Una sentenza nello Utah
di Carlo Cardia
Prosegue qua a là, in Occidente, una destrutturazione del matrimonio che segue linee spezzate ispirate a una irragionevolezza evidente. Una delle ultime novità è venuta dallo Stato americano dello Utah, a maggioranza mormone, in cui la Corte distrettuale ha legittimato nel dicembre 2013 la poligamia di fatto, rinviando la possibilità di un suo pieno riconoscimento giuridico.
Secondo la dottrina del fondatore Joseph Smith, i mormoni nel primo Ottocento ammettono la poligamia (perché esisteva in epoca biblica, ed era stata confermata dalle rivelazioni di Smith); e cominciano a praticarla nel territorio dello Utah prima della sua costituzione in Stato nell’ambito degli Usa. Tra il 1880 e il 1890 il governo federale impone di abolire la poligamia, e il profeta Wilford Woodruff anche in seguito a una nuova visione la proibisce nel 1890. Da quel momento la comunità mormone adotta una linea severa contro il matrimonio plurimo, anche per l’impopolarità che suscita nella popolazione; però una poligamia strisciante (cioè una malcelata coabitazione) si mantiene in gruppi di mormoni integristi. Se questi sono i precedenti, la novità del 15 dicembre è determinata da tutt’altre circostanze, dal momento che in un processo per poligamia a carico di una star televisiva la difesa ha ottenuto di veder discussa la questione di merito adducendo particolari considerazioni: il principio di libertà religiosa ha consentito nel tempo di superare alcuni divieti penali, inoltre l’istituto del matrimonio è profondamente mutato in alcuni ordinamenti occidentali, al punto che oggi ne fruiscono anche i gay.
Non si vede, si è concluso, perché esso non possa estendersi, anche per motivi religiosi, a chi intende praticare la poligamia, presente nell’antica tradizione ebraica, e applicata nel mondo islamico dalla sua fondazione sino ad oggi. La Corte ha sostanzialmente recepito le osservazioni della difesa, rilevando che è pur sempre la legge dello Stato a definire sostanza e caratteri del matrimonio, ed essa oggi lo prevede monogamico. Però, la sanzione penale è divenuta obsoleta a causa dei cambiamenti dell’istituto del matrimonio, divenuto nel frattempo più flessibile e permeabile, rispetto al passato, e per differenze di religione che ricevono crescente tutela. Di conseguenza, superato il profilo penalistico, la poligamia può essere praticata di fatto: la legge, se lo riterrà, potrà un giorno ammetterla e disciplinarne condizioni e conseguenze.
Forse è questa la ragione per la quale, con poche eccezioni, la vicenda dello Utah non è stata commentata in Italia e in Europa come meritava, almeno per la sua potenzialità espansiva: essa tocca un nervo scoperto per ordinamenti che tendono a manipolare in diversi modi il matrimonio e la famiglia, fino a prevedere l’adozione di minori per coppie gay, e si trovano chiamati in causa per una possibilità che farebbe tornare indietro le lancette della storia in ordine al principio di eguaglianza tra uomo e donna. Bisognerebbe riconoscere che la lenta dissoluzione che sta investendo il matrimonio nella cultura (anche giuridica) occidentale determina una mutazione genetica della famiglia naturale: se si segue il filo rosso che unisce la procreazione fuori dell’alveo naturale al cosiddetto "divorzio breve", al matrimonio gay, alla adozione per chiunque, si scorge che tutto ciò finisce per rendere il matrimonio una sorta di porta girevole dalla quale entra ed esce chi vuole, quando e come vuole.
È venuta meno ogni coerenza antropologica con i diritti dell’uomo, della donna, soprattutto dei figli che subiscono la confusione affettiva ed educativa che deriva dai vari modelli, a cominciare da quelli che prescindono dalla complementarietà maschile e femminile.
Stiamo assistendo a un corto circuito, una sorta d’impazzimento del sistema, che porta alla metamorfosi del matrimonio e della famiglia rispetto alle qualità naturali della persona. In aggiunta, mentre i diritti umani hanno guidato e favorito l’evoluzione e la crescita dei diversi soggetti, oggi ci troviamo di fronte a una specie di torre di Babele nella quale ogni manipolazione normativa provoca la violazione dei diritti delle diverse parti: dei minori nella procreazione extranaturale e nell’adozione gay, della donna nella prefigurazione poligamica, della famiglia nel caso del divorzio breve. Si rischia di tornare alla preistoria dei rapporti interpersonali, quando si lasciava campo libero a ogni scelta senza cercare di favorire la crescita umana e solidale delle aggregazioni elementari della società. Registriamo, insomma, un formidabile regresso sulla linea dell’evoluzione della tutela della persona, e il caso dell’Utah dovrebbe suggerire una seria riflessione sui rischi di manipolazione e stravolgimento di meccanismi strutturanti per la società e la vita collettiva.
Secondo la dottrina del fondatore Joseph Smith, i mormoni nel primo Ottocento ammettono la poligamia (perché esisteva in epoca biblica, ed era stata confermata dalle rivelazioni di Smith); e cominciano a praticarla nel territorio dello Utah prima della sua costituzione in Stato nell’ambito degli Usa. Tra il 1880 e il 1890 il governo federale impone di abolire la poligamia, e il profeta Wilford Woodruff anche in seguito a una nuova visione la proibisce nel 1890. Da quel momento la comunità mormone adotta una linea severa contro il matrimonio plurimo, anche per l’impopolarità che suscita nella popolazione; però una poligamia strisciante (cioè una malcelata coabitazione) si mantiene in gruppi di mormoni integristi. Se questi sono i precedenti, la novità del 15 dicembre è determinata da tutt’altre circostanze, dal momento che in un processo per poligamia a carico di una star televisiva la difesa ha ottenuto di veder discussa la questione di merito adducendo particolari considerazioni: il principio di libertà religiosa ha consentito nel tempo di superare alcuni divieti penali, inoltre l’istituto del matrimonio è profondamente mutato in alcuni ordinamenti occidentali, al punto che oggi ne fruiscono anche i gay.
Non si vede, si è concluso, perché esso non possa estendersi, anche per motivi religiosi, a chi intende praticare la poligamia, presente nell’antica tradizione ebraica, e applicata nel mondo islamico dalla sua fondazione sino ad oggi. La Corte ha sostanzialmente recepito le osservazioni della difesa, rilevando che è pur sempre la legge dello Stato a definire sostanza e caratteri del matrimonio, ed essa oggi lo prevede monogamico. Però, la sanzione penale è divenuta obsoleta a causa dei cambiamenti dell’istituto del matrimonio, divenuto nel frattempo più flessibile e permeabile, rispetto al passato, e per differenze di religione che ricevono crescente tutela. Di conseguenza, superato il profilo penalistico, la poligamia può essere praticata di fatto: la legge, se lo riterrà, potrà un giorno ammetterla e disciplinarne condizioni e conseguenze.
Forse è questa la ragione per la quale, con poche eccezioni, la vicenda dello Utah non è stata commentata in Italia e in Europa come meritava, almeno per la sua potenzialità espansiva: essa tocca un nervo scoperto per ordinamenti che tendono a manipolare in diversi modi il matrimonio e la famiglia, fino a prevedere l’adozione di minori per coppie gay, e si trovano chiamati in causa per una possibilità che farebbe tornare indietro le lancette della storia in ordine al principio di eguaglianza tra uomo e donna. Bisognerebbe riconoscere che la lenta dissoluzione che sta investendo il matrimonio nella cultura (anche giuridica) occidentale determina una mutazione genetica della famiglia naturale: se si segue il filo rosso che unisce la procreazione fuori dell’alveo naturale al cosiddetto "divorzio breve", al matrimonio gay, alla adozione per chiunque, si scorge che tutto ciò finisce per rendere il matrimonio una sorta di porta girevole dalla quale entra ed esce chi vuole, quando e come vuole.
È venuta meno ogni coerenza antropologica con i diritti dell’uomo, della donna, soprattutto dei figli che subiscono la confusione affettiva ed educativa che deriva dai vari modelli, a cominciare da quelli che prescindono dalla complementarietà maschile e femminile.
Stiamo assistendo a un corto circuito, una sorta d’impazzimento del sistema, che porta alla metamorfosi del matrimonio e della famiglia rispetto alle qualità naturali della persona. In aggiunta, mentre i diritti umani hanno guidato e favorito l’evoluzione e la crescita dei diversi soggetti, oggi ci troviamo di fronte a una specie di torre di Babele nella quale ogni manipolazione normativa provoca la violazione dei diritti delle diverse parti: dei minori nella procreazione extranaturale e nell’adozione gay, della donna nella prefigurazione poligamica, della famiglia nel caso del divorzio breve. Si rischia di tornare alla preistoria dei rapporti interpersonali, quando si lasciava campo libero a ogni scelta senza cercare di favorire la crescita umana e solidale delle aggregazioni elementari della società. Registriamo, insomma, un formidabile regresso sulla linea dell’evoluzione della tutela della persona, e il caso dell’Utah dovrebbe suggerire una seria riflessione sui rischi di manipolazione e stravolgimento di meccanismi strutturanti per la società e la vita collettiva.
«Avvenire» del 13 febbraio 2014
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