25 ottobre 2009

Dai computer ai cyberguerrieri

L’evoluzione delle tecnologie, dalla Seconda guerra mondiale agli automi di oggi, che suscitano sempre più inquietanti fantasie
di Mario G. Losano
I cyborg hanno radici nella letteratura e nel cinema. L’origine è nell’arma segreta dell’ultimo conflitto
La vera rivoluzione tecnologica è associata alla Seconda guerra mondiale che nuovamente scuote l’Europa, quest’inquieta peni­sola dell’Asia abitata da tribù bellico­se. Per risolvere il conflitto si cerca un’arma segreta e definitiva, basata sulla scissione dell’atomo. La Ger­mania nazionalsocialista studia il vet­tore per portarla sul territorio nemi­co e nella base segreta di Peenemün­de, con le VI e V2, nasce l’odierna mis­silistica e l’industria spaziale. Gli Sta­ti Uniti si concentrano sulla bomba atomica e, per produrla, forniscono ai fisici uno strumento che ne agevo­li i calcoli: una macchina da calcolo che non è più meccanica, ma non è ancora elettronica.
Nel 1944 viene ultimato il primo cal­colatore elettromeccanico Mark I a controllo automatico di sequenza, i­niziato nel 1939. Una fotografia di­svela al mondo la nuova macchina in una sala dal fulgore ospedaliero; ma subito, in primo piano, colpisce una vecchia co­noscenza: la scheda perforata che Babba­ge aveva preso a pre­stito dai telai Jacquard per memorizza­re la sequen­za delle ope­razioni. An­che dentro al Mark I o­pera un’altra vecchia conoscenza, questa volta im­materiale: la matematica binaria di Leibniz, poiché nel computer tutti i numeri vengono rappresentati per mezzo di strumento (il relè o inter­ruttore) che può solo assumere due stati, che può cioè solo aprire o chiu­dere un circuito elettrico.
La Germania bombarderà l’Inghilter­ra con i primi missili, però ancora con la testata a esplosivo convenzionale. Gli Stati Uniti saranno invece i primi a produrre la bomba atomica, ma la sganceranno sul Giappone con un ae­reo convenzionale. Oggi le potenze nucleari dispongono tanto della bomba atomica quanto dei vettori ba­listici: ed è un caso in cui non viene da rallegrarsi per il progresso delle scienze.
Sotto la pressione della guerra e del governo americano, fra il 1936 e il 1944 il calcolo meccanico compie un salto di qualità. Nel calcolo meccani­co si compie l’attesa innovazione di prodotto quando una serie di studi e tecniche note da secoli vengono fuse nel computer. Finita la guerra e ca­duto il segreto militare che circonda­va la calcolatrice elettromeccanica, nasce l’attuale informatica, destina­ta a pervadere la società attuale.
Nel 1948 uno specialista di studi in­terdisciplinari matematico-fisiologi­ci, Norbert Wiener, pubblicò il libro La cibernetica, dal promettente sot­totitolo: Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina. Se si riesce a comprendere come funziona un comportamento animale – e per Wiener è un animale anche l’essere umano – se ne potrà riprodurre il fun­zionamento anche con una «mac­china », benché con l’informatica que­st’ultimo termine non vada più inte­so nel tradizionale senso ingegneri­stico del termine. Ormai il microprocessore misura po­chi millimetri quadrati e, da solo, ha una capacità di memoria e di calcolo superiore a quella dei primi compu­ter. Con la comprensione teorica del «comportamento» umano o animale e con lo strumento «informatico», è o­ra possibile affidare a una macchina la riproduzione di quel comporta­mento.
Le due vie di sviluppo nate dal mec­canismo classico dell’orologeria su­biscono un nuovo sconvolgimento. In pochi decenni le macchine da cal­colo meccaniche ed elettromeccani­che cedono il passo a calcolatrici e­lettroniche sempre più piccole. Gli o­rologi meccanici vengono sostituiti da quelli digitali. Mentre gli orologi meccanici confluiscono nella riserva indiana dei prodotti di nicchia, come i gioielli-automi di Fabergé, e condu­cono ora una loro vita elitaria e se­gregata, le calcolatrici meccaniche scompaiono del tutto. La stessa sor­te tocca alle macchine per scrivere, e­redi del cembalo scrivano. Nessuno le produce più.
Mentre le calcolatrici meccaniche ab­bandonano la via trionfale percorsa per secoli, dal limbo dei prodotti di nicchia emerge la turba dolente dei dimenticati automi, e par di sentire l’aria del Fidelio cantata dai carcera­ti nel rivedere il sole: «O welche Lust, in freier Luft den Atem leicht zu he­ben ». Il primordiale Golem, «l’antropoide artificiale delle tradizioni magiche e mistiche dell’ebraismo», si trasforma nel simpatico androide Asimo, dalla statura e movenze d’un ragazzino per bene; Robotrix, l’andreide del film Metropolis di Fritz Lang, prefigura la simildonna Everl del Korean Institu­te for Industrial Technology, poten­ziale accompagnatrice di umani nei musei o nei grandi magazzini; Zulma, l’incantatrice di serpenti del 1890 che affascinò Madeleine de Galéa, divie­ne la progenitrice dell’Actroid della Kokoro Company, una vamp artifi­ciale «che sa esprimere quaranta e­mozioni »; il cagnolino a molla si tra­sforma nei robot Dream DX o Aibo Ers-7M2, «un cane robot» – annuncia il suo sito – «che guaisce, abbaia e fiu­ta proprio come un vero cane».
Ma soprattutto: la funzione della ma­no, dell’arto o del frammento di un corpo umano o animale danneggiati può essere ricostruita, con una com­mistione di elettronica e meccanica fi­ne (un revival della fedele amica del­l’uomo dal tempo dei tempi!) che ri­ceve impulsi elettrici da quello che re­sta dell’arto danneggiato. Nell’indu­stria si può costruire il surrogato di un segmento del corpo umano che, per esempio, apprenda dal braccio del verniciatore quali movimenti compiere, e poi li compia da solo; ov­vero che raccolga campioni di suolo lunare o si avventuri fra gas venefici o fra rischi di esplosione. Un giorno forse un automa gentile assisterà un malato o un vecchio, oppure sbri­gherà le faccende domestiche.
Gli automi, campioni del passato, hanno riconquistato un avvenire, an­che se non privo delle ombre inquie­tanti dei cyborg, dei cyberguerrieri o simili: ma l’inquietudine la suscitano non tanto gli automi, quanto l’uso che vorranno farne gli umani.
«Avvenire» del 23 ottobre 2009

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