Il Pen Club presenta una lista degli intellettuali presi di mira dai regimi dittatoriali. Il triste primato tocca a Cina e Cuba
Dall'Asia all'Africa, numerosi i casi di violenza versoi dissidenti e chi fa informazione sulle attività governative: dal Vietnam alla Russia, dalla Turchia all'Etiopia, dal Congo all'Algeria
di Edoardo Castagna
Può essere difficile ricordarselo nel nostro Occidente, dove l'habitat naturale degli intellettuali è il salotto. Ma nel resto del mondo essere uomini d'impegno e di cultura può ancora essere difficile. Soprattutto se si devono fare i conti con il comunismo e le sue scorie, o con le giunte militari ancora al potere in troppi Paesi del Terzo mondo. A tracciare una mappa degli intellettuali perseguitati, soprattutto scrittori e giornalisti, è il Pen club internazionale: il suo bollettino annuale, il Writers in Prison Commettee, sarà presentato sabato a Milano, al Palazzo delle Stelline. L'occasione sarà lo spunto per la seconda Cattedra dei diritti umani dello scrittore, dedicata a «Libertà di espressione, potere e terrorismo». A contendersi il dubbio onore del maggior numero di intellettuali perseguitati sono Cina e Cuba - la Corea del Nord manca all'appello per assoluta mancanza di dati. L'intramontabile Fidel Castro costringe i curatori dei rapporti sui diritti umani a sempre nuovi aggiornamenti. Il Pen club registra i venticinque scrittori e giornalisti ancora in carcere tra i settantacinque arrestati nel 2003, quando il regime diede l'ultimo vistoso giro di vite contro gli oppositori. Scontano condanne a quindici, venti o venticinque anni in prigioni isolate, più volte accusate di condizioni inumane, e con rari contatti con i famigliari. Tra i detenuti si contano Ricardo Severino Gonzáles Alfonso, direttore del periodico "De Cuba", o José Miguel Martínez Hernández, firmatario del Progetto Varela - appoggiato dall'Ue - che sostiene un passaggio morbido alla democrazia e al mercato. Ma a Cuba è uno stillicidio di piccole e grandi vessazioni, arresti improvvisi e immotivati, violenze, perquisizioni. Come in un altro bastione comunista, il Vietnam: il governo di Hanoi tiene agli arresti l'ottuagenario leader buddista Quang Huyen, arrestato nel 1994 per aver pubblicato una lettera aperta di critica contro le limitazioni di parola e di religione. Entrano ed escono di galera anche numerosi altri oppositori del regime di Hanoi, come lo scrittore Vu Binh Nguyen e il medico Hong Son Pham. Molti di questi dissidenti utilizzano Internet per contestare l'assenza di libertà e la violazione di diritti umani: un tratto, questo, che li accomuna ai più noti dissidenti cinesi. Il rapporto allinea una quarantina di nomi, perseguitati in vario modo da Pechino. Tra loro anche poeti - Tao Shi, Weiping Jiang - e intellettuali delle nazionalità oppresse da Pechino: lo scrittore Abdulghani Memetemin e lo storico Tohti Tunyaz «Muzart», musulmani della regione «autonoma» dell'Uigur (Xinjiang per i cinesi); il libraio-editore Hada, mongolo. E, naturalmente, tanti tibetani, soprattutto monaci. Certe prassi non sono ancora cadute in disuso nemmeno nella vecchia Europa, nelle autoritarie polizie di Putin e di Lukašenko: Russia e Bielorussia gareggiano nel fornire materiale al Pen club. A Minsk restano senza nome gli assassini della giornalista Veronika Cherkasova, mentre diversi sono i perseguitati per le critiche all'ultima dittatura europea. In Russia gli intellettuali diventano scomodi sia se attaccano troppo duramente Putin e l'oligarchia che lo sostiene, sia se parteggiano per i separatisti - ceceni o di altre nazionalità. Sono stati uccisi Paul Klebnikov, autore dal pamphlet "Padrino al Cremlino", e Magomedzarid Varisov, analista politico caduto vittima delle faide interne al Daghestan. Motivazioni simili sorreggono gli attacchi alla cultura in Turchia. È celebre il caso di Orhan Pamuk, sotto processo per aver ammesso il genocidio degli armeni, ma decine sono gli intellettuali perseguitati per aver criticato i miti fondatori della Turchia moderna: per esempio, il giornalista Mehmet Kutular o l'editore Husyn Aygun. Ankara perseguita anche gli islamisti e, naturalmente, i curdi. Asia e Africa sono costellate da regimi repressivi. In Asia centrale, particolarmente rimarchevoli sono i casi dell'Uzbekistan, dove sono agli arresti diversi giornalisti-op positori, e dell'Iran. Sono in prigione Akbar Ganji, giornalista, Hossein Ghaziyan, accademico, Siamak Pourzand, critico cinematografico, Mojitaba Sami'inejad, scrittore, Nasser Zarafshan, traduttore. Perfino l'ayatollah Yasub al-Din Rastgari. Tutti per aver denigrato la "rivoluzione" islamica. Se la repressione birmana è celebre, soprattutto per gli arresti domiciliari cui è costretta il premio Nobel Suu Kyi Aung San, sorprende il numero di intellettuali imprigionati o perseguitati in Nordafrica. In Algeria ha scontato diverse condanne il direttore del quotidiano "Le Matin", Mohammed Benchicou (liberato due giorni fa dopo due anni di carcere) "reo" - come molti suoi colleghi incriminati - di aver criticato il governo del presidente Bouteflika. Accuse simili a quelle contestate in Marocco a diversi editori di periodici, mentre in Tunisia lo scrittore Mohammed Abbou e l'editore Hamadi Jebali sono detenuti per aver denunciato gli abusi dei militari. Critiche le situazioni del Congo, dello Zimbabwe e del Corno d'Africa dove, oltre che in Somalia, gli intellettuali sono a rischio in Eritrea e in Etiopia - decine i giornalisti imprigionati o scomparsi. Cuba a parte, rispetto a qualche anno fa migliora la situazione delle Americhe. Con due rilevanti eccezioni. Il Messico, dove si contano diversi giornalisti scomparsi o uccisi per aver denunciato i trafficanti di droga, armi e uomini. Perseguitato, tra gli altri, anche il poeta Sergio Witz López. E il Venezuela, dove è sotto accusa la direttrice del "El nuevo País", Patricia Poleo, e sono illegalmente detenute le giornaliste Kenny Aguilar e Alecia Rodríguez del Valle. Hugo Chavez sembra voler seguire le orme del suo maestro, Fidel Castro, anche nella repressione.
«Avvenire» del 16 giugno 2006
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