di Cesare Cavalleri
Accostarsi alla letteratura, al romanzo, significa incontrare una persona, lo scrittore. Accostarsi al Cavallo rosso, significa incontrare Eugenio Corti che si è riversato nella narrazione. Louis Aragon ha spiegato la differenza tra la letteratura e le altre forme di comunicazione: quando ascoltiamo musica, o navighiamo in internet, musica e rete sono fuori di noi, ma quando leggiamo un libro, dopo poche righe già pensiamo con il pensiero dell’autore. Il pensiero redatto nella forma del libro diventa il nostro pensiero. Noi sogniamo, per così dire, il sogno dell’autore e, nel caso di Corti, questo sogno è veritiero, coinvolgente, incessante perché il Cavallo rosso è un romanzo di più di mille pagine costruito magistralmente con piccoli stacchi, brevi sequenze e quando si comincia a leggerlo non ci si stacca più. E il lettore pensa con il pensiero dell’autore. [...] Quelli che i filosofi chiamano i trascendentali dell’essere, ovvero l’Unità, la Verità e la Bontà, vengono coagulati e resi interdipendenti da un altro trascendentale, che non tutti qualificano come tale: la Bellezza. La bellezza ha in sé l’unità del soggetto, la verità (non esiste bellezza senza verità) e la bontà (non può esserci bellezza senza bontà). Eugenio Corti ha compiuto un’esperienza di bellezza che è coagulo di verità e di bontà nell’unità dell’essere umano.
Il cardinale Carlo Maria Martini una volta disse che noi siamo abituati a parlare del Buon Pastore ma per una più corretta esegesi dovremmo parlare del Bel Pastore. Il Pastore è bello perché nella sua Bellezza c’è anche l’Unità della sua Bontà e della sua Verità.
Corti esprime la Bellezza con uno stile semplice, apparentemente semplice, perché nasce da un lavoro di correzioni straordinario, di riscritture.
Il Cavallo Rosso è un romanzo “vero” perché contiene situazioni veramente vissute da Corti o da lui sentite raccontare dai protagonisti; e brulica di personaggi, talvolta con il loro vero nome, che Corti ha conosciuto direttamente o attraverso testimoni diretti. Il romanzo, dunque, è “vero”, ma non di una verità semplicemente trasposta sulla pagina, bensì di una verità interpretata dall’arte del narratore.
La semplicità non è mai un punto di partenza, è un punto d’arrivo. Le cose veramente semplici hanno richiesto una lunga elaborazione. Si racconta che un imperatore cinese chiese a un pittore di disegnargli un gallo. Il pittore chiese al re un anno di tempo. L’anno passò ma il pittore non era ancora pronto, e chiese all’imperatore altri tre anni. Passati i tre anni, l’imperatore reclamò il disegno. Il pittore prese un foglio e disegnò un gallo magnifico. L’imperatore domandò: «Se era così facile, perché mi hai fatto aspettare quattro anni?». E il pittore: «Se non mi fossi allenato per quattro anni, non sarebbe stato così facile realizzare adesso il capolavoro». [...] Corti è un autore che racconta la sua vita, le vite delle persone che ha conosciuto, inquadrandole in una storia che è sempre storia sacra. Vorrei anche sfatare una specie di leggenda parzialmente alimentata dallo stesso autore, per la quale Corti sarebbe stato boicottato in Italia e molto amato all’estero. In realtà Corti è conosciutissimo sia in Italia sia all’estero.
Il Cavallo Rosso è alla trentesima edizione, Le Figaro ha scritto per la morte di Corti che «è uno degli immensi scrittori del nostro tempo, uno dei più grandi, forse il più grande».
Quello che però stava davvero a cuore a Corti era il contatto col suo pubblico: incontrava tantissimi giovani che lo ascoltavano come maestro di vita. Nell’archivio di Corti, destinato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, ci sono faldoni e faldoni di lettere dei lettori. Ne leggo due. La prima è di una suora: «Lei è della generazione di mio padre: il primo frutto del suo libro è stata la piena riconciliazione con quella generazione; io amo molto mio padre, ora però è stato colmato, grazie a lei, un fossato che separava “noi” e “voi” e so che lei comprende bene cosa voglio dire».
Questo è un punto fondamentale: i giovani non devono stare solo tra di loro, devono dialogare con gli adulti e gli adulti devono stare con i giovani. Solo col trapasso generazionale si può costruire una civiltà, una società autenticamente umana.
L’altra lettera è di una professoressa che dopo essere stata sessantottina, comunista, e nei comitati per il divorzio e l’aborto, ha ritrovato la fede proprio leggendo Il Cavallo Rosso: «Leggendo il suo libro, mi sono sentita piombare addosso di nuovo tutti i miei sbagli, gli anni di dolore, di disperazione, ma mi è servito per ringraziare ancora una volta il nostro Dio. L’ultimo capitolo, quello della morte di Almina, mi ha fatto piangere e gioire perché lì è racchiuso tutto ciò che noi cristiani crediamo: che siamo figli di Dio, amati e perdonati anche se compiamo brutalità; che i nostri Angeli non ci abbandonano mai; che la nostra vera vita è colma di pace, di gioia e di luce e che vi ritroviamo tutti i nostri cari; che le nostre sofferenze di quaggiù non vanno perdute e, soprattutto, non va perduto l’amore che si dà, che si lascia ». Questo è Corti, queste sono le reazioni dei suoi lettori.
Il cardinale Carlo Maria Martini una volta disse che noi siamo abituati a parlare del Buon Pastore ma per una più corretta esegesi dovremmo parlare del Bel Pastore. Il Pastore è bello perché nella sua Bellezza c’è anche l’Unità della sua Bontà e della sua Verità.
Corti esprime la Bellezza con uno stile semplice, apparentemente semplice, perché nasce da un lavoro di correzioni straordinario, di riscritture.
Il Cavallo Rosso è un romanzo “vero” perché contiene situazioni veramente vissute da Corti o da lui sentite raccontare dai protagonisti; e brulica di personaggi, talvolta con il loro vero nome, che Corti ha conosciuto direttamente o attraverso testimoni diretti. Il romanzo, dunque, è “vero”, ma non di una verità semplicemente trasposta sulla pagina, bensì di una verità interpretata dall’arte del narratore.
La semplicità non è mai un punto di partenza, è un punto d’arrivo. Le cose veramente semplici hanno richiesto una lunga elaborazione. Si racconta che un imperatore cinese chiese a un pittore di disegnargli un gallo. Il pittore chiese al re un anno di tempo. L’anno passò ma il pittore non era ancora pronto, e chiese all’imperatore altri tre anni. Passati i tre anni, l’imperatore reclamò il disegno. Il pittore prese un foglio e disegnò un gallo magnifico. L’imperatore domandò: «Se era così facile, perché mi hai fatto aspettare quattro anni?». E il pittore: «Se non mi fossi allenato per quattro anni, non sarebbe stato così facile realizzare adesso il capolavoro». [...] Corti è un autore che racconta la sua vita, le vite delle persone che ha conosciuto, inquadrandole in una storia che è sempre storia sacra. Vorrei anche sfatare una specie di leggenda parzialmente alimentata dallo stesso autore, per la quale Corti sarebbe stato boicottato in Italia e molto amato all’estero. In realtà Corti è conosciutissimo sia in Italia sia all’estero.
Il Cavallo Rosso è alla trentesima edizione, Le Figaro ha scritto per la morte di Corti che «è uno degli immensi scrittori del nostro tempo, uno dei più grandi, forse il più grande».
Quello che però stava davvero a cuore a Corti era il contatto col suo pubblico: incontrava tantissimi giovani che lo ascoltavano come maestro di vita. Nell’archivio di Corti, destinato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, ci sono faldoni e faldoni di lettere dei lettori. Ne leggo due. La prima è di una suora: «Lei è della generazione di mio padre: il primo frutto del suo libro è stata la piena riconciliazione con quella generazione; io amo molto mio padre, ora però è stato colmato, grazie a lei, un fossato che separava “noi” e “voi” e so che lei comprende bene cosa voglio dire».
Questo è un punto fondamentale: i giovani non devono stare solo tra di loro, devono dialogare con gli adulti e gli adulti devono stare con i giovani. Solo col trapasso generazionale si può costruire una civiltà, una società autenticamente umana.
L’altra lettera è di una professoressa che dopo essere stata sessantottina, comunista, e nei comitati per il divorzio e l’aborto, ha ritrovato la fede proprio leggendo Il Cavallo Rosso: «Leggendo il suo libro, mi sono sentita piombare addosso di nuovo tutti i miei sbagli, gli anni di dolore, di disperazione, ma mi è servito per ringraziare ancora una volta il nostro Dio. L’ultimo capitolo, quello della morte di Almina, mi ha fatto piangere e gioire perché lì è racchiuso tutto ciò che noi cristiani crediamo: che siamo figli di Dio, amati e perdonati anche se compiamo brutalità; che i nostri Angeli non ci abbandonano mai; che la nostra vera vita è colma di pace, di gioia e di luce e che vi ritroviamo tutti i nostri cari; che le nostre sofferenze di quaggiù non vanno perdute e, soprattutto, non va perduto l’amore che si dà, che si lascia ». Questo è Corti, queste sono le reazioni dei suoi lettori.
«Avvenire» del 21 agosto 2014
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