di Giuseppe Dalla Torre
È davvero difficile essere d’accordo con questa sorta di entusiastico consenso che – in Francia soprattutto, ma in parte anche altrove – accompagna la ripubblicazione delle controverse caricature di Maometto da parte della rivista satirica 'Charlie Hebdo', in coincidenza con l’inizio del processo sulle stragi del 2015. Un disaccordo netto e basato su almeno due ordini di ragioni.
La prima, di carattere generale, attiene al principio di responsabilità che deve guidare l’agire umano. Esso comporta che, quand’anche si agisca esercitando un diritto riconosciuto dall’ordinamento – come nel nostro caso la libertà di manifestazione del pensiero – si tengano sempre nel dovuto conto i possibili effetti pericolosi o negativi nei confronti degli altri. Nel caso specifico la reazione jihadista del gennaio di quell’anno alla pubblicazione delle vignette satiriche, provocò – oltre alla strage della redazione del settimanale – la morte di diciassette persone e il ferimento di altre ventidue.
Era assolutamente prevedibile che la pubblicazione pesantemente offensiva della coscienza islamica avrebbe potuto provocare una grave e persino criminale reazione, nel contesto di una società francese, e più in generale occidentale, attraversata da profonde tensioni per la presenza di radicali islamisti. Dunque, il principio di responsabilità avrebbe dovuto trattenere i redattori del settimanale satirico dal prendere di mira, e pesantemente, persone venerate nella religione islamica, specie in un momento di così alte inquietudini.
Ripeto: la legittima titolarità di un diritto non giustifica sempre, almeno da un punto di vista etico, il suo concreto esercizio qualora si possano così mettere in pericolo beni fondamentali della persona e della società. La seconda, di carattere più specifico, riguarda l’ambito e i limiti dell’uso della satira. Come noto è questo un genere letterario che ha una grande tradizione in Occidente, e che ha una precisa funzione positiva, in alcuni casi addirittura necessaria, nel mantenimento di una società democratica.
Nel senso che la satira ha la funzione di criticare, nel modo suo proprio, il potere nei suoi eccessi e nei suoi sviamenti; costituisce un contrappeso alla degenerazione politica o, comunque, dei centri di potere quali che essi siano. La satira smaschera, rende nudo, disarma chi è potente e usa la propria forza per sopraffare. Ma la satira assume un altro volto, questa volta negativo, quando aggredisce singole persone o gruppi, colpendo con l’ironia sferzante, estrema, le diversità etniche, religiose, di pensiero o di genere. Altra è la critica, anche vivace, anche serrata, anche pungente; altra è la manifestazione di un pensiero che si trasforma in vilipendio, in offesa, in ferita grave, o addirittura gravissima.
Non è lecito ad alcuno offendere i legittimi e più profondi sentimenti degli altri, a cominciare da quelli che sono gli affetti familiari. Chi tollererebbe frecciate satiriche pubbliche alla propria madre? Ma per ogni credente la religione è madre. Del resto non fu proprio quel periodico satirico francese a ironizzare pesantemente sulla tragedia del crollo del ponte Morandi? E non furono legittime e sacrosante le reazioni indignate, e direi corali, dell’opinione pubblica italiana? Sorprende pertanto che Emmanuel Macron abbia difeso ancora una volta 'la libertà di blasfemia', associandola alla 'libertà di coscienza': perché si tratta di cose ben diverse e perché anche la libertà di coscienza può incontrare legittimi limiti (ammetteremmo, in nome della libertà di coscienza, sacrifici umani?).
La questione presenta anche altri aspetti, che debbono essere presi in seria considerazione, come i limiti che pure si debbono apporre a quel delitto di 'blasfemia' per cui, proprio in certe terre a maggioranza islamica, i cristiani tanto soffrono. Occorre ovviamente trovare, nel concreto delle diverse realtà, il punto di equilibrio tra diritti in conflitto fra di loro. E questo è compito, delicato, che spetta a legislatori e giudici.
La prima, di carattere generale, attiene al principio di responsabilità che deve guidare l’agire umano. Esso comporta che, quand’anche si agisca esercitando un diritto riconosciuto dall’ordinamento – come nel nostro caso la libertà di manifestazione del pensiero – si tengano sempre nel dovuto conto i possibili effetti pericolosi o negativi nei confronti degli altri. Nel caso specifico la reazione jihadista del gennaio di quell’anno alla pubblicazione delle vignette satiriche, provocò – oltre alla strage della redazione del settimanale – la morte di diciassette persone e il ferimento di altre ventidue.
Era assolutamente prevedibile che la pubblicazione pesantemente offensiva della coscienza islamica avrebbe potuto provocare una grave e persino criminale reazione, nel contesto di una società francese, e più in generale occidentale, attraversata da profonde tensioni per la presenza di radicali islamisti. Dunque, il principio di responsabilità avrebbe dovuto trattenere i redattori del settimanale satirico dal prendere di mira, e pesantemente, persone venerate nella religione islamica, specie in un momento di così alte inquietudini.
Ripeto: la legittima titolarità di un diritto non giustifica sempre, almeno da un punto di vista etico, il suo concreto esercizio qualora si possano così mettere in pericolo beni fondamentali della persona e della società. La seconda, di carattere più specifico, riguarda l’ambito e i limiti dell’uso della satira. Come noto è questo un genere letterario che ha una grande tradizione in Occidente, e che ha una precisa funzione positiva, in alcuni casi addirittura necessaria, nel mantenimento di una società democratica.
Nel senso che la satira ha la funzione di criticare, nel modo suo proprio, il potere nei suoi eccessi e nei suoi sviamenti; costituisce un contrappeso alla degenerazione politica o, comunque, dei centri di potere quali che essi siano. La satira smaschera, rende nudo, disarma chi è potente e usa la propria forza per sopraffare. Ma la satira assume un altro volto, questa volta negativo, quando aggredisce singole persone o gruppi, colpendo con l’ironia sferzante, estrema, le diversità etniche, religiose, di pensiero o di genere. Altra è la critica, anche vivace, anche serrata, anche pungente; altra è la manifestazione di un pensiero che si trasforma in vilipendio, in offesa, in ferita grave, o addirittura gravissima.
Non è lecito ad alcuno offendere i legittimi e più profondi sentimenti degli altri, a cominciare da quelli che sono gli affetti familiari. Chi tollererebbe frecciate satiriche pubbliche alla propria madre? Ma per ogni credente la religione è madre. Del resto non fu proprio quel periodico satirico francese a ironizzare pesantemente sulla tragedia del crollo del ponte Morandi? E non furono legittime e sacrosante le reazioni indignate, e direi corali, dell’opinione pubblica italiana? Sorprende pertanto che Emmanuel Macron abbia difeso ancora una volta 'la libertà di blasfemia', associandola alla 'libertà di coscienza': perché si tratta di cose ben diverse e perché anche la libertà di coscienza può incontrare legittimi limiti (ammetteremmo, in nome della libertà di coscienza, sacrifici umani?).
La questione presenta anche altri aspetti, che debbono essere presi in seria considerazione, come i limiti che pure si debbono apporre a quel delitto di 'blasfemia' per cui, proprio in certe terre a maggioranza islamica, i cristiani tanto soffrono. Occorre ovviamente trovare, nel concreto delle diverse realtà, il punto di equilibrio tra diritti in conflitto fra di loro. E questo è compito, delicato, che spetta a legislatori e giudici.
«Avvenire» del 5 settembre 2020
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