meglio dire avevo accusato un complesso di forze vecchie e nuove che militano contro la scienza e i suoi metodi. Ma qualcuno si è sentito accusato e si è visto costretto a replicare. Su Avvenire di ieri è comparso un editoriale a firma di Francesco D’Agostino che commenta le mie parole, mentre all’interno dello stesso giornale si può trovare una pagina tutta dedicata al Festival della Scienza di Genova e alla sua vocazione troppo «laicista», che ospita le dichiarazioni di due ricercatori secondo i quali la ricerca avrebbe bandito la parola «mistero». Andiamo per ordine. Dopo avere riassunto correttamente i punti della mia argomentazione, D’Agostino fa alcune osservazioni. Innanzitutto concede che la scienza abbia prodotto conoscenze preziosissime ma che «non produce né sarà mai in grado di produrre, tutte le conoscenze; esistono dimensioni del sapere che non sono riducibili alle conoscenze scientifiche». Gli esempi di dimensioni del sapere citati sono quelle dell’estetica, della morale e dell’affettività. Non è proprio della scienza voler spiegare tutto; come non le è proprio usare avverbi totalizzanti come «mai» o «sempre». Se qualcuno ha affermato il contrario, non è certo uno scienziato. Una teoria che spiega tutto, hanno detto tante volte gli scienziati, non è scienza, è metafisica. In secondo luogo, «la scienza non è in grado, di per sé, di discriminare un’applicazione pratica che promuova il bene umano da un’applicazione pratica che gli faccia invece violenza». Certamente. Per questo c’è la società con le sue diverse sedi di discussione e il potere politico per metterne in pratica le decisioni. La scienza propone solo nuove soluzioni e nuovi strumenti, talvolta rivoluzionari, che la società deve vagliare con spirito aperto e informato. Più sotto si rimprovera a Galileo, che pure si era mosso nello spirito di Socrate, di avere aggiunto a questo spirito qualcosa «che, mentre potenzia la scienza come potere oggettivo, la impoverisce come sapere umano». Il fatto è che essa «coglie dei fenomeni solo la dimensione estrinseca e lascia cadere la domanda di senso». Non si rende conto D’Agostino quale sofferta rinuncia è questa per la scienza, che consapevolmente si sforza di occuparsi delle questioni più appassionanti nella maniera più spassionata? Si tratta, tra l’altro, di una rinuncia improntata alla massima modestia. La passione è fondamentale nella vita del singolo, ma può annebbiare la vista della collettività. E la scienza cerca di farsi annebbiare la vista il meno possibile. Solo così facendo è riuscita a capire e a modificare tante cose che sono rimaste per secoli minacciose e inspiegate. E veniamo infine all’argomento dell’atteggiamento della scienza rispetto al mistero. La scienza non ha bandito affatto il mistero dal suo mondo. Se è vero che ha chiarito tanti misteri esistenti in passato, è anche vero che ne ha proposti almeno altrettanti, se non di più. Ogni nuova scoperta scientifica genera nuove domande e propone nuovi problemi. Non c’è proprio da temere di rimanere senza misteri. Misteri ce ne saranno sempre. Quello che non posso avallare, però, è l’atteggiamento di coloro che sembrano dispiacersi quando si chiarisce un nuovo mistero, come se facessero il tifo per le forze dell’ignoto. Chiarire il maggior numero possibile di misteri è il nostro compito e qualcosa o Qualcuno ci ha dato la mente e la forza d’animo per farlo.
«Corriere della sera» del 1 novembre 2006
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