Occidente e mondo islamico
di Giorgio Ferrari
Una cresta sottile separa il diritto dalla libertà. E una altrettanto sottile corre fra la libertà e la responsabilità. Ma in queste ore – e soprattutto domani, giorno di preghiera nelle moschee – questi ambiti sui quali si innerva la nostra civiltà e senza una netta demarcazione dei quali non si ha alcuna società civile, rischiano di venir travolti dall’insensatezza di chi ha riacceso la miccia della provocazione antireligiosa e dall’irragionevole furia di chi ne approfitterà per allargarne l’incendio.
Stiamo parlando – a pochi giorni di distanza dall’infausta diffusione su YouTube del demenziale cortometraggio americano sulla figura di Maometto, che ha fornito il pretesto per un’ondata di proteste anti-occidentali a cominciare dalla tragica morte dell’ambasciatore statunitense a Bengasi Chris Stevens – della pubblicazione da parte del settimanale satirico francese Charlie Hebdo di una serie di vignette sul Profeta (in sé non particolarmente offensive, per lo meno secondo il gusto e la tolleranza occidentali), che hanno fatto raddoppiare la tiratura del periodico provocando al contempo lo spiacevole effetto collaterale di costringere il governo francese a chiudere una ventina di ambasciate, consolati e scuole francesi in altrettanti Paesi considerati a rischio. Qualcuno ha calcolato il costo economico, oltre che politico e sociale di questa guasconata editoriale che già ha garantito ai suoi autori una denuncia per incitazione all’odio?
C’è della follia e – si direbbe – del metodo in tutto ciò. Come versare della benzina su un fuoco tutt’altro che sopito, su un rogo ribollente che ignora gli appelli internazionali alla calma e alla tolleranza. Ci dobbiamo aspettare dunque un altro "venerdì della collera" anti-occidentale? Dal Pakistan al Marocco una parte dell’islam certificherà nuovamente la sua rabbia contro gli "infedeli" assaltando sedi e proprietà francesi, americane, inglesi, accanendosi sui marchi più noti, sulle catene di ristorazione, sulle sedi delle banche? Impossibile dirlo con certezza, soprattutto considerando che a soffiare su quei fuochi è l’onnipresente fondamentalismo islamico, che ha buon gioco nel manipolare il risentimento popolare coniugandolo con quello politico.
Il problema per noi tuttavia rimane intatto quanto insoluto: esiste ancora un diritto alla critica e alla satira? Oppure l’impaurito Occidente si deve fare ostaggio della collera e della furia degli offesi? E quanti ambasciatori avrebbero dovuto uccidere i cristiani, quanti negozi avrebbero dovuto saccheggiare, quante bandiere avrebbero dovuto bruciare per tutte le volte che il nome di Gesù è stato offeso, deriso, calpestato?
«L’Italia – ricorda il ministro degli Esteri Giulio Terzi – ha un codice penale che prevede di perseguire chi offende le religioni e questo credo debba essere un principio diffuso in tutti i Paesi del mondo. Nessuno deve permettersi di dileggiarle o di scherzare sui valori che rappresentano». Potremmo cominciare da qui. Ma chi spiegherà all’islam che – come dice il premier Ayrault – «la Francia è un Paese in cui è garantita anche la libertà di caricatura e se qualcuno si sente offeso può rivolgersi ai tribunali»? E quanti anni dovranno trascorrere prima che i fondamentali concetti di tolleranza, di libertà di espressione, di diritto di critica vengano compresi e accettati anche nel mondo islamico, dove spesso l’unica libertà accettata è quella di obbedire alla sharia e la modalità con cui si risponde a una provocazione è quasi sempre quella della fatwa?
Ieri il Papa, dopo il coraggioso e profetico viaggio in Libano, ha lanciato un forte appello ai musulmani perché con i cristiani si facciano promotori di pace, con una testimonianza sincera. L’unica via per superare, nel rispetto reciproco, divisioni e provocazioni.
Libertà e responsabilità, abbiamo detto all’inizio, la prima figlia della Parresìa (il dovere morale dell’antica Grecia di dire la verità, ovvero di potersi liberamente esprimere), la seconda che germina (se pure sotto falso nome) fin dall’Etica Nicomachea di Aristotele. Districare questi due concetti, avvinghiati l’uno all’altro come edere amorevoli, è impresa ardua, forse titanica per la cultura occidentale e anche per il suo futuro: perché nella vasta campata che congiunge questi pilastri della nostra civiltà c’è posto – lo diciamo con amaro orgoglio – anche per l’Assange di Wikileaks, per il reverendo Terry Jones che invoca il rogo del Corano, per l’olandese Theo Van Gogh assassinato per un film sull’islam, per i tanti che esercitano – spesso irresponsabilmente – il proprio diritto di parola, e che tuttavia vanno comunque difesi, nonostante siano proprio loro i primi da educare alla responsabilità. E, lasciatecelo dire, non sono certo i soli.
«Avvenire» del 20 settembre 2012
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