di Massimo Gramellini
Quando, nella notte fra il 12 e il 13 luglio, una tanica di benzina irritata a dovere da un fiammifero si mangiò l’intero primo piano di un liceo romano, irresistibile fu la tentazione di dare coloritura ideologica alla vicenda. Il liceo era il Socrate, porto sicuro per gay e minoranze vessate. In passato l’estrema destra ne aveva deturpato i muri perimetrali con slogan omofobi e l’incendio sembrava innestarsi perfettamente in quella trama. Si parlò di atto terrorista e di attacco al libero pensiero, ci si dilungò sulla valenza simbolica dell’attentato, si azzardarono paragoni potenti fra i libri accartocciati dal fuoco e i falò delle antiche biblioteche. Finché ieri la realtà ha bussato alle porte del commissariato di polizia: quattro studenti, accompagnati dagli avvocati che avevano già calcolato la convenienza processuale del gesto, hanno confessato di avere incendiato la loro scuola come vendetta per una bocciatura.
È una lezione importante per noi tromboni e trombette che nel commentare l’attualità siamo indotti a spremere dai fatti un valore universale e a spiegare la violenza con motivazioni ideologiche, ancorché bieche. Se un giorno si scrivesse la storia umana dal basso, forse scopriremmo che le rivoluzioni e le guerre nascono sempre da impulsi primordiali - la fame, l’invidia, il desiderio di dominare o di vendicare un torto vero o presunto - intorno a cui i vincitori incartano i grandi ideali di democrazia e libertà. Non erano omofobi, gli incendiari del Socrate, ma persone incapaci di accettare una sconfitta. Un vuoto di carattere che provoca meno indignazione, forse perché (e qui un po’ riparte la trombetta) è molto più diffuso.
È una lezione importante per noi tromboni e trombette che nel commentare l’attualità siamo indotti a spremere dai fatti un valore universale e a spiegare la violenza con motivazioni ideologiche, ancorché bieche. Se un giorno si scrivesse la storia umana dal basso, forse scopriremmo che le rivoluzioni e le guerre nascono sempre da impulsi primordiali - la fame, l’invidia, il desiderio di dominare o di vendicare un torto vero o presunto - intorno a cui i vincitori incartano i grandi ideali di democrazia e libertà. Non erano omofobi, gli incendiari del Socrate, ma persone incapaci di accettare una sconfitta. Un vuoto di carattere che provoca meno indignazione, forse perché (e qui un po’ riparte la trombetta) è molto più diffuso.
«La Stampa» del 17 luglio 2013
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