Tratto dal volumeIl mondo latino, Bruno Mondadori, vol. 1, p. 223
di Di Sacco e Serìo
Difficile riassumere in breve che cosa fosse per gli antichi l'uomo, che cosa l'humanitas: la mentalità greca «ogni volta che definisce qualcosa come "umano", ha presente l'opposizione col divino (perfetto)» (Klingner); in particolare Menandro dischiude lo sguardo su ciò che l'uomo può o deve essere, ma sempre con una nota di dubbio, se non di mestizia: «Che cosa piacevole è l’uomo, quando è uomo» (761 K); oppure: «Se noi tutti ci aiutassimo sempre a vicenda, a nessuno che sia uomo mancherebbe la felicità» (697 K.).
Terenzio dà al concetto un’accezione diversa. In lui risuona per la prima volta questo valore di humanitas, connesso a ciò che la dignità umana esige; homo, humanus sono termini frequenti nel suo lessico: negli Adelphoe (vv. 107, 934) ritroviamo la formula. che l'epistolario di Cicerone renderà poi proverbiale, si esses (sis) homo, «se tu fossi un uomo», cioè intelligente, sensibile come un uomo devo essere. Ogni pagina, si può dire, di Terenzio lascia trasparire questo interesse umano. Egli guarda alla condizione comune, di noi tutti; infatti per due volte nell'Hecyra riprende il testo greco di Apollodoro (10, 11 K), che diceva semplicemente «ciascuno» oppure «noi», traducendo con «noi tutti» (v. 286 e ss.; v. 380). Ancora negli Adelphoe: «Invecchiando, possiamo diventare più ragionevoli tranne che in una cosa: diventiamo tutti troppo puntigliosi, più calcolatori di quanto non s’addica a noi» (v. 832 e ss.). Qui lo scrittore latino include il prossimo, diremmo con un termine cristiano, vicino e lontano; l'eccessivo puntiglio, la meticolosità divengono in questo senso un aspetto tipico dell'uomo in assoluto.
Un secolo e più dopo Terenzio, con Cesare e soprattutto con Cicerone avremo un più largo ed esplicito uso del termine e del concetto di humanitas. Facendo tesoro in particolare della riflessione filosolica di Panezlo (che fu maestro del medio stoicismo e fece parte del circolo degli Scipioni). Cicerone identifica nell'humanitas la natura umana, distinta da quella animale e semmai affine a quella degli dèi, fondamento dell'etica e del diritto e della stessa convivenza civile; di qui il termine diverrà sinonimo di amabilità, cortesia, raffinatezza, cultura (anche nel senso di educazione letteraria: da cui humanae litterae), in una parola di civiltà, di contro alla inmanitas; avvicinandosi così ai due concetti greci della philantropía (l’amore per l'umano) e della paidéia, l'educazione al bello e al buono.
Fra l'uomo e la bestia c'è soprattutto questa gran differenza, che la bestia, solo in quanto è stimolata dal senso conforma le sue attitudini a ciò che le è presente nello spazio e nel tempo, poco o nulla ricordando del passato e presentando del futuro; mentre l'uomo, in quanto è partecipe della ragione (in virtù di questa egli scorge le conseguenze, vede le cause efficienti, non ignora le occasionali, e, oso dire, gli antecedenti, confronta tra loro i casi simili, e alle cose presenti collega strettamente le future), l'uomo, dico, vede facilmente tutto il corso della vita e prepara in tempo le cose necessarie a ben condurla. [12.] Oltre a ciò la natura, con la forza della ragione, concilia l'uomo all'uomo in una comunione di linguaggio e di vita; soprattutto genera in lui un singolare e meraviglioso amore per le proprie creature; spinge la sua volontà a creare e a godere associazioni e comunità umane, e sollecita le sue energie a procacciarsi tutto ciò che occorre al sostentamento e al miglioramento della vita, non solo per sé, ma anche per la moglie, per i figli e per tutti gli altri a cui porta affetto e a cui deve protezione. Ed è appunto questa sollecitudine che rinfranca lo spirito e lo fa più forte e più pronto all'azione. [13.] Ma soprattutto è propria esclusivamente dell'uomo l'accurata e laboriosa ricerca del vero. Ecco perché, quando siamo liberi dalle occupazioni e dalle ansie inevitabili della vita, allora ci prende il desiderio di vedere, di udire, d'imparare, e siamo convinti che il conoscere i segreti e le meraviglie della natura è la via necessaria per giungere alla felicità. E di qui ben si comprende come nulla sia più adatto alla natura umana di ciò che è intimamente vero e schiettamente sincero (Cicerone, De officiis, I, 11-13).
L’idea di fondo, come si vede, è che l’humanitas sia in definitiva quell’elemento sostanziale che distingue l'uomo dall'animale, ciò che rende uomo l'uomo, al di là di qualunque distinzione d sesso, ceto, rango o condizione sociale.
Su questa base verrà elaborata un'etica della solidarietà umana (cioè della philantropía) che in Seneca, filosofo stoico di età neroniana, avrà uno dei sostenitori più autorevoli. Nelle Lettere a Lucilio, forse la sua opera più famosa, Seneca definisce con efficace chiarezza i caratteri di questa nuova solidarietà umana, citando, non a caso, proprio il celebre verso terenziano da cui ha preso le mosse la presente riflessione:
Ecco un altro problema, come dobbiamo comportarci con gli uomini? Che cosa dobbiamo fare? quali precetti dobbiamo dare? E che dobbiamo risparmiare il sangue umano? Che poca cosa è non nuocere a colui tu devi giovare! È davvero grande cosa se un uomo è clemente con un altro uomo. Consiglieremo di porgere la mano al naufrago, di mostrare la via al viaggiatore, di dividere il suo pane con colui che ha fame? Quando dirò tutte le cose che si devono fare e quali si devono evitare? Mentre posso brevemente trasmettergli questa formula dei doveri umani e tutto questo che vedi da cui è racchiuso ogni elemento divino ed umano, è unico e siamo membra di un grande corpo. La natura ci ha creato parenti poiché ci ha generato da quelli e in vista di quelli. Questa ci ha infuso un amore reciproco e ci ha fatto socievoli. Quella ha stabilito l’equità e la giustizia; sulla base delle sue norme è più misero nuocere che ricevere un'offesa: ai suoi comandi le mani siano sempre pronte ad aiutare. Quel verso sia ben radicato nel cuore e sulle labbra: "Uomo sono uomo: nulla di umano reputo estraneo a me". Teniamo presente questo: siamo nati per vivere in comune: la nostra società è molto simile ad una volta di pietre che, è destinata a cadere se non si sorreggessero a vicenda, proprio per questo è sostenuta (Seneca, Lettere a Lucilio, XV, 95, 51-53).
Terenzio dà al concetto un’accezione diversa. In lui risuona per la prima volta questo valore di humanitas, connesso a ciò che la dignità umana esige; homo, humanus sono termini frequenti nel suo lessico: negli Adelphoe (vv. 107, 934) ritroviamo la formula. che l'epistolario di Cicerone renderà poi proverbiale, si esses (sis) homo, «se tu fossi un uomo», cioè intelligente, sensibile come un uomo devo essere. Ogni pagina, si può dire, di Terenzio lascia trasparire questo interesse umano. Egli guarda alla condizione comune, di noi tutti; infatti per due volte nell'Hecyra riprende il testo greco di Apollodoro (10, 11 K), che diceva semplicemente «ciascuno» oppure «noi», traducendo con «noi tutti» (v. 286 e ss.; v. 380). Ancora negli Adelphoe: «Invecchiando, possiamo diventare più ragionevoli tranne che in una cosa: diventiamo tutti troppo puntigliosi, più calcolatori di quanto non s’addica a noi» (v. 832 e ss.). Qui lo scrittore latino include il prossimo, diremmo con un termine cristiano, vicino e lontano; l'eccessivo puntiglio, la meticolosità divengono in questo senso un aspetto tipico dell'uomo in assoluto.
Un secolo e più dopo Terenzio, con Cesare e soprattutto con Cicerone avremo un più largo ed esplicito uso del termine e del concetto di humanitas. Facendo tesoro in particolare della riflessione filosolica di Panezlo (che fu maestro del medio stoicismo e fece parte del circolo degli Scipioni). Cicerone identifica nell'humanitas la natura umana, distinta da quella animale e semmai affine a quella degli dèi, fondamento dell'etica e del diritto e della stessa convivenza civile; di qui il termine diverrà sinonimo di amabilità, cortesia, raffinatezza, cultura (anche nel senso di educazione letteraria: da cui humanae litterae), in una parola di civiltà, di contro alla inmanitas; avvicinandosi così ai due concetti greci della philantropía (l’amore per l'umano) e della paidéia, l'educazione al bello e al buono.
Fra l'uomo e la bestia c'è soprattutto questa gran differenza, che la bestia, solo in quanto è stimolata dal senso conforma le sue attitudini a ciò che le è presente nello spazio e nel tempo, poco o nulla ricordando del passato e presentando del futuro; mentre l'uomo, in quanto è partecipe della ragione (in virtù di questa egli scorge le conseguenze, vede le cause efficienti, non ignora le occasionali, e, oso dire, gli antecedenti, confronta tra loro i casi simili, e alle cose presenti collega strettamente le future), l'uomo, dico, vede facilmente tutto il corso della vita e prepara in tempo le cose necessarie a ben condurla. [12.] Oltre a ciò la natura, con la forza della ragione, concilia l'uomo all'uomo in una comunione di linguaggio e di vita; soprattutto genera in lui un singolare e meraviglioso amore per le proprie creature; spinge la sua volontà a creare e a godere associazioni e comunità umane, e sollecita le sue energie a procacciarsi tutto ciò che occorre al sostentamento e al miglioramento della vita, non solo per sé, ma anche per la moglie, per i figli e per tutti gli altri a cui porta affetto e a cui deve protezione. Ed è appunto questa sollecitudine che rinfranca lo spirito e lo fa più forte e più pronto all'azione. [13.] Ma soprattutto è propria esclusivamente dell'uomo l'accurata e laboriosa ricerca del vero. Ecco perché, quando siamo liberi dalle occupazioni e dalle ansie inevitabili della vita, allora ci prende il desiderio di vedere, di udire, d'imparare, e siamo convinti che il conoscere i segreti e le meraviglie della natura è la via necessaria per giungere alla felicità. E di qui ben si comprende come nulla sia più adatto alla natura umana di ciò che è intimamente vero e schiettamente sincero (Cicerone, De officiis, I, 11-13).
L’idea di fondo, come si vede, è che l’humanitas sia in definitiva quell’elemento sostanziale che distingue l'uomo dall'animale, ciò che rende uomo l'uomo, al di là di qualunque distinzione d sesso, ceto, rango o condizione sociale.
Su questa base verrà elaborata un'etica della solidarietà umana (cioè della philantropía) che in Seneca, filosofo stoico di età neroniana, avrà uno dei sostenitori più autorevoli. Nelle Lettere a Lucilio, forse la sua opera più famosa, Seneca definisce con efficace chiarezza i caratteri di questa nuova solidarietà umana, citando, non a caso, proprio il celebre verso terenziano da cui ha preso le mosse la presente riflessione:
Ecco un altro problema, come dobbiamo comportarci con gli uomini? Che cosa dobbiamo fare? quali precetti dobbiamo dare? E che dobbiamo risparmiare il sangue umano? Che poca cosa è non nuocere a colui tu devi giovare! È davvero grande cosa se un uomo è clemente con un altro uomo. Consiglieremo di porgere la mano al naufrago, di mostrare la via al viaggiatore, di dividere il suo pane con colui che ha fame? Quando dirò tutte le cose che si devono fare e quali si devono evitare? Mentre posso brevemente trasmettergli questa formula dei doveri umani e tutto questo che vedi da cui è racchiuso ogni elemento divino ed umano, è unico e siamo membra di un grande corpo. La natura ci ha creato parenti poiché ci ha generato da quelli e in vista di quelli. Questa ci ha infuso un amore reciproco e ci ha fatto socievoli. Quella ha stabilito l’equità e la giustizia; sulla base delle sue norme è più misero nuocere che ricevere un'offesa: ai suoi comandi le mani siano sempre pronte ad aiutare. Quel verso sia ben radicato nel cuore e sulle labbra: "Uomo sono uomo: nulla di umano reputo estraneo a me". Teniamo presente questo: siamo nati per vivere in comune: la nostra società è molto simile ad una volta di pietre che, è destinata a cadere se non si sorreggessero a vicenda, proprio per questo è sostenuta (Seneca, Lettere a Lucilio, XV, 95, 51-53).
Postato il 20 marzo 2012
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